Altruismo

 Le parole e le cose

al-tru-ì-smo

SIGNIFICATO Amore disinteressato e dedizione per le altre persone

ETIMOLOGIA dal francese altruisme.

  • «Un gesto così generoso è tipico del suo grande altruismo».

La si direbbe una parola antica, ‘altruismo’; invece l’ha coniata in francese (altruisme) Auguste Comte, padre del positivismo, intorno al 1830. Strano tipo di , Comte: fautore di una visione scientifica del mondo, e insieme  di una sorta di religione laica in cui ognuno fosse «servitore dell’Umanità», fedele al motto «vivere per il prossimo»; chiaramente un uomo dell’Ottocento,  di polemica nei confronti del soggettivismo settecentesco – e quindi dell’egoismo, di cui l’altruismo è esplicito rovesciamento. Anche oggi l’egoismo è considerato perlopiù una brutta cosa, e l’altruismo, al contrario, lodevole. Eppure, a ben vedere c’è qualcosa di  nel principio di «vivere per il prossimo»: se tutti lo applicassero, ognuno diventerebbe mezzo per un fine che, però, non esisterebbe più!

D’altra parte, ovviamente non è necessario spingere l’altruismo fino al sacrificio di sé, altrimenti sarebbe  di rarissimi santi. Per essere altruisti è sufficiente, come recita qualunque vocabolario, adoperarsi in modo disinteressato per il bene altrui, non per forza sacrificando il proprio. L’altruismo può anche essere occasionale, ma se assurge a regola di vita equivale a filantropia, bene-volenza universale – nella prassi, bene-ficenza. È in quest’ che si è guadagnato una certa visibilità nel dibattito intellettuale degli ultimi anni, grazie ad un gruppo di filosofi morali usciti da Oxford – comtiani non dichiarati – che definiscono la propria visione «altruismo efficace»: come scrive lo scozzese William MacAskill (classe 1987) nel saggio Doing Good Better del 2015, «serve un approccio scientifico per fare del bene».

Di primo acchito, sentendo una cosa simile si resta : tendiamo a pensare che la beneficenza sgorghi spontaneamente dal cuore; che vada fatta e ricevuta così come viene, anche perché ‘a caval donato non si guarda in bocca’. E ora, invece, un gruppo di sbarbatelli oxoniensi ci dice che no, non va bene: dobbiamo essere oculati e selettivi. Ci parrebbe forse logico, chiede MacAskill, fare la spesa al supermercato dando la somma da spendere al cassiere e ricevendone in cambio una certa quantità di merce scelta da lui? Certo che no. E allora, perché ci sembra normale donare dei soldi a un ente benefico senza sapere esattamente come li userà? Il punto, però, non è il diritto di sapere, bensì l’efficacia del nostro intervento.

William MacAskill, colto in uno scatto di Sam Deere mentre ti vuole aiutare a calcolare rapidamente con chi merita di più essere altruista.

Analizzando i dati, scrive MacAskill, emerge che certe organizzazioni benefiche non ottengono semplicemente risultati migliori di altre, ma sono centinaia di volte più efficaci. Non una differenza da poco, , e siccome questi dati riguardano la vita delle persone, è giusto sforzarsi di compiere azioni che non siano soltanto buone, ma le migliori in assoluto. Quando si vuole fare del bene, le buone intenzioni non bastano: bisogna «combinare il cuore e la testa», perché «spesso essere irriflessivi significa essere inefficaci» e sprecare risorse preziose. L’altruista efficace, quindi, misurerà la quantità di bene prodotta.

Se il campo d’azione è la sanità, ad esempio, si usa un’unità di , il QALY ( di quality-adjusted life year), che equivale ad un anno in condizioni di perfetta salute. Volendo confrontare l’efficacia di un intervento in ambito sanitario, quindi, si può misurare l’entità del beneficio arrecato. Ad esempio, migliorare la qualità della vita di una persona del 20% per 60 anni equivale a 12 QALY (60 x 20% = 12), mentre prolungare di dieci anni la vita di una persona che è in salute al 70% equivale a 7 QALY (10 x 70% = 7). Oppure, per fare un esempio più concreto: donando 42.000 dollari ad un’organizzazione di assistenza ai non vedenti negli USA, si paga l’addestramento di un cane-guida che migliorerà la vita di una persona per una decina d’anni (la vita ‘lavorativa’ dell’animale), mentre in Africa un’operazione  contro il tracoma costa 25 dollari, quindi con 42.000 dollari si previene la cecità di 1.344 persone.

A chi si scandalizza per questi calcoli e giudica immorale fare graduatorie dei bisogni e ‘pesare’ gli interessi delle persone, MacAskill risponde che, non essendo il nostro tempo e le nostre risorse infiniti, è inevitabile stabilire delle priorità: dopotutto, qualcuno giudica forse immorale il triage del pronto soccorso, ritenendo giusto attribuire la stessa urgenza ad un’escoriazione e ad un infarto?

L’aspetto più controverso dell’altruismo efficace, però, è quello che MacAskill chiama «guadagnare per dare»: piuttosto che intervenire direttamente (ad esempio, andando a fare il medico in Paesi poveri), la scelta più efficace potrebbe consistere nel rimanere ad esercitare nel proprio Paese, guadagnando bene e donando una parte  del proprio reddito, o meglio ancora fare l’imprenditore e diventare un milionario , in modo da poter beneficare ancora più persone. Molti hanno tacciato di ipocrisia questo atteggiamento, che legittimerebbe le persone ad arricchirsi senza limiti né  mantenendo la coscienza pulita con la scusa della beneficenza.

Ma per gli altruisti efficaci contano i risultati, non le intenzioni, e certi dubbi rischiano di essere meri pretesti all’indifferenza o al disfattismo, per cui è inutile fare del bene – tanto, qualunque cosa facciamo è solo una goccia nel mare. Niente scuse, però, avverte MacAskill: «è la dimensione della goccia che conta, non quella del mare, e se decidiamo di farlo, possiamo creare una goccia enorme».