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Commando/ com-màn-do/ SIGNIFICATO Gruppo di pochi soldati che compie missioni speciali, in particolare ardite incursioni a sorpresa; gruppo armato di poche persone composto di poche persone, che compie azioni criminose fulminee, specie terroristiche/ ETIMOLOGIA voce inglese, mutuata dall’afrikaans commando, a sua volta mutuata dal portoghese./ «L’azione è stata svolta da un commando di tre sole persone.»
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Commando/ com-màn-do/ SIGNIFICATO Gruppo di pochi soldati che compie missioni speciali, in particolare ardite incursioni a sorpresa; gruppo armato di poche persone composto di poche persone, che compie azioni criminose fulminee, specie terroristiche/ ETIMOLOGIA voce inglese, mutuata dall’afrikaans commando, a sua volta mutuata dal portoghese./ «L’azione è stata svolta da un commando di tre sole persone.»
È una parola terribile, dal suono pesante, cupo, vagamente esotico. Perciò, spesso viene usata con compiacimento. Ad esempio è un vecchio amore dei mezzi d’informazione, per i quali la sobrietà, nella narrazione del tremendo, sembra spesso essere l’ultimo dei valori. Meglio impressionare, piuttosto che dire qualcosa di lucido: a maggior ragione possiamo avere la curiosità di capire da dove venga fuori questo termine, che oltretutto, a sentirlo bene, è piuttosto bizzarro.
‘Commando’ è un termine che si usa per indicare il gruppo di poche persone in armi che compie azioni ardite verso obiettivi specifici. Si dice commando il piccolo reparto di militari che fa un’incursione a sorpresa in territorio nemico, si dice commando il manipolo terrorista che compie la sua azione. La voce è presa dall’inglese, ma con tutta evidenza non è nativa inglese. Il gergo inglese l’ha imparata in un frangente storico molto preciso e di solito poco conosciuto.
Le guerre coloniali in Africa sono state interminabili e hanno visto fronteggiarsi praticamente tutti contro tutti. In Sudafrica (prima che esistesse come lo conosciamo noi oggi) alla fine dell’Ottocento si combatterono le due cosiddette guerre anglo-boere, fra i britannici e i boeri, cioè coloni di origine olandese (soprattutto olandese, boer significa ‘colono’). I britannici le vinsero, e acquisirono le repubbliche boere della zona. I boeri però impiegavano una particolare unità, nello scontro armato, che chiamavano appunto ‘commando’: piccoli gruppi di tiratori che attaccavano e fuggivano, specie da lontano, senza scontri campali. I britannici si ricordarono di questo nome durante la seconda guerra mondiale, e (pare su specifica proposta dell’allora tenente colonnello Dudley Clarke, nato proprio a Johannesburg, in Sudafrica) lo diedero alle unità britanniche che avrebbero agito nei territori occupati della Germania nazista con attacchi arditi, mirati, rapidi. Di qui il nome ebbe successo, fino alla diffusione attuale. Però i commando boeri hanno una storia che si spinge in un passato più risalente.
Dopotutto quella boera è una colonizzazione antica, ed è non più tardi della fine del Settecento che iniziano a usare il termine ‘commando’ in afrikaans, la lingua germanica parlata nell’Africa australe. L’ascendenza linguistica del termine è probabilmente portoghese (ricordiamo che il Portogallo, fra le altre, ebbe come colonie nell’area il Mozambico e l’Angola): letteralmente significa ‘comando’ ma il senso è quello di ‘gruppo comandato’: comunque il primo frangente d’uso non riguardava gente in guerra, ma un genere di spedizione punitiva nei confronti delle popolazioni indigene — spesso pretestuosa e con fini di razzia e peggio — che veniva compiuta dai boeri col permesso di un’autorità centrale (ad esempio così spiega il termine e la pratica George Carter nel suo A Narrative of the Loss of the Grosvenor, del 1791).
Da spedizione contro gli indigeni a tattica di guerra coloniale, e quindi di guerriglia moderna, e infine più in genere di azione violenta, il commando ci ha raccontato tutto il suo pedigree. Quando leggiamo del commando che blocca il traffico fulmineamente per una protesta, del commando che svuota il magazzino nottetempo, del commando di tifosi ostili che fa una comparsata all’aeroporto, rendiamoci conto di quale è il grado di violenza che si sceglie di rappresentare. ‘Commando’ è un termine che può ammantarsi di tecnicità, ma spesso è una risorsa facile (se non poco onesta) per rendere roboante e drammatico un racconto. Le parole così intrinsecamente intessute di violenza, funzionano meglio se sono usate con sobrietà.
È una parola terribile, dal suono pesante, cupo, vagamente esotico. Perciò, spesso viene usata con compiacimento. Ad esempio è un vecchio amore dei mezzi d’informazione, per i quali la sobrietà, nella narrazione del tremendo, sembra spesso essere l’ultimo dei valori. Meglio impressionare, piuttosto che dire qualcosa di lucido: a maggior ragione possiamo avere la curiosità di capire da dove venga fuori questo termine, che oltretutto, a sentirlo bene, è piuttosto bizzarro.
‘Commando’ è un termine che si usa per indicare il gruppo di poche persone in armi che compie azioni ardite verso obiettivi specifici. Si dice commando il piccolo reparto di militari che fa un’incursione a sorpresa in territorio nemico, si dice commando il manipolo terrorista che compie la sua azione. La voce è presa dall’inglese, ma con tutta evidenza non è nativa inglese. Il gergo inglese l’ha imparata in un frangente storico molto preciso e di solito poco conosciuto.
Le guerre coloniali in Africa sono state interminabili e hanno visto fronteggiarsi praticamente tutti contro tutti. In Sudafrica (prima che esistesse come lo conosciamo noi oggi) alla fine dell’Ottocento si combatterono le due cosiddette guerre anglo-boere, fra i britannici e i boeri, cioè coloni di origine olandese (soprattutto olandese, boer significa ‘colono’). I britannici le vinsero, e acquisirono le repubbliche boere della zona. I boeri però impiegavano una particolare unità, nello scontro armato, che chiamavano appunto ‘commando’: piccoli gruppi di tiratori che attaccavano e fuggivano, specie da lontano, senza scontri campali. I britannici si ricordarono di questo nome durante la seconda guerra mondiale, e (pare su specifica proposta dell’allora tenente colonnello Dudley Clarke, nato proprio a Johannesburg, in Sudafrica) lo diedero alle unità britanniche che avrebbero agito nei territori occupati della Germania nazista con attacchi arditi, mirati, rapidi. Di qui il nome ebbe successo, fino alla diffusione attuale. Però i commando boeri hanno una storia che si spinge in un passato più risalente.
Dopotutto quella boera è una colonizzazione antica, ed è non più tardi della fine del Settecento che iniziano a usare il termine ‘commando’ in afrikaans, la lingua germanica parlata nell’Africa australe. L’ascendenza linguistica del termine è probabilmente portoghese (ricordiamo che il Portogallo, fra le altre, ebbe come colonie nell’area il Mozambico e l’Angola): letteralmente significa ‘comando’ ma il senso è quello di ‘gruppo comandato’: comunque il primo frangente d’uso non riguardava gente in guerra, ma un genere di spedizione punitiva nei confronti delle popolazioni indigene — spesso pretestuosa e con fini di razzia e peggio — che veniva compiuta dai boeri col permesso di un’autorità centrale (ad esempio così spiega il termine e la pratica George Carter nel suo A Narrative of the Loss of the Grosvenor, del 1791).
Da spedizione contro gli indigeni a tattica di guerra coloniale, e quindi di guerriglia moderna, e infine più in genere di azione violenta, il commando ci ha raccontato tutto il suo pedigree. Quando leggiamo del commando che blocca il traffico fulmineamente per una protesta, del commando che svuota il magazzino nottetempo, del commando di tifosi ostili che fa una comparsata all’aeroporto, rendiamoci conto di quale è il grado di violenza che si sceglie di rappresentare. ‘Commando’ è un termine che può ammantarsi di tecnicità, ma spesso è una risorsa facile (se non poco onesta) per rendere roboante e drammatico un racconto. Le parole così intrinsecamente intessute di violenza, funzionano meglio se sono usate con sobrietà.