La relazione Dia fa a pezzi Bonafede: “Devastante gestione delle carceri”
La Direzione investigativa, antimafia contesta la messa ai domiciliari di circa 500 boss causa pandemia. “Un errore disastroso”. Un allarme, forte e chiaro. C’è il rischio che il disastro economico creato dalla pandemia in Italia abbia spalancato la porta alle infiltrazioni mafiose. Ma anche una critica durissima.
La gestione del sistema carcerario da parte del ministero della Giustizia, che nei mesi del Covid-19 avrebbe comportato, letteralmente, “un vulnus al sistema antimafia”. Ha toni particolarmente gravi l’ultima Relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia per il luglio-dicembre 2019, consegnata ieri al Parlamento.
Un capitolo del lungo dossier (888 pagine) è dedicato all’emergenza sanitaria. Gli analisti della Dia, l’ente investigativo che dal 1991 coordina le indagini contro il crimine organizzato e dal 2017 è retto dal generale dei carabinieri Giuseppe Governale, segnalano che le mafie – e soprattutto la ‘ndrangheta calabrese – stanno sfruttando la crisi per accrescere il ruolo di “player affidabili ed efficaci a livello globale”, mettendo le mani su aziende anche di medie e grandi dimensioni finite in crisi di liquidità per i mesi d’inattività cui sono state costrette dal lock-down.
Nella relazione si legge un paragone preoccupante: la paralisi economica provocata dalla pandemia “può aprire alle mafie prospettive di arricchimento e di espansione” a “ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico”. Del resto, che l’infiltrazione mafiosa stia sfruttando la situazione difficile è reso evidente da un dato meno economico e più “politico”: nel 2019 sono stati chiusi per infiltrazioni mafiose 51 enti locali, “un numero che non è mai stato così alto dal 1991”. Si tratta di 20 consigli comunali e di due Aziende sanitarie provinciali, che sono andati ad aggiungersi a 29 amministrazioni già in commissariamento.
Dei 51 enti sciolti, 25 sono in Calabria, 12 in Sicilia, otto in Puglia, cinque in Campania e uno in Basilicata. Un elenco inquietante. Ma c’è un altro capitolo della relazione, quello sulla politica carceraria adottata da febbraio-marzo dal governo, che se possibile ha toni ancora più inquietanti. Qui la Dia esprime una netta critica all’operato del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: un giudizio severo che, sia pure senza mai citarlo, inevitabilmente colpisce soprattutto il ministro grillino della Giustizia, Alfonso Bonafede, da cui il Dap dipende.
Il capitolo dedicato al tema “carceri e mafiosi” dalla relazione suona davvero come uno schiaffo. La relazione ricorda che “l’emergenza Covid-19, associata allo stato di sovraffollamento delle carceri, ha generato forte allarmismo nella popolazione carceraria, sfociato anche in tentativi di rivolta”. In effetti tra il 7 e il lo marzo, grazie all’improvvida decisione del ministero della Giustizia di bloccare lavoro esterno dei detenuti, permessi-premio e incontri con i familiari, 49 prigioni furono squassate da ribellioni, con un bilancio di 13-14 morti trai detenuti, decine di feriti tra gli agenti della polizia penitenziaria e danni per 30-40 milioni.
Ma la Dia contesta soprattutto quel che è venuto dopo: e cioè la stagione delle circa 500 scarcerazioni: “In coincidenza con l’emergenza sanitaria”, si legge nella relazione, “è stata concessa la detenzione domiciliare a numerosi detenuti, in qualche caso anche a boss mafiosi condannati definitivamente per reati gravi, molti dei quali sottoposti al regime di alta sicurezza e alcuni addirittura al regime detentivo di cui all’art. 41bis, legge 354/1975 (cioè il carcere di estrema sicurezza, ndr).
La Dia guarda con grande allarme a quella stagione, che ha fatto tornare a casa capi mafiosi come Francesco Bonura, camorristi del peso di Pasquale Zagaria, boss di ‘ndrangheta come Vincenzo Iannazzo. Senza citarla, la Dia critica la controversa circolare emanata dal Dap il 21 marzo, dove si suggeriva che per decidere il passaggio alla detenzione domiciliare per la paura di un contagio si dovesse tenere conto “dell’età avanzata del beneficiario”.
La Dia ricorda infatti – e qui la pagina per il guardasigilli e per il suo entourage assume il tono di una severa “lezione” di antimafia – che “l’età avanzata, per le organizzazioni mafiose, e per Cosa nostra in particolare (…), non è affatto un impedimento all’esercizio del potere da parte dei capi, ma al contrario rappresenta un fattore di rispetto e prestigio”.
Insomma, secondo la Dia il risultato delle scarcerazioni dei boss è stato un errore devastante. Che ha offerto “l’occasione per rinsaldare gli assetti criminali sul territorio, anche attraverso nuovi summit e investiture”. Perché, ricordano gli analisti al ministro, “un contatto ristabilito può anche portare alla pianificazione di nuove strategie affaristiche (frutto anche di accordi tra soggetti di matrici criminali diverse, maturati proprio in carcere) e offrire la possibilità ai capi meno anziani di darsi alla latitanza”.
La Dia segnala poi che “la scarcerazione in anticipo di un mafioso, addirittura di un ergastolano, è avvertita dalla popolazione delle aree di riferimento come una cartina di tornasole, la riprova di un’incrostazione di secoli, diventata quasi un imprinting: quello secondo cui mentre la sentenza della mafia è certa e definitiva, quella dello Stato può essere provvisoria e a volte effimera”.
La Dia ricorda infine a Bonafede che concedere “la detenzione domiciliare contraddice la ratio di quella in carcere, che punta a interrompere le comunicazioni e i collegamenti tra la persona detenuta e l’associazione mafiosa di appartenenza. In sintesi, qualsiasi misura di esecuzione della pena alternativa al carcere per i mafiosi rappresenta un vulnus al sistema antimafia”.
Fonte: di Maurizio Tortorella/ La Verità, 18 luglio 2020