L’INCHIESTA
Agenda rossa: indagate figlia e moglie di La Barbera
I SEGRETI DI BORSELLINO – Un testimone rivela ai pm: “Dicevano che l’avesse la famiglia dell’ex questore”. Perquisizioni a settembre. I pm: ricettazione aggravata per aver favorito la mafia
DI MARCO LILLO E SAUL CAIA
18 NOVEMBRE 2023
La moglie e la figlia di Arnaldo La Barbera sono indagate a Caltanissetta per ricettazione aggravata dal favoreggiamento alla mafia perché la Procura sospetta abbiano avuto per anni la disponibilità dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, ipoteticamente acquisita illecitamente dall’allora capo della squadra mobile di Palermo il 19 luglio 1992. Anche altri familiari dell’ex prefetto morto nel 2002 sono stati perquisiti ma come soggetti terzi e non indagati nell’ambito di un’inchiesta che tenta di mettere alcuni punti fermi sul destino dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, una delle vicende più inquietanti della storia della mafia e dell’antimafia.
L’inchiesta procede sotto traccia da anni e si compone di due segmenti convergenti. Il primo riguarda la traiettoria della borsa contenente, secondo l’ipotesi dell’accusa, l’agenda rossa di Paolo Borsellino, sparita dopo la strage di via D’Amelio. La borsa planò già la sera del 19 luglio nell’ufficio di La Barbera. La novità è che ci sarebbe stata una staffetta in via D’Amelio tra il carabiniere Giovanni Arcangioli che la prelevò dall’auto fumante di Borsellino e un funzionario della Polizia, del quale gli investigatori preferiscono non rivelare il nome, che ha raccontato ai pm di Caltanissetta qualche anno fa di averla presa lui in consegna.
Il secondo segmento riguarda appunto la presunta, e tutta da verificare, disponibilità dell’agenda da parte dei familiari, dopo la morte del funzionario nel 2002.
Partiamo da questo secondo segmento che ha portato alle perquisizioni avvenute a settembre, quasi due mesi fa, tra Roma e Verona nelle abitazioni dei familiari di Arnaldo La Barbera. Tutto nasce sei mesi fa quando si presenta agli investigatori un amico di famiglia dei La Barbera. Racconta di avere appreso, durante alcune conversazioni, avvenute dopo la morte del prefetto ma molti anni fa, in un contesto di amicizia consolidato, della disponibilità dell’agenda di Paolo Borsellino da parte della figlia e della moglie di La Barbera. Premette che lui non ha mai visto l’agenda ma aggiunge un particolare che incuriosisce i pm. Intorno al 2018, un terzo soggetto, in buoni rapporti sia con lui sia con i La Barbera, gli avrebbe raccontato che la famiglia voleva allocare l’agenda altrove. A detta sempre del testimone, questo terzo soggetto gli avrebbe chiesto la disponibilità a tenere l’agenda rossa di Borsellino. Offerta rispedita al mittente e raccontata solo di recente ai pm. La Procura di Caltanissetta è guidata da un procuratore molto prudente e riservato, Salvatore De Luca. La figlia dell’ex prefetto, Serena La Barbera è un funzionario della presidenza del consiglio che si occupa di sicurezza nazionale. Certamente prima di indagare e perquisire saranno state fatte delle valutazioni sul testimone, che deve essere stato ritenuto almeno a prima vista attendibile. E comunque anche a loro garanzia i pm che si occupano dell’inchiesta (oltre al procuratore De Luca, l’ aggiunto Pasquale Pacifico, i sostituti e un magistrato distaccato dalla Direzione Nazionale Antimafia, Sandro Dolce) hanno deciso di indagare Angiola e Serena La Barbera e di disporre in segreto le perquisizioni.
L’agenda rossa, va detto subito, non è stata trovata. Comunque gli uomini del ROS dei Carabinieri, ai quali è stata affidata l’inchiesta, stanno studiando il materiale rinvenuto nel corso delle perquisizioni.
A rendere interessante per i pm la storia narrata dall’amico della famiglia La Barbera è il contesto investigativo.
Alle 16 e 59 del 19 luglio 1992 Paolo Borsellino salta in aria con cinque agenti della sua scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Emanuela Loi e Eddie Walter Cosina, mentre sta citofonando alla madre di domenica pomeriggio per accompagnarla dal medico. Il magistrato non si separava mai dalla sua agenda rossa. La figlia Lucia Borsellino, ancora il 24 ottobre scorso in Commissione Antimafia, ha ricordato: “Sono stata testimone oculare dell’utilizzo dell’agenda da mio padre la mattina del 19 luglio”. Borsellino quindi aveva come sempre nella sua borsa in pelle marrone la sua agenda rossa dove annotava le cose più segrete del suo lavoro. Probabilmente su quell’agenda aveva appuntato le piste sulle quali stava lavorando dopo la morte dell’amico e collega Giovanni Falcone, il 23 maggio 1992.
La borsa marrone viene fotografata l’ultima volta il 19 luglio in mano al carabiniere Giovanni Arcangioli che si allontana dall’auto fumante in via D’Amelio verso viale dell’Autonomia, dove si trovava un suo superiore. Il capitano (poi promosso generale di brigata) Arcangioli è stato processato e assolto per la sottrazione dell’agenda. Si è appurato in quel processo che un agente di Polizia, Francesco Paolo Maggi, aveva redatto una relazione di servizio, consegnata solo il 29 dicembre 1992 alla Procura di Caltanissetta che indagava sulla strage, nella quale sosteneva di avere preso lui dalla macchina fumante di Borsellino la borsa e di averla portata su indicazione del suo superiore Paolo Fassari nell’ufficio del dirigente della squadra mobile della Polizia Arnaldo La Barbera.
Dalla sera del 19 luglio, per tre mesi e mezzo, la borsa resta nell’ufficio di La Barbera senza nessun atto ufficiale di sequestro. Solo il 5 novembre del 1992 il pm Fausto Cardella, che si occupa da poco dell’inchiesta stragi ai danni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a Caltanissetta, rendendosi conto dell’assurdità della situazione, redige un verbale di ricognizione sulla borsa e gli oggetti in essa contenuti. L’agenda però non c’era.
La borsa viene poi restituita da Arnaldo La Barbera personalmente con una visita alla famiglia che si conclude in malo modo. Quando Lucia Borsellino chiede con insistenza notizie dell’agenda rossa, il superpoliziotto se la prende. Scrivono i giudici del processo Borsellino Quater: “Innanzi alla richiesta della figlia, Lucia Borsellino, di riavere indietro anche l’agenda rossa del padre (non presente fra gli altri suoi effetti personali, dentro la borsa), il Dirigente della Mobile di Palermo, con un atteggiamento infastidito e sbrigativo, affermava, in maniera categorica (ed apodittica), che non esisteva alcuna agenda rossa da restituire; a fronte dell’insistenza della ragazza (che usciva persino dalla stanza, sbattendo la porta), il dottor Arnaldo La Barbera, con la sua voce roca, diceva alla vedova che sua figlia necessitava di assistenza psicologica, in quanto “delirava” e suggerisce alla madre di badare alla salute della figlia”.
Nell’inchiesta condotta in gran segreto dai pm di Caltanissetta c’è ora una testimonianza (inedita finora anche se risalente a qualche anno fa) che sembra conciliare le due immagini del poliziotto Maggi che prende la borsa destinata al capo della Mobile La Barbera e del carabiniere Arcangioli che si dirige, borsa in mano, verso Viale dell’Autonomia dove si trovava il tenente colonnello dell’Arma Borghini.
Il film che si può ricostruire sulla base della testimonianza inedita raccolta dai pm di Caltanissetta è quello di uno stop al cammino di Arcangioli in via D’Amelio, da parte del poliziotto che si sarebbe fatto consegnare la borsa diretta chissà a chi. Il carabiniere avrebbe consegnato la borsa proprio al funzionario di Polizia sentito dai pm, che non è Maggi. Questo ufficiale di polizia ha raccontato in un verbale di sommarie informazioni che fu proprio lui a stoppare Arcangioli chiedendogli la borsa fumante di Borsellino perché la competenza sulle indagini era della Polizia e non dei Carabinieri. Sempre lui l’avrebbe consegnata a un superiore gerarchico, sempre della Polizia, che poi l’avrebbe portata al dirigente della squadra mobile La Barbera.
Il funzionario di Polizia con la sua testimonianza copre un buco nel destino della borsa di Borsellino e ci consegna una scena di inedita cooperazione tra carabinieri e polizia: una staffetta con la borsa di Borsellino che smentisce secoli di competizione tra i due corpi investigativi.
La testimonianza, come detto, risale a qualche anno fa anche se è rimasta segreta finora. C’è da chiedersi se non potesse arrivare una dozzina di anni prima, cioè quando Arcangioli fu indagato, processato e assolto per la foto che lo ritraeva con la borsa in mano. Sarebbe stato importante allora sapere dal funzionario di Polizia che proprio lui aveva avuto in consegna la borsa da Arcangioli quel giorno. Nessuno di quelli che toccò o vide la borsa quel giorno, né il capitano assolto, né l’ex magistrato Giuseppe Ayala, presente in via D’Amelio, né l’ex agente Maggi, nessuno aveva mai descritto questa staffetta tra Arma e Mobile. Meglio tardi che mai, certo.
I pm di Caltanissetta hanno sentito a sommarie informazioni altre due persone informate dei fatti e hanno fatto uno studio del materiale video e delle foto disponibili sulla scena di via D’Amelio del 19 luglio 1992. Non hanno trovato smentite ma anzi qualche parziale riscontro alla versione del funzionario di Polizia sulla borsa che si innesta bene con la testimonianza resa pochi mesi fa dall’amico della famiglia La Barbera sull’agenda. Angiola e Serena La Barbera sono difese dall’avvocato Giuseppe Panepinto (illustre legale del foro di Caltanissetta, già difensore del funzionario di Polizia Mario Bo nel processo per il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’amelio – concluso con la prescrizione in primo grado – e del poliziotto Vincenzo Maniscaldi, indagato dalla Procura di Caltanissetta per falsa testimonianza resa nel processo depistaggio stesso) e da Maria Grazia De Leo, con studio a Roma. Entrambi gli avvocati, contattati dal Fatto hanno preferito non rilasciare dichiarazioni.
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