*Putin, il nuovo Creonte*

di Vincenzo D’Anna*

Nell’antica Grecia il teatro era una diffusa forma di acculturazione: un modo per indicare al popolo sia la morale che la religione. Quest’ultima, in particolare, veniva narrata anche attraverso il rapporto che intercorreva tra gli dei ed i comuni mortali la cui esistenza, spesso, veniva etero diretta oppure influenzata dagli abitanti dell’Olimpo. Ciascuna opera teatrale, soprattutto le tragedie, contenevano una morale di fondo che veniva indicata agli spettatori per ammonirli oppure per renderli edotti. Ogni specifica attività artistica era protetta da una propria musa ispiratrice. Queste ultime, secondo Esiodo, erano nove ed a ciascuna di esse veniva associata una delle arti. La più famosa tra loro era senz’altro Calliope, la divinità ispiratrice della poesia epica, ossia quella dedicata alle gesta (mitologiche) degli eroi. E non poteva che essere altrimenti in una terra, la Grecia, che aveva avuto nel sommo Omero il cantore dell’Iliade e dell’Odissea, ossia delle vicende legate alla guerra di Troia ed alle avventure di Ulisse. A seguire, ecco Melpomene la musa del teatro tragico, che ebbe nel drammaturgo Sofocle il massimo autore, insieme ad Eschilo ed Euripide autori di drammi che narrano vicende che, a distanza di venticinque secoli insegnano, a quanti le leggono, lezioni di vita impareggiabili sulla natura dell’uomo e le vicende dell’esistenza. Tra queste spicca l’Antigone il dramma nel quale Sofocle ci insegna cosa siano i diritti inalienabili dell’uomo, indisponibili a qualsiasi autorità, da proteggere da qualunque malvagità oppure abuso del potere costituito. Un’anticipazione di quello che dopo molti secoli fu la dichiarazione dei diritti umani, dei sacri principii sui quali essi si poggiano. La tragedia narra del coraggio di Antigone, figura di donna che sovvertendo i costumi del tempo, si erge a difensore dei diritti del fratello Polinice ad avere degna sepoltura, pur contro la volontà del nuovo re di Tebe, Creonte, che l’ha vietata con un decreto. L’opera ci erudisce sulla necessità che la democrazia abbia cura di garantire il diritto ed il governo al tempo stesso, la libertà per gli amministrati di non essere oppressi dal potere che li governa e che senza l’esistenza di quest’ultimo (che faccia rispettare le leggi) subentra l’anarchia. Un delicato equilibrio tra due tipiche caratteristiche dello Stato democratico che, nelle moderne istituzioni, trova la propria realizzazione nella Magna Carta costituzionale. Polinice è un traditore della Patria, passato al nemico (il re di Argo) per scalzare Creonte dal trono di Tebe e prenderne il posto. Antigone però disubbidisce e seppellisce le spoglie mortali del fratello, invocando l’esistenza di diritti umani che travalicano ogni legge. Ella si appella a quella che veniva chiamata “pietas”, una sorta di diritto che impediva ogni inutile oltraggio nei confronti di un defunto. Polinice però non accetta che i suoi ordini siano discussi e considera rea di tradimento la stessa Antigone seppellendola viva, insieme con il fratello. E veniamo ai giorni nostri. Innanzi alla scomparsa del corpo di Navalny, lasciato morire in un lager siberiano, come non fare paragoni tra il tiranno del Cremlino e quello di Tebe? Come non paragonare Navalny ad Antigone nel momento in cui, pur avvelenato da agenti russi a Londra, una volta guarito, sceglie deliberatamente di tornare nella sua terra per rivendicare quei diritti che un intero popolo non può godere, pur sapendo che sarebbe stato processato carcerato ed ucciso? Come non paragonare la figura della madre del martire che vaga tra il carcere e l’obitorio senza avere contezza di dove sia il corpo del figlio? Parliamoci chiaro se il regime russo sceglie di non restituire il cadavere lo fa sia per nascondere la natura della morte dell’oppositore politico, sia per impedire che la sepoltura dello stesso possa trasformare la tomba in un monito perenne contro il satrapo di Mosca, un monumento alla libertà, al coraggio, all’estremo sacrificio di una vita. Che in Occidente queste tragedie non possano esistere è fin troppo evidente ma non credo che possa soddisfarci e renderci tranquilli. Perché l’interrogativo che ci deve assillare è un altro: laddove un regime tirannico si instaurasse, ove mai, cioè, la nostra Patria fosse invasa da un esercito straniero, quanti sarebbero coloro disposti ad imitare il blogger russo fino all’estremo sacrificio? quanti si arruolerebbero come gli Ucraini, integrando l’esercito fino al punto di sacrificare la propria stessa vita? In sintesi: in una società opulenta, sempre più scarsamente istruita e come tale con scarsi valori di riferimento, sostenuta dalla tecnologia che ne copre i deficit, abituata al cinismo ed all’egoismo, che gode di una libertà ereditata e quindi senza consapevolezza, chi mai affronterebbe i disagi di uno scontro che non reclami nulla di materiale fuorché la messa in gioco della propria vita? Allora forse conviene a molti non scorgere tiranni alle porte dell’Europa. Putin come Creonte maramaldeggia dispoticamente anche perché spera che di Antigone si sia perso il ricordo.

*già parlamentare