lunedì, 25 Novembre 2024
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Morto Toni Negri, l’ex leader di Potere operaio aveva 90 anni. Lotta di classe, Br e Parlamento: il ritratto. Sangiuliano: “Cattivo maestro”

POLITICA

Morto Toni Negri, l’ex leader di Potere operaio aveva 90 anni. Lotta di classe, Br e Parlamento: il ritratto. Sangiuliano: “Cattivo maestro”

Morto Toni Negri, l’ex leader di Potere operaio aveva 90 anni. Lotta di classe, Br e Parlamento: il ritratto. Sangiuliano: “Cattivo maestro”

È morto Toni Negri. Aveva 90 anni. Filosofo, docente universitario, marxista autonomista e operaista, leader di Potere Operaio a cavallo del ’68, sorta di preconizzatore teorico della presenza della violenza nella lotta di classe, Negri ha poi vissuto dagli anni settanta in avanti una sorta di secondo tempo della sua vita dopo essere accusato di decine di reati legati al terrorismo, finendo in carcere, dissociandosi dalla lotta armata delle BR, poi deputato del Partito Radicale di Pannella, fuggiasco in Francia a metà anni ottanta (grazie alla dottrina Mitterand) e infine autore di uno dei più influenti saggi politici post 1989 ovvero Impero (Rizzoli) dove si sistematizza un rinnovato pensiero critico marxista sulla globalizzazione del capitale. Facciamo però un piccolo passo indietro.

Una figura come Toni Negri, tra gli infinitesimali distinguo di sigle e movimenti politici pre e post ’68, è complessa da spiegare per un qualunque under 40 che non ha una qualche infarinatura di impegno politico novecentesco. Per capire Negri bisogna comprendere il suo infuocato e lucido antagonismo concettuale verso la forma partitica comunista in Italia, e non solo, ovvero verso tutto ciò che si è venuto a formare di “istituzionalizzato” nell’ideologia marxista dopo la morte di Lenin, e la trasformazione del pensiero leninista rivoluzionario, perlomeno a livello occidentale. A questo va aggiunto che, volente o nolente, Negri, padovano di nascita, studia e si forma in un contesto accademico tradizionalista prima delle riforme del ’68, mescolando radici intellettuali influenzate dal cattolicesimo riformato e da un forte socialismo anticomunista. Intanto il professor Negri, agli atti della storia dell’università italiana, diventa nel 1967 professore ordinario di Filosofia Politica dell’ateneo di Padova quindi il più giovane ordinario d’Italia. Incarico prestigioso e baronale che farà da paradossale clamore quando Negri verrà accusato e arrestato per reati legati al terrorismo. Influenzato dal pensiero di Spinoza, Hegel e infine Lukacs, Negri è una bomba ad orologeria sul tema della sovversione ancor prima che studenti e operai cerchino di invadere piazze e strade. Già a partire dai primi anni sessanta l’attività di scrittura saggistica nell’orizzonte marxista si fa forte declinata, tra le mille riviste che si susseguiranno in quegli anni, in un approccio di riflessione e sviluppo materiale di una lotta operaia e operaista al di fuori delle rappresentanze sindacali e partitiche (il PCI per Negri era parte del potere dominante), seguendo il pensiero di Mario Tronti e quindi di un’organizzazione rivoluzionaria leninista.

Proprio mentre diventa docente ordinario Negri diventa sempre più simbiotico ai movimenti studenteschi e con Oreste Scalzone e Franco Piperno fonda la rivista e il movimento politico di Potere Operaio. La sua attività si distingue anche per la presenza materiale in numerosi luogo di lavoro in lotta, a Mirafiori ad esempio, anche se nei primi anni settanta Negri prima confluisce in Autonomia Operaia poi triangolando con gli atenei parigini, dove andrà a tenere diversi corsi, conosce Althusser, Deleuze e Guattari riformulando rinnovate ipotesi di lotta dove la violenza politica del proletariato viene definita “necessaria”.

Per questo ulteriore passaggio radicalmente rivoluzionario e per la frequentazione di leader delle Brigate Rosse come Renato Curcio, Negri finirà poi accusato e arrestato per decine di capi di imputazione tra cui organizzazione sovversiva, banda e insurrezione armata. In pratica Negri viene accusato anche di aver partecipato ad omicidi e rapimenti, a rapine e tentati sequestri di giudici, industriali e sindacalisti, nonché di aver partecipato al sequestro Moro ed essere la voce che telefona ai familiari del leader DC per indicare il tragico ritrovamento del cadavere del presidente del consiglio rapito dalle BR. Da tutta questa articolata e lunga ridda di reati Negri ne esce in parte innocente (nella fattispecie nel caso Moro e in tutti i rapimenti e sequestri), ma è comunque condannato per reati di banda armata, associazione sovversiva e concorso morale ad una rapina che avvenne alle porte di Bologna, ad Argelato, dove venne ucciso un carabiniere. Anche qui per farla breve, attorno all’impianto accusatorio contro Negri nasce una sorta di catena di soccorso e sostegno da parte di diversi docenti universitari che accusano la magistratura di avere creato un teorema ad hoc contro il docente padovano.

Sarà Marco Pannella, leader del Partito Radicale, anticipando le battaglie garantiste legate anche al successivo caso Tortora, ad offrire a Negri una candidatura in Parlamento che diverrà realtà nel 1983 quando Negri diventerà deputato. Prima dell’investitura parlamentare durante la detenzione preventiva nel carcere di massima sicurezza di Palmi, Negri sviluppa una sorta di ripensamento su molte questioni insurrezionali tra cui la ferma condanna della lotta armata. Poco dopo l’ingresso di Negri in Parlamento, nel 1983, la magistratura chiede l’autorizzazione a procedere alla Camera che tra mille peripezie di voti e tradimenti, tra cui l’astensione dei radicali ad una sospensiva chiesta da PCI e PSI, viene concessa. A quel punto Negri fugge nottetempo da Punta Ala verso la Francia e li vi resterà protetto per diversi anni dalla dottrina Mitterand sul terrorismo, insegnando in prestigiose università.

Tornerà in Italia solo 14 anni dopo dove sconterà una parte della pena prevista. L’ultimo imponente momento della vita politica di Negri è il 2003 quando pubblica assieme a Michael Hardt il saggio Impero dove gli autori analizzano l’assetto globale e finanziarizzato del capitalismo contemporaneo, quindi di una “nuova forma di sovranità che scavalca, lasciandole indietro, le vecchie sovranità nazionali, superandole in una nuova logica di potere”. L’impero suddetto, non ha bisogno di un centro di potere, né di confini nazionali in quanto “deterritorializzato e de territorializzante”. Negri e Hardt introducono anche i primi barlumi del concetto di “biopolitica”.

Il saggio diventò tema di dibattito pressoché mondiale, anche perché da un vecchio operaista e movimentista era scaturita una sorta di lunga e articolata riflessione e osservazione critica sul sistema di potere, ma non proprio nutrita e puntuale sul “che fare” (nonché di una possibile risposta nazionalista antiliberista di sinistra non a favore delle destre come oggi impera) per rivoluzionare l’esistente. In una recente intervista a Il Manifesto, Negri ha continuato a ragionare attorno ad una mancata “risposta di sinistra” alla vittoria del capitalismo fin dalla fine degli anni settanta: “C’è stata una volontà della sinistra di bloccare il quadro politico su quello che possedeva. (…) un’immagine potente ma già allora inadeguata. Ha mitizzato la figura dell’operaio industriale senza comprendere che egli desiderava ben altro. Non voleva accomodarsi nella fabbrica di Agnelli, ma distruggere la sua organizzazione; voleva costruire automobili per offrirle agli altri senza schiavizzare nessuno. A Marghera non avrebbe voluto morire di cancro né distruggere il pianeta. In fondo è quello che ha scritto Marx nella Critica del programma di Gotha: contro l’emancipazione attraverso il lavoro mercificato della socialdemocrazia e per la liberazione della forza lavoro dal lavoro mercificato”.

Nella residuale interpretazione che ancora oggi entrambe le due fazioni politiche italiane, destra vs sinistra, offrono al tema della lotta organizzata dei più deboli, dove da sinistra tutto ciò che è a destra è fascismo, e da destra tutto ciò che è a sinistra è comunismo, una figura come quella di Toni Negri oscilla tra le definizioni apodittiche del “cattivo maestro” rivoluzionario da una parte o del “grande vecchio” puparo delle BR dall’altro. Contrappasso del destino Negri muore mentre è in carica il governo più a destra della storia della repubblica. E uno dei primi a commentarne la figura storica e politica è stato un esponente di Fratelli d’Italia, il ministro della cultura Sangiuliano: “Negri fu un cattivo maestro perché dopo il ’68, il passaggio del movimentismo giovanile alla pagina buia degli anni di piombo, con il terrorismo di destra e di sinistra, causò tante vittime innocenti. In termini giuridici, poi, una cosa è l’espressione delle idee, un’altra è la pratica materiale della violenza (…) Negri è stato certamente un cattivo maestro poi però bisogna valutare la sua vicenda in tutta la sua complessità”.

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