*A quando i nuovi Acta Diurna?* di Vincenzo D’Anna*
E cosa risaputa, accessibile agli incliti ma anche ai profani della politica, che la Chiesa cattolica ha avuto sempre una grande influenza nel determinismo degli eventi storico politici del Belpaese. Lo ha fatto sempre con la cautela e l’acume che distingue l’agire di un’istituzione millenaria la cui incidenza ha avuto grande risalto in taluni periodi e minore ascendenza in altri. Il tutto anche in dipendenza dello spessore culturale, teologico, spirituale e temperamentale del Papa, ossia di colui il quale viene posto al vertice della Chiesa e della sua complessa organizzazione curiale. Quando sul soglio di Pietro si è seduto un pontefice colto e ben preparato, avveduto, ispirato e pronto nell’agire, la voce del cattolicesimo è giunta lontano, fin nelle segrete stanze del potere, toccando le moltitudini dei fedeli e dei diseredati sparsi in tutto il mondo. Insomma, fin quando ha voluto e saputo parlare, la voce del Vaticano è stata tenuta nel debito conto sia dai governanti sia da buona parte dei cristiani che, fino a prova contraria, sono anche elettori e come tali determinano il successo di una politica piuttosto che di un’altra. Il pontificato di Karol Wojtyla, uomo di eccezionale capacità, non ha avuto eredi degni di lui. Anzi, la scomparsa del Papa polacco ha lasciato una sensazione di vuoto, un termine di paragone ineguagliabile per vigoria fisica e tempra morale. Chi è arrivato dopo è apparso quasi refrattario se non inidoneo a continuare nel titanico sforzo compiuto da quel grande vescovo. Troppo ermetico il pontificato di Ratzinger, grande teologo e pensatore, ma poco incline alla passione del gesto e dell’impresa ecumenica. Impalpabile o quasi Bergoglio con la sua fede socialista e populista ereditata dalle tesi sudamericane della cosiddetta “teoria della liberazione”. Insomma: dopo Giovanni Paolo II la Chiesa ha smesso di parlare ex cattedra al suo popolo sia in materia di fede che di costumanze etiche e comportamentali con il risultato di trasformare il tutto in bonaria pastorale pauperistica. Ed è così che le nuove mode hanno fatto breccia tra i credenti, senza incappare in alcuna forma di contrasto culturale, innescando un processo di secolarizzazione e di adeguamento alle mode sociali del momento. Supinamente si è infatti accettata la teoria gender della parificazione transeunte dei generi. A poco a poco si è fatto largo il nuovo lessico progressista che, sdoganando parole e concetti, ha surrettiziamente accreditato anche il pensiero che si accompagna a quei neologismi pseudo emancipanti. Le nuova parole hanno accompagnato surrettiziamente una nuova morale. Così sono passati in secondo ordine la manipolazione degli embrioni e l’eugenetica, l’eutanasia, le pratiche edonistiche , la subalternità alla tecnologia, l’arrendevolezza innanzi al multiculturalismo che cancella la storia europea e le sue radici cristiane!! Insomma siamo approdati alla nascita di un nuovo umanesimo sostanzialmente scristianizzato. Ora, la riflessione nasce spontanea: se il pastore tace il gregge non può che sbandare ed ecco che l’ateismo impera, il relativismo etico si afferma e la Chiesa finisce per secolarizzarsi. Come uscirne? Il modo più semplice sembra quello di ritornare all’essenza della nostra fede, al contributo politico e sociale che essa ha profuso nella storia dell’Umanità, a rimarcare le peculiarità tipiche del Cristianesimo che Benedetto XVI concentrò nel celebre discorso di Ratisbona. Anche in politica ormai manca la voce dei cattolici, sia quella dei democratici, che si rifacevano al socialismo di Giuseppe Dossetti, sia quella dei popolar liberali, che si rifacevano invece a don Luigi Sturzo. Insomma, occorre ripartire da quell’insieme di valori e di programmi condensati nella dottrina sociale della Chiesa ed orientati dalle encicliche papali sui vari problemi che emergono dalla società. Serve il coraggio di dirsi “cristiani”, di rivendicare un portato culturale laico in politica e religioso nel mondo spirituale. Siamo ormai circondati da atei devoti, da una pletora di persone che plaude al Papa solo quando questi si spoglia di ogni santità e, da ieratico vicario di Cristo, si trasforma in un bonario curato di campagna, in un contestatore finanche del dettato della Rerum Novarum, della proprietà privata. Il vescovo di Roma? Va bene solo quando indulge verso il socialismo ed arriva a disconoscere finanche la legittimità ed il fine sociale della ricchezza. Si plaude a a Bergoglio solo quando si sposta su sponde desuete e minimali, più da missionario che da capo di Santa Romana Chiesa e dell’enorme ecumenica responsabilità di parlare al mondo intero. Guido Gonella intellettuale cattolico ed in seguito ministro nei governi De Gasperi, approcciò questi temi da laico ed amante di quella libertà senza la quale non si può edificare la società che guardi innanzitutto all’Uomo ed ai suoi bisogni spirituali e materiali. Durante il Fascismo, sulle pagine dell’Osservatore Romano, Gonella scrisse gli “Acta Diurna” per indicare ai cattolici il senso, il valore della politica e della libertà. Quando potremmo rileggerli prima di affogare nel pantano sociale che non ha né idealità né fede in nulla?
*già parlamentare