di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 12 gennaio 2024

La vicenda di Matteo Concetti, 25 anni, fisico da body builder e testa gravata da particolari patologie psichiatriche, ritrovato senza vita impiccato nel bagno della sua cella di isolamento del carcere Montacuto di Ancona, pone nuovamente al centro dell’attenzione il problema dell’isolamento come sanzione disciplinare. Soprattutto nei confronti di chi, come Matteo, tanto che la procura di Ancona ha aperto una inchiesta, ha patologie psichiatriche e l’isolamento può risultare deleterio. Viene utilizzato per sedare i detenuti che danno in escandescenza (come nel caso del ragazzo finito al centro della cronaca grazie alla segnalazione della senatrice Ilaria Cucchi), oppure che compiono più volte atti di autolesionismo o tentativi di suicidio.

L’uso dell’isolamento come rimedio può sfociare in tragedia, come dimostrano i casi di suicidio verificatisi nelle celle stesse, denunciati da anni dall’associazione Antigone. Al fine di prevenire i suicidi in carcere, nel 2019 Antigone ha presentato una proposta di legge per una riforma completa del regime dell’isolamento. Tuttavia, tale proposta è rimasta inevasa. L’associazione sostiene che la prevenzione dei suicidi richieda l’approvazione di norme che possano garantire maggiori contatti con l’esterno e con le persone care, riducendo così l’isolamento affettivo, sociale e sensoriale.

L’isolamento disciplinare rappresenta una delle pene più severe all’interno delle strutture penitenziarie. Le regolamentazioni variano da paese a paese, ma una soglia comune, stabilita dalle Mandela Rules, è di 15 giorni massimi, termine che, tuttavia, non viene rispettato uniformemente in tutto il mondo. In Italia, questo periodo è il massimo consentito, mentre in altri paesi europei, come Francia e Danimarca, può estendersi fino a 30 giorni. Eppure, dietro a questa pratica si celano diverse criticità e abusi che richiedono un’attenzione urgente. Le autorità garanti hanno rilevato un preoccupante fenomeno legato all’aggiramento della durata massima dell’isolamento attraverso l’emissione di più provvedimenti consecutivi. Le raccomandazioni degli organismi internazionali sono chiare: questa pratica dovrebbe essere vietata. Eppure, troppo spesso, ciò avviene senza che venga effettuata una valutazione accurata delle alternative meno gravose per la salute dei detenuti e la tutela dei diritti umani.

Gli effetti deleteri dell’isolamento – L’isolamento disciplinare, il quale dovrebbe essere riservato a casi eccezionali, è spesso applicato automaticamente, senza una ricerca preventiva di alternative. Questo comportamento da parte delle amministrazioni penitenziarie contribuisce a banalizzare uno strumento potenzialmente pericoloso, con gravi conseguenze sulla salute mentale e fisica dei detenuti. Il XVII Rapporto di Antigone del 2021, in particolare il capitolo a firma di Claudio Paterniti Martello e Federica Brioschi, ci viene in aiuto, facendo luce su questa pratica dilagante che ha effetti devastanti sulla salute fisica e mentale dei detenuti.

La durata massima di 15 giorni, come stabilito dalle Mandela Rules, è un limite arbitrario, con alcuni individui che crollano prima e altri dopo. Come riporta Antigone, quel che è certo è che a lungo termine l’isolamento porta alla morte sociale. Una volta usciti dall’isolamento, spesso i detenuti si comportano come se fossero ancora isolati, soffrendo di sociofobia e perdendo la capacità di interagire con altri esseri umani. Questo risultato è l’esatto opposto di ciò che i sistemi penitenziari ufficialmente perseguono, ovvero la risocializzazione del reo. Alcuni studi identificano una vera e propria sindrome da isolamento, manifestata attraverso disturbi del sonno, dell’appetito, ansia, panico, rabbia, perdita di controllo, allucinazioni e automutilazione. A questi si aggiungono vari sintomi psichiatrici, tra cui ipersensibilità, pensieri ossessivi, disfunzioni cognitive, irritabilità, aggressività, paranoia, mancanza di speranza, letargia, depressione e senso di imminente crollo emotivo, comportamento suicida.

Lo studio di Antigone evidenzia diversi nodi critici, tra cui gli effetti deleteri sulla salute, il rischio di violenze e torture, il trattamento inumano e degradante, e la fragilità delle garanzie procedurali per chi è isolato. Le condizioni materiali delle celle predisposte per l’isolamento spesso mancano di elementi essenziali, contribuendo ulteriormente al degrado della situazione. Si parla delle cosiddette “celle lisce”, dove a volte mancano persino materassi, coperte, lenzuola. In molti casi, il bagno è visibile dallo spioncino o tramite telecamere a circuito chiuso. È comune che non ci siano vetri alle finestre né alcuna forma di riscaldamento. In genere, anche le aree esterne, dove si passano le ore d’aria, sono le peggiori dell’istituto perché piccole e spesso coperte da reti.

Le raccomandazioni internazionali – L’isolamento disciplinare nelle carceri, seppur teoricamente riservato a casi eccezionali, si configura spesso come una pratica dilagante, con gravi impatti sulla salute mentale e fisica dei detenuti. Questa realtà, ben nota alle autorità, è in contrasto con le raccomandazioni internazionali che cercano di salvaguardare la dignità e il benessere degli individui nelle carceri. Le Regole Penitenziarie Europee, ad esempio, stabiliscono chiaramente la necessità di almeno due ore al giorno di “contatti umani significativi” per coloro che sono all’isolamento. Questi incontri non sono meri dettagli organizzativi, ma elementi fondamentali per preservare la personalità e il benessere emotivo dei detenuti. Tuttavia, la realtà nelle sezioni di isolamento spesso trascura tali disposizioni, aumentando il rischio di abusi e suicidi.

Un altro aspetto cruciale sottolineato dalle raccomandazioni internazionali è la richiesta di una visita medica quotidiana per chi è in isolamento. Questo approccio mira a monitorare attentamente la salute fisica e mentale dei detenuti, ma spesso le visite non avvengono regolarmente. Detenuti che rifiutano le visite o medici che non rispettano l’obbligo contribuiscono a creare un vuoto nella sorveglianza, compromettendo ulteriormente la salute dei ristretti. Il ruolo dei medici in questo contesto è fondamentale. Tuttavia, la diffidenza nei confronti dei detenuti e l’assuefazione ai meccanismi interni del carcere possono minare l’efficacia dell’operato medico. La creazione di un ambiente in cui la fiducia tra detenuti e personale medico possa prosperare è cruciale per garantire un adeguato monitoraggio e sostegno.

Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (Cpt) ha sempre prestato particolare attenzione ai detenuti in isolamento. La motivazione di tale attenzione risiede nella consapevolezza che questa misura può avere effetti estremamente dannosi per la salute psichica, somatica e per il benessere sociale delle persone coinvolte. Secondo i rapporti del Cpt “l’indicatore più significativo dei danni causati dall’isolamento è il tasso notevolmente più elevato di suicidi tra i detenuti sottoposti a tale regime rispetto a quello riscontrato nella popolazione carceraria generale”.

Questa drammatica constatazione solleva questioni importanti sul divieto della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti. La prolungata e indeterminata durata dell’isolamento aggrava ulteriormente gli effetti dannosi, mettendo in discussione la coerenza delle politiche carcerarie e la loro aderenza agli standard internazionali. Risulta quindi evidente che l’isolamento carcerario non solo viola le raccomandazioni internazionali, ma mina la dignità umana e il diritto alla salute mentale dei detenuti. Un approccio riformatorio è urgente, ponendo l’accento su politiche carcerarie improntate al rispetto dei diritti umani e all’adozione di pratiche che promuovano la riabilitazione anziché il perpetuarsi di cicli dannosi, tanto da portate in casi estremi anche alla morte. Ed è quello che è accaduto con il 25enne Matteo Concetti.

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