Così il Cirque du Soleil spegne i riflettori della fantasia / La società ha dichiarato bancarotta a causa dell’emergenza
Fa effetto la notizia che il più famoso circo del mondo, il Cirque du Soleil, ha dichiarato bancarotta per il virus. Fa effetto perché dichiara spudoratamente un tratto tipico delle emergenze, eppure sempre sottovalutato: quando ci si sente a rischio si sviluppa un controllo massimo della realtà, e dunque si smette di sognare. Vi pare poco? La bancarotta dell’immaginazione. Prendete la parola fantasia: discende da un verbo greco che indica l’atto del rappresentare. E in effetti come meglio definire l’attività creativa della nostra mente? Una rappresentazione, appunto, non per nulla limitrofa a quel notturno mondo onirico che Freud chiamava con termini teatrali. Il punto è che questo magnifico sipario della nostra fantasia, svela il suo spettacolo solo se la realtà le consente di andare in scena. E adesso è vietato, vietatissimo: siamo con gli occhi sgranati fissi sulla cronaca, sui bollettini, sui grafici del contagio, sui numeri e sulle percentuali. Sognare? È diventato un lusso. Forse perfino una bestemmia. Dopodiché, guarda caso, il circo porta i libri in tribunale.
Certo, d’accordo, i più prosaici diranno che è solo una questione di mancati incassi per il lockdown, e che la colossale macchina del circo canadese danzava da tempo sull’orlo del precipizio finanziario. Tutto giusto, tutto vero. Resta il fatto che migliaia fra pagliacci, saltimbanchi e acrobati da oggi non hanno un mestiere, sono stati licenziati dall’ensemble artistico che portava in tutto il mondo il fascino di un circo senza animali e schiocchi di fruste, tutto affidato all’arte strepitosa di corpi votati, plasmati, scolpiti ore e ore al giorno in funzione del loro numero.
Il Cirque du Soleil era il trionfo delle potenzialità umane: assistervi significava toccare con mano (pardon, con gli occhi) che l’homo sapiens è anche homo artisticus, capace di sprigionare bellezza inaudita nel suo ostinarsi a volare, a lanciarsi nel vuoto, a sfidare la legge di gravità. Ebbene, tutto questo adesso tace dopo 36 anni di trionfi, l’apoteosi del corpo umano viene stroncata dall’estremo opposto, ovvero da un virus che grida al mondo la fragilità di quegli stessi corpi, ed è un corto circuito che non può, non deve passare inosservato: l’acrobata straordinario che incantava platee foltissime pronte a celebrare la perfezione semidivina del suo controllo muscolare, adesso non è solo un eroe sconfitto, ma un essere a rischio di contagio, come tutti. Un po’ come realizzare a un tratto che anche l’Achille di Omero o il Batman della DC Comics sono vulnerabili alla colite, alla varicella o al Fuoco di Sant’Antonio, col risultato che tutto il loro fascino narrativo crolla come un castello di carte.
Ecco perché il crack del Cirque du Soleil assomiglia un po’ al crack di tutti noi, in questo 2020 in cui ci siamo riscoperti orfani della nostra onnipotenza, creature indifese, nude in mezzo alla bufera, regredite allo stato infantile in cui tutto fa paura. Adesso, a questo pianeta di bambini, è stato tolto pure il circo, luogo deputato della fantasia. Ed è un passaggio, lo confesso, che mi impressiona: stiamo perdendo pezzi, uno dopo l’altro, nel mondo intero chiudono i battenti orchestre sinfoniche, teatri, musei, corsi di laurea, biblioteche. Ora tocca agli acrobati e ai clown. Non sono così vitali, in fondo, dirà qualcuno. Ma è proprio questo a farmi paura, la Caporetto di tutto ciò che non sarà “vitale” ma rendeva vivibile l’ex Giardino Terrestre.
Infine, mi corre l’obbligo di segnalarvi l’agghiacciante coincidenza per cui, nello stesso giorno, due detentori di record figurano entrambi sui giornali: il più grande esercito del mondo riceve da Xi Jinping la promessa che i militari cinesi saranno i primi vaccinati, mentre il più grande circo del mondo dichiara bancarotta e chi se ne importa se tornerà mai in pista. Per uno che si salva, c’è uno che muore. Sta accadendo qualcosa di sostanziale, sotto i nostri occhi, senza che riusciamo ancora a metterlo a fuoco, ed ha a che fare con l’elezione di una gerarchia di priorità dettate dall’emergenza. Viva l’artigliere, si scansi l’artista? Disse qualcuno che il senso della storia si coglie nei dettagli. Speriamo si sbagliasse.