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CAPUA – ESTORSIONI E USURA: PM DDA CHIEDE UN’ASSOLUZIONE E TRE CONDANNE. VITTIMA L’IMPRENDITORE BATTAGLIA /.: DUPLICE DELITTO CATERINO-DE FALCO DEL 2003, CONDANNATA UNA INTERA FAMIGLIA DI TRE COMPONENTI A 28 ANNI DI CARCERE CIASCUNO. ASSOLTO IL LUOGOTENENTE DI IOVINE, CORRADO DE LUCA. L’ACCUSA AVEVA CHIESTO L’ERGASTOLO.
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CAPUA – ESTORSIONI E USURA: PM DDA CHIEDE UN’ASSOLUZIONE E TRE CONDANNE. VITTIMA L’IMPRENDITORE BATTAGLIA PER ANNI AUTORE DI DENUNCE E RICHIESTE DI AIUTO ANCHE AI PASSATI GOVERNI
Le sue denunce, sia contro usurai che camorristi che lo avrebbero minacciato, hanno fatto nascere inchieste e avviare processi, alcuni dei quali terminati ed un ultimo in via di conclusione davanti ai giudici della prima sezione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere (presidente Sergio Enea) dove il pm della Dda ha chiesto un’assoluzione e tre condanne per complessivi 23 anni di carcere. La vittima, Roberto Battaglia, imprenditore caseario e titolare di un’azienda bufalina con attività tra Caiazzo e Pontelatone e attività a Capua, aveva confermato in aula le accuse in un diverso processo. Il pm ha chiesto l’assoluzione per mancanza di prove per Tommaso Grandinetti (difeso dall’avvocato Cesare Gesmundo) ex perito assicurativo. A Michele Altarelli, ex infermiere sono stati chiesti 8 anni e per Luigi Schiavone e Giuseppe D’Anna 7 anni e 6 mesi ciascuno, questi ritenuti vicino al clan dei Casalesi accusati a vario titolo di usura ed estorsione aggravata dalla camorra. I fatti, risalgono al decennio 1998-2008, periodo in cui la famiglia dell’imprenditore si trovava in una situazione debitoria nei confronti di alcune banche per un prestito di 50 mila euro come acconto sull’acquisto della sede dell’Agenzia di viaggi Battaglia, mai perfezionato a causa del pignoramento delle banche. L’imprenditore da quel momento aveva ricevuto pressioni e minacce da parte di Schiavone e D’Anna, arrestati poi nell’azienda bufalina di Battaglia, mentre cercavano di estorcere denaro. All’epoca Battaglia non riusciva a ottenere finanziamenti dagli istituti di credito, necessari per proseguire l’attività nel settore zootecnico, nonostante avesse denunciato i suoi usurai finendo – secondo l’accusa – vittima di tre estorsori che gli avevano chiesto un tasso del 300 per cento per un prestito di 100 mila euro. I tre non avevano esitato ad approfittare dello stato di bisogno della famiglia Battaglia che aveva intanto chiuso la propria attività, un’avviata agenzia di viaggi di Caserta fra le prime del capoluogo. L’imprenditore in passato si era rivolto anche agli allora ex ministro e sottosegretario Maroni e Mantovano. Nel processo di assoluzione di altri imputati chiuso a Napoli il pentito Massimiliano Caterino, raccontò di rapporti di frequentazioni strette tra la vittima, alcuni fratelli del boss Zagaria ed il padre di questi ultimi oltre che di una presenza di Battaglia come invitato ad un matrimonio degli esponenti della cosca.
SANTA MARIA CV.: DUPLICE DELITTO CATERINO-DE FALCO DEL 2003, CONDANNATA UNA INTERA FAMIGLIA DI TRE COMPONENTI A 28 ANNI DI CARCERE CIASCUNO. ASSOLTO IL LUOGOTENENTE DI IOVINE, CORRADO DE LUCA. L’ACCUSA AVEVA CHIESTO L’ERGASTOLO. IL DUPLICE DELITTO IN PROGETTO DAGLI ANNI ’90. CATERINO AVREBBE INTRAPRESO ESTORSIONI AUTONOME INCASSANDO PER SE’ PUR STIPENDIATO DAL CLAN DEI CASALESI.
Tre condanne a un intero nucleo familiare composto da tre persone e una clamorosa assoluzione, quella di Corrado De Luca (ex braccio destro del boss e poi pentito Antonio Iovine), per il quale era stato chiesto l’ergastolo. Termina così l’ultima tranche di una inchiesta di camorra sul duplice omicidio di Sebastiano Caterino e Antonio De Falco, nipote della compagna del primo, commesso a Santa Maria Capua Vetere nell’ottobre di ventuno anni fa nei pressi del ponte ferroviario dell’«Alifana». La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere ha condannato i componenti della famiglia sammaritana Moronese, ovvero Sandro, Agostino e Raffaelina Nespoli a 28 anni ciascuno, su una richiesta di trenta avanzata per ognuno di loro dal pm antimafia Simona Belluccio. Per il luogotenente di Iovine, l’accusa aveva anche chiesto l’isolamento per un anno ma la Corte presieduta dal magistrato Roberto Donatiello non ha ritenuto fondata la richiesta, assolvendo De Luca. Le motivazione saranno rese note tra novanta giorni ma la decisione potrebbe essere legata a qualche collaboratore inattendibile: in ogni caso non si è raggiunta la prova per condannare l’imputato. Negli anni sono stati già condannati diversi imputati in processi celebrati in passato con rito abbreviato. Fu il tribunale della camorra a condannaere a morte Sebastiano Caterino e il nipote acquisito su decisione di Antonio Iovine, Michele Zagaria, Giuseppe Caterino, Francesco Schiavone detto «Cicciariello», già stati giudicati con rito abbreviato con Giuseppe Misso, Nicola Panaro, Bruno Lanza, Enrico Martinelli, Claudio e Giuseppe Virgilio. In questo processo la famiglia Moronese fu accusata di avere dato la logistica agli assassini fornendo l’abitazione ai sicari dietro io compenso di un televisore molto costoso all’epoca e 5000 euro. L’omicidio si inquadra in una faida tra esponenti del clan dei Casalesi di cui Caterino faceva parte. Sebastiano Caterino, originario di San Cipriano d’Aversa era un pregiudicato di 48 anni ma da alcuni anni aveva scelto Santa Maria come residenza. Umberto De Falco, napoletano di 32 anni trapiantato a Santa Maria Capua Vetere era il nipote della compagna di Caterino. De Falco morì all’ospedale di Caserta dopo alcune ore dall’agguato. Entrambi le vittime si trovavano a bordo di una Wolkswagen Golf di colore nero. I sicari, a bordo di due Alfa Romeo, esplosero almeno una cinquantina di colpi di kalashnikov e di fucile a canne mozze all’indirizzo della Golf trucidando Caterino e ferendo gravemente De Falco. Caterino, detto l’«Everaiuolo» aveva vari precedenti per droga, estorsione e associazione camorristica. All’epoca aveva diversi processi a suo carico pendenti davanti al tribunale e figurava imputato anche nel maxi-processo alla camorra casalese Spartacus che si stava celebrando davanti alla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere oltre in un processo per estorsioni commesse a Modena.L’omicidio di Sebastiano Caterino era stato deciso da tempo, posto che era un nemico dell’associazione sin dagli anni 1990: l’omicidio era stato già deciso nel 1992, quando, dopo la scissione all’interno del clan dei casalesi, l’associazione per delinquere di tipo mafioso aveva deciso di schierarsi contro di lui. Il delitto poi non era stato portato a termine, perché Caterino era stato ristretto fino a maggio del 2002. Francesco Schiavone Cicciriello, stava cercando di riunire il clan coinvolgendo anche Caterino, che iniziò a ricevere la somma di euro tremila euro al mese intraprendendo autonomamente la commissione di estorsioni nel territorio controllato dall’associazione, la quale decideva a questo punto nuovamente di ucciderlo. Nel processo sono stati impegnati gli avvocati Giuseppe Stellato, Paolo Raimondo, Marco Oliveti e Domenico Della Gatta.
Pm Dda,7 anni e mezzo per imprenditori figli vittima camorra
L’accusa: “Da loro un finto impegno antimafia, sono collusi”
, 09 APR – Il sostituto della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Fabrizio Vanorio ha chiesto una pena di 7 anni e mezzo per i fratelli Antonio e Nicola Diana, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto ritenuti vicini alla fazione del clan dei Casalesi guidata dal boss Michele Zagaria. In passato i due fratelli, che hanno un importante azienda di riciclo della plastica, si erano costruiti una fama di imprenditori antimafia, anche perché figli di Mario Diana, vittima innocente della criminalità organizzata. Una “patente” di legalità fermamente respinta dal pm della Dda durante la requisitoria tenuta davanti al collegio del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Per Vanorio, “i fratelli Diana sono degli imprenditori collusi con la camorra, rientrano nel cerchio magico di Zagaria e si sono nascosti dietro al finto impegno antimafia per essere credibili agli occhi della giustizia. Anche le denunce degli attentati erano finte”. Per Vanorio, i Diana, detti “i repezzati”, si “sono sempre interfacciati in modo attento con la camorra, e con le loro società, mediante il cambio assegni, il clan poteva eludere i sistemi antiriciclaggio e pagare gli stipendi agli affiliati”. Secondo il pm anticamorra, dunque, i fratelli Diana sarebbero sempre stati dalla parte del clan, con il quale avrebbero stretto un patto criminale che avrebbe loro permesso di godere di una protezione e di una tranquillità operativa tali da permettere di raggiungere, nell’area territoriale di competenza del clan, una posizione imprenditoriale privilegiata. Ad accusare i due fratelli, che si sono sempre difesi definendosi imprenditori taglieggiati dalla camorra, numerosi collaboratori di giustizia con un passato da stretti collaboratori di Michele Zagaria, come Attilio Pellegrino, Massimiliano Caterino e l’imprenditore Francesco Zagaria. I fratelli Diana hanno denunciato diversi attentati intimidatori che avrebbero subito dal clan, come dei proiettili esplosi verso gli uffici amministrativi dell’azienda o il furto di alcuni camion. Oggi il pm Vanorio, oltre a chiedere la condanna dei fratelli, ha chiesto sentenza di non luogo a procedere per morte del reo nei confronti di Armando Diana, zio di Antonio e Nicola.