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*La spada dell’Arcangelo* di Vincenzo D’Anna*
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*La spada dell’Arcangelo* di Vincenzo D’Anna*
Nei giorni scorsi Papa Francesco, tramite il suo biografo Austen Ivereigh, ha reso noto la sua decisione di sanzionare il cardinale statunitense Raymond Leo Burke togliendogli alloggio, stipendio e tutti i vari benefit di cui solitamente godono i porporati di Santa Romana Ecclesia.
Motivo? Essersi messo contro la linea politica “socialista e progressista” che Jorge Mario Bergoglio sta portando avanti facendosi scudo dell’assunto che egli debba prodigarsi esclusivamente dei poveri. Insomma: il Cardinale americano sarebbe stato ritenuto un eretico per aver osato contraddire queste tesi minimali sul ruolo della Chiesa e del pontificato. Il reprobo Burke pare sia stato accusato di aver utilizzato fondi “per dividere la Chiesa”. In altre parole il Pontefice gesuita che fa tanto il “piacione” ed il modesto innanzi ai giornalisti ed alla sempre più sparuta folla dei fedeli che assistono all’Angelus domenicale, ossia alla predica dalla finestra che affaccia su piazza San Pietro, quando si tratta di vicende interne si mostra tutt’altro che comprensivo e disponibile diventando, anzi, alquanto autoritario. In questa veste caratteriale double face si può scorgere un’altra immagine dell’ex vescovo di Buenos Aires: quella di chi non intende essere contraddetto né tollerare i suoi critici. Taluni gli rimproverano non poche deviazioni dottrinali, non contrastare la secolarizzazione della Chiesa e la banalizzazione della figura stessa del Vescovo di Roma. Un Papa che scrive poco e non produce encicliche che pure rappresentano il punto di vista del Vaticano su talune questioni di estremo interesse sociale per i fedeli. Un magistero, insomma, che più che guidare i cattolici verso sponde coerenti alla fede ed ai suoi dettami si lascia condizionare e guidare a sua volta verso sponde poco coerenti con i dogmi del Cristianesimo e la tradizione storica millenaria della Chiesa di Roma. Essendo il pauperismo ad oltranza il segno maggiormente distintivo del pontificato di Bergoglio, i più recalcitranti sono quei cardinali che amministrano la fede in contesti territoriali che poco o niente hanno da spartire con la visione del mondo e la linea politico-teologica di Francesco. A cominciare appunto dai cardinali americani e da quelli dei paesi maggiormente sviluppati economicamente che assistono impotenti alle profonde mutazioni degli stili di vita e della scala dei valori morali che si diffondono nel loro mondo. Il disagio delle comunità ecclesiali nasce e cresce maggiormente nelle cosiddette big society, le società opulente ove il principale problema non risiede nella diffusa povertà e nel sottosviluppo che affligge gran parte della massa. In quei contesti la deriva etica e lo stravolgimento della morale cristiana (che portano ad un diffuso relativismo morale ed all’ateismo), sono i principali problemi pastorali della Chiesa. La politica bergogliana poco si interessa di questi aspetti avvitata com’è attorno al pauperismo, all’idea di una chiesa permissiva sul piano dottrinale, aperta al multiculturalismo ed alla critica delle società capitalistiche e della stessa proprietà privata, anche in aperto contrasto con la dottrina sociale di un tempo, al suo tradizionale portato culturale. Laddove maggiormente si sente il bisogno di una chiesa combattente e ferma con i precetti morali, coerente con la visione del mondo intero e non di un suo segmento, con la capacità di sapersi distinguere nel terzo millennio dalla crisi delle vocazioni e della fede, dallo annichilamento della famiglia dai lassismo dei costumi, si avverte la mancanza di un pastore che tenga il gregge entro i suoi naturali ed ecumenici “confini morali”. La religione cristiana avrebbe tanto da dire in un mondo nel quale l’uomo tende a credere – utilizzando la potenza della tecnologia – di poter essere Dio, in grado cioè, di manipolare la vita e di comminarsi la morte a proprio piacimento. D’altronde cosa sarebbero stati l’Europa e tutto il mondo occidentale senza le loro radici cristiane, l’etica ed i precetti ideali della fede? Con il discorso di Ratisbona Papa Ratzinger ci richiamava a questa peculiarità culturale del cristianesimo: a quella che fu in crogiolo del sapere e della filosofia cosiddetta scolastica, cresciute tra le mura dei monasteri, con tutti i precetti di civiltà e libertà che seppe ispirare nella vita degli Stati. Oserei dire all’orgoglio di “sentirsi cristiani” anche per aver contribuito allo sviluppo storico di società acculturate e tolleranti. Ritrovarsi con un Papa che si sente più un semplice missionario che Pontefice massimo, un buon samaritano più che un vicario di Cristo in terra , non aiuta la chiesa ad operare nella sua complessa dimensione, né incide sulle costumanze morali e sulle sorti delle nazioni in cui si pratica il cristianesimo. Forse è questo disagio che il Papa rimprovera ai cardinali che mugugnano finendo per punirli. Ma Bergoglio dovrebbe ben sapere la storia della statua posta in cima a Castel Sant’Angelo, il vecchio carcere papalino di Roma. Vi si raffigura l’Arcangelo Michele rappresentato nell’atto in cui rinfodera la spada che ha in mano, come segno di una fede che antepone il perdono alla colpa ed al castigo. Ed un Papa che castiga, non rispetta ne’ il perdono ne’ la fede.