IL DOSSIER

Concessioni, la faida sugli investimenti tra Regioni e aziende

ENERGIA – Gare in vista, i gruppi idroelettrici vanno al risparmio

11 APRILE 2024

C’è un filo rosso che lega il federalismo energetico introdotto dalla riforma del titolo V della Costituzione, gli appetiti delle Regioni per i ricavi delle concessioni idroelettriche, fortemente sostenuti della Lega, lo scontro frontale con le grandi aziende concessionarie degli impianti e la spaventosa strage sul lavoro nella diga di Bargi che ha coinvolto la catena dei subappalti di Enel. Il tema è l’invecchiamento delle strutture strategiche per il Paese: dalla rete autostradale alle migliaia di dighe che forniscono all’Italia l’acqua e la seconda quota dell’elettricità da fonti rinnovabili. Un’obsolescenza che crea problemi di conoscenza degli impianti (ecco perché i vecchi tecnici usciti da Enel rientrano come consulenti), di rendimento e sicurezza e che richiede investimenti. Per svecchiare le dighe servono tanti miliardi: chi li mette?

L’ultimo censimento del Gestore del sistema elettrico ha contato 4.860 impianti idroelettrici su tutto il territorio nazionale, concentrati soprattutto nelle regioni alpine. Le 532 dighe maggiori, tra cui 309 a prevalente uso idroelettrico gestite da 28 concessionari, hanno in media addirittura 80 anni. Per rimetterle a nuovo, dotarle di tecnologie evolute e drenare i bacini, in modo da gestire il calo delle piogge per la crisi climatica, servono investimenti per 48 miliardi in dieci anni, secondo uno studio di The European House – Ambrosetti e A2A, società che – non casualmente – insieme a Enel Green Power, Edison e Alperia è tra i maggiori concessionari.

La gestione delle concessioni è in mano alle regioni. Ma in base al decreto 135 del 2018, fortemente voluto dalla Lega, alla scadenza dei contratti o in caso di rinuncia alle Regioni va anche la proprietà delle opere idroelettriche (dighe, condotte forzate, canali di scarico). Le Regioni incassano dalla messa a gara dei contratti, prevista dalla legge del 2022 sulla concorrenza, e dalla produzione elettrica. Questione sulla quale a novembre il governo, che ha pur varato il decreto Energia, non è intervenuto nonostante paresse propenso prolungare di vent’anni i contratti, in cambio di investimenti degli operatori. Lo stallo è stato causato dalla spaccatura tra FdI, che vorrebbe inserire l’idroelettrico tra i settori strategiche di rilevanza nazionale in modo da riprendersi la gestione delle concessioni, e la Lega che invece vuole lasciare decisioni e incassi alle regioni del Nord, dove – almeno sinora – comanda. Così i governatori corrono a mettere a gara le concessioni. Sul tema pesa poi l’Unione europea che nel Pnrr ha imposto di mettere a gara gli impianti con almeno 3 megawatt di potenza. Intanto ai Tar è scoppiata la guerra di tutti contro tutti, tra le Regioni che hanno l’obbligo di bandire le gare (e che vogliono incassare quanto più possibile dalle concessioni) e gli operatori che per investire chiedono la riassegnazione dei contratti e l’estensione delle durate (in Italia hanno scadenze tra le più brevi d’Europa).

Proprio l’ammodernamento tecnologico è quanto stava per terminare a Bargi. Secondo Enel Green Power, nell’ambito di un programma di efficientamento, a inizio 2022 è stato avviato un progetto per l’aggiornamento tecnologico di alcune parti dell’impianto emiliano. Le attività sono cominciate a settembre 2022: per il primo gruppo di generazione elettrica della centrale si sono concluse a marzo con il collaudo, mentre per il secondo gruppo, proprio il giorno della tragedia, gli specialisti delle imprese appaltatrici stavano finendo il collaudo, alla presenza del personale Enel. Progettazione, fornitura, montaggio e collaudo erano stati affidati a giganti come Siemens Energy, Abb e Voith. Al collaudo era presente anche la società Lab Engineering, con “ruolo di coordinamento”.

Qui emerge il ruolo dei subappalti. Ce lo spiega Ilvo Sorrentino, segretario nazionale degli elettrici della Filctem Cgil: “Senza garanzie sui loro investimenti, le aziende concessionarie dell’idroelettrico fanno la manutenzione straordinaria, ma non quella ordinaria che nei fatti è legata a professionalità interne. Occorrono conoscenze specifiche dei singoli impianti, che sono uno diverso dall’altro, e della loro storia. Quelle professionalità non sono più presenti nelle aziende: nessuno conosce più gli impianti”. Ecco perché nei subappalti lavorano ex tecnici Enel, ecco perché ingegneri di 73 anni creano ditte di consulenza. Ecco perché questi lavoratori sono finiti tra i morti e i dispersi.

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