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*Cum grano…Salis* di Vincenzo D’Anna*
Gli antichi romani utilizzavano una lingua, il Latino, che aveva il dono della sintesi. Consentiva loro espressioni brevi e concise capaci di rendere compiutamente il proprio pensiero. In forza di tale prerogativa gli oratori dell’Urbe erano soliti tenere discorsi estremamente pratici ed eloquenti, nei quali raramente giravano attorno alla questione. Insomma: fatta una breve premessa, giungevano rapidamente ad una chiara e razionale conclusione. Sia gli intellettuali che gli storici evitavano che fosse l’ascoltatore a dover interpretare quello che veniva loro detto. I Greci viceversa, pur in possesso di una lingua parimenti adatta alla sintesi, indulgevano in dissertazioni demagogiche lasciando spesso all’uditore il compito di capirne il senso. In particolare i filosofi cinici erano capaci di poter sostenere contemporaneamente sia la tesi che l’antitesi, soprattutto se appartenevano a quella particolare corrente di pensiero che li definiva “scettici”. A questa apparteneva anche Carneade di Cirene, reso famoso da Manzoni nei “Promessi Sposi” dove lo cita, per bocca di Don Abbondio, nella famosa frase: “Carneade, chi era costui?”. Gli storici narrano che il filosofo greco fosse stato inviato presso il senato romano, per discutere sull’intricata e mai risolta questione dei tributi che Atene doveva versare ai nuovi dominatori. Come sua abitudine nella prima parte del discorso convenne che i tributi fossero certamente dovuti, ma nel prosieguo negò tale obbligo asserendo che Roma, pur avendo conquistato la Grecia, aveva già ricevuto, in termini di conoscenze culturali, un ampio ristoro. Insomma, da filosofo, Carneade difese il primato della cultura sulla forza delle armi. Ma ciò non fu apprezzato dal Senato perché i Romani, gente pratica, ritennero quella doppia conclusione un tentativo di negare il dovuto dopo averlo riconosciuto legittimo. Storia a parte, sono molte le espressioni sintetiche in latino una delle più famose, un avvertimento ad agire con prudenza, recita “cum grano salis”, ossia il dover agire con il sale dell’intelletto. Un consiglio che a quanto pare non molti giovani seguono, sia per la mancanza di bagaglio culturale ormai estraneo all’attuale simulacro didattico della scuola italiana, sia perché i giovani stessi vogliono sempre cambiare il mondo senza mai attendere. Una forza che spinge alla “rivoluzione” ed alla modernizzazione della società, ma che dovrebbe essere realizzata con i “grani” della sapienza e della tolleranza. Un libertà insomma, che, emendata dell’arbitrio e della violenza, diventa consapevole trasformandosi nel sale e nel lievito di quella pace sociale a cui mira lo Stato democratico. Una libertà che invece utilizza la violenza, l’elusione dei divieti, l’irrispettosa tracotanza verso le istituzioni e quanti le rappresentano, va biasimata e censurata! Che lo Stato di diritto agisca anch’esso oltre i limiti delle proprie potestà è parimenti da condannare, ma se agisce entro le regole di far rispettare i divieti, allora solo gli ipocriti e quel simulacro di genitori che coltiva ad oltranza figli a cui non impartisce educazione, possono farne una tragedia. Vengo anch’io da una generazione – quella che i sociologi chiamano “baby boomer” – cresciuta in condizioni largamente migliori di quella precedente, intemperante e vivace. Una generazione che reclamava cambiamenti, che professava, militando, idee politiche. Una generazione che ha animato le rivolte del ’68 ed i cui guasti, talvolta violenti e manichei, sono ancora evidenti. Quali? la dequalificazione della scuola e della università, l’elogio della democrazia assembleare , il progressivo disfacimento dell’istituto familiare, delle regole e dei valori che in essa si custodivano, la radicalizzazione della politica, come scontro intollerante ed ideologico. Molti, tra i miei coetanei, furono attratti dai “cattivi maestri” e finirono in nuclei terroristi come le Brigate Rosse (a sinistra) ed i Nuclei Armati Rivoluzionari (a destra): vere e proprie bande armate che insanguinarono l’Italia per abbattere lo Stato democratico. In sintesi, come scrive il filosofo tedesco Theodor W. Adorno nei “Minima Moralia”, la “scheggia nell’occhio è la miglior lente di ingrandimento”, che bisognava insegnare ai giovani la “buona vita” stando attenti “ agli indizi della discesa dell’umanità verso l’inumanità”. In soldoni, una critica esasperata alla società del consumismo. A guardarla adesso cos’altro è diventata la società odierna, una volta abbattuti i principi familiari, aver inneggiato alla società degli eguali e del socialismo massificante, della contestazione permanente, della liberazione del sesso, se non esattamente quel che allora si temeva? In cos’altro si sta trasformando la vita del Terzo Millennio? Quelli che predicarono l’abbattimento traumatico dei valori e non la loro fisiologica ed avveduta trasformazione, ci hanno consegnato un umanesimo alienato, tecnologico e digitale, impersonale ed incolto perché vicariato dalla tecnologia delle macchine. Il caso Ilaria Salis, in tal senso, è a dir poco emblematico: una giovane donna che ha scelto la via dello scontro radicale, che si è introdotta in uno Stato straniero (l’Ungheria) e qui è stata arrestata con l’accusa di aver partecipato a proteste ed all’aggressione di due neonazisti durante una manifestazione a Budapest. Arrestata da un regime a suo dire “tirannico”, la Salis non da segni di moderazione, invoca solidarietà in nome di quella libertà di pensiero che ella stessa ha denegato e non ha riconosciuto agli altri. Tuttavia non merita certo le catene né oltraggio alcuno. Nomen omen dicevano i latini: l’augurio è nel nome. Ma di…Salis in quella ragazza se ne vede ben poco!!
*già parlamentare