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“Poirot odioso, Lolita pure”. Scrittori contro personaggi
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LETTERATURA
“Poirot odioso, Lolita pure”. Scrittori contro personaggi
FENOMENI – Padri e madri letterati spesso odiano le proprie creature, dalla “Puttana Bovary” di Flaubert alla “scimmietta” di Nabokov e al “dozzinale” Sherlock Holmes
DI CAMILLA TAGLIABUE
9 DICEMBRE 2023
Hercule Poirot è “odioso”, Sherlock Holmes “dozzinale” e Lolita “una scimmia”: non sono i giudizi di critici livorosi, ma i pareri dei padri e delle madri letterati che hanno creato quegli stessi figurini di carta. Gli scrittori, spesso e volentieri, odiano i propri personaggi; qualche giorno fa – ad esempio – la stampa inglese riportava una riflessione della storica Lucy Worsley su Arthur Conan Doyle, assurto “dall’oscurità alla fama mondiale” grazie ai gialli col detective tossicomane di Baker Street: “Sotto la superficie, l’autore era un uomo scontento” perché vendeva molta più “narrativa da quattro soldi” – quella con Holmes – che corposi romanzi storici. Una volta guadagnato abbastanza, il papà decise di uccidere il figlio due anni dopo la nascita, nel 1893, salvo poi pentirsene e resuscitarlo, “invogliato da un editore americano che gli offrì 1,6 milioni di dollari”.
I giallisti sono spietati: una fan di Conan Doyle, tale Agatha Christie, disprezzava profondamente il suo investigatore Poirot: “Perché ho dovuto dare vita a questa piccola creatura odiosa, roboante e noiosa? Tuttavia, confesso che Hercule ha vinto. Adesso provo un certo affetto, nonostante mi costi ammetterlo”. Il belga saccentello compare in ben 33 romanzi e 50 racconti della Christie, che l’ha infine ammazzato nel 1975, un anno prima di morire lei stessa e mezzo secolo e un lustro dopo la sua prima apparizione cartacea (1920): Sipario, mai epitaffio fu più iconico e infatti il New York Times pubblicò il necrologio di Poirot, l’unico dedicato alla morte di un uomo fittizio.
Dopo i noiristi, i più severi – almeno con i propri “personaggetti” – sono i russi: Anton Cechov, in generale, se la prende con la “nostra famigerata ‘psicologia’ (slava, ndr), il nostro ‘dostoevskismo’, figli della pigrizia. Non abbiamo voglia di lavorare, e inventiamo panzane… Mi accusano spesso, lo faceva anche Tolstoj, di scrivere di quisquilie, di non avere eroi positivi: rivoluzionari, Alessandri Magni o quantomeno un onesto capo della polizia… Ma dove volete che vada a prenderli? Noi siamo uomini di provincia, abbiamo città senza selciati, campagne povere, gente stremata… Da giovani cinguettiamo felici e contenti, ma verso i quarant’anni siamo già vecchi e pensiamo alla morte… Begli eroi!”. Memorabili, per cinismo, restano le note del drammaturgo al Gabbiano: “È una commedia, ci sono tre parti femminili, sei maschili, quattro atti, un paesaggio (veduta lago); molti discorsi sulla letteratura, poca azione, tonnellate d’amore”.
Impietosi sono anche i cugini francesi, tipo Honoré de Balzac che degli oltre duemila personaggi della Commedia umana ne risparmia pochi: tra vendette reali, come nei confronti della duchessa di Castries, alias la civettuola stalker Duchessa de Langeais, e fantasmi persecutori; si legga in proposito La cugina Bette, “un romanzo terribile, con una protagonista ugualmente terribile, un misto di mia madre, di Madame Valmore e della zia Rosalie”. Se il conterraneo Gustave Flaubert denunciò: “Io sto morendo, ma quella puttana di Emma Bovary vivrà in eterno”, l’esule Vladimir Nabokov ammette, arrendevole, che “Lolita è famosa, non io”. Benché “il primo, piccolo palpito” della ninfetta lo colpì “alla fine del 1939 o all’inizio del 1940 a Parigi… A quanto ricordo l’iniziale brivido di ispirazione fu in qualche modo provocato da un articolo di giornale su una scimmia del Jardin del plantes, la quale, dopo mesi di blandizie da parte di uno scienziato, aveva fatto il primo disegno a carboncino dovuto a un animale: il bozzetto rappresentava le sbarre della gabbia della povera creatura”. E infatti, tutti i personaggi del russo “sono galeotti condannati ai remi”.
L’altro autore nobile del Nord Europa, Lev Tolstoj, fu più indulgente ma non meno lucido nei confronti della sua eroina scapestrata: Anna Karenina, “un tipo di donna dell’alta società, ma che si è perduta. Il suo compito era di rendere questa donna degna soltanto di pietà e non colpevole”. Più giustizialista fu Fëdor Dostoevskij, i cui Demòni “sono usciti dall’uomo russo, corrotto dal rognoso liberalismo, predicato da certi merdosi scarabei stercorari… La Russia ha vomitato tutto questo canagliume da cui era stata avvelenata e naturalmente non è rimasto nulla di russo. E caro amico: chi smarrisce il suo popolo e la sua appartenenza nazionale, perde anche la fede dei suoi padri e di Dio. È proprio questo l’argomento del mio romanzo: una descrizione di come i demoni sono entrati nel gregge di porci”. Ciononostante, Fëdor riuscì a imbastire il ritratto di uno dei cattivoni più affascinanti della storia della Letteratura: l’anarchico, folle, bombarolo, stupratore, pederasta, immorale Nikolaj Stavrogin.
Di là dall’Oceano, intanto, Stephen King batte a macchina il suo primo romanzo, Carrie, in una roulotte e su una scrivania di fortuna: è solo grazie alla moglie Tabitha che il manoscritto, gettato dall’autore in un cestino, vedrà la luce. E che luce, dopo mille maledizioni alla protagonista.