*L’onore delle armi (al Pd)*
di Vincenzo D’Anna*
A beneficio dei lettori più giovani, sarà bene spiegare che “l’onore delle armi” consiste in un’antica usanza cavalleresca, perpetuatasi fin quasi ai giorni nostri, che si manifesta come forma di rispetto nei confronti dell’avversario sconfitto, per il valore da questi dimostrato sul campo di battaglia. Un onore al merito ed al sacrificio allorquando il nemico si è battuto con lealtà ed eroismo rispettando le regole sancite dalle varie convenzioni internazionali (trattamento dei prigionieri). Insomma: un gesto significativo di umanità e di riconoscimento che vale ammirazione. Non sono pochi i casi che la Storia militare ci ha segnalato e che hanno riguardato l’esercito italiano. Quest’ultimo quasi sempre male equipaggiato e scarsamente munito in termini di armamenti, ha spesso dovuto sopperire con il coraggio e l’intelligenza alle croniche carenze logistiche. Accadde sulla linea del Piave dove i nostri fanti furono in grado di respingere le preponderanti armate austro ungariche balzate nuovamente all’attacco dopo lo sfondamento di Caporetto, ma anche in terra d’Africa dove i britannici seppero riconoscere l’eroica resistenza delle nostre truppe, battute ad El Alamein ove “mancò la fortuna non il valore” come qualcuno scrisse sul cippo del 7° Bersaglieri infisso nel terreno al 111 chilometri da Alessandria d’Egitto. Per finire anche il Duca d’Aosta, viceré d’Etiopia, paese che Mussolini aveva strappato al Negus Haile Selassie, appena pochi anni prima, per realizzare il sogno dell’impero coloniale italiano. Il Viceré, accerchiato nel ridotto fortificato dell’Amba Alagi, innanzi all’offerta di resa, rispose: “Per i miei soldati chiedo l’onore delle armi, degli ufficiali fatene quello che volete. Io seguirò i miei soldati”. Per tutta risposta, il nobile Amedeo ottenne che le truppe inglesi presentassero, in segno di rispetto, le armi ai militari italiani usciti infine allo scoperto. Sembrerà una bolsa retorica patriottarda la nostra, ma non lo è affatto innanzi alle crudeltà delle guerre odierne ed agli eccidi dei tanti, troppi, civili inermi. La guerra, per quanto sempre esecrabile, ha finanche perso quei principi di lealtà e di umanità che si rispettavano un tempo. Forme di rispetto che, tutto sommato, venivano inculcate agli ufficiali educati nelle Accademie militari. E tuttavia il senso dell’onore in generale, inteso come l’insieme degli attributi civici e morali che sono riconosciuti in una qualsiasi comunità, non è del tutto perso. Non lo è nello sport, nella vita quotidiana, innanzi all’onestà ed all’impegno (seppure talvolta vani) per il raggiungimento di qualsivoglia finalità. Non lo è più diffusamente verso coloro i quali, pur agendo correttamente, falliscono nei loro intenti. Così anche in politica, intesa come filosofia e tecnica di governo della società. Anch’essa non dovrebbe esserne immune, ancorché la cosiddetta seconda Repubblica l’abbia troppo spesso disconosciuta, travalicandola in una lotta personalizzata e carica d’odio nei riguardi di chi detiene il potere oppure il conforto delle urne. Ricordate quanto accaduto di recente nel nostro Paese? Intere coalizioni eterogenee di partiti si sono formate per contrastare l’ascesa ed il successo elettorale del Cavaliere Berlusconi. Hanno agito senza esclusioni di colpi e di mezzi extra politici come l’uso della giustizia personalizzata per estromettere, costi quel che costi, il nemico. Con questo sistema sono stati stravolti i regolamenti parlamentari, il far play istituzionale, la vita privata stessa dei governanti. Sono stati issati patiboli e colonne infami per screditare i contendenti al solo avviso di garanzia trasformato dal circo mediatico politico in condanna senza appello. Salvo ritrovarsi poi depositari di un moralismo di facciata che giustificasse ogni scorrettezza, perpetrate in nome di un Etica strumentale. Tuttavia qualche volta, va rimarcato, questa condotta è stata evitata e, ancorché postumi, sono stati poi scoperti, sia pure con tanta ipocrisia, pregi e meriti dell’avversario escluso dal gioco. E così l’onore delle armi è tornato in auge. Come nel caso del valor militare, esso è considerato tanto più significativo quanto più distanti sono le posizioni politiche dei contendenti. Credo che questa resipiscenza non debba essere necessariamente a posteriori, ossia riservata allo sconfitto, quanto essere riconosciuta anche indipendentemente dagli esiti dello scontro. E’ il caso infatti di riconoscere l’onore delle armi ai dirigenti del Partito democratico non tanto per la sconfitta, piuttosto scontata, alle ultime elezioni regionali in Basilicata quanto per aver impedito ad Elly Schlein, segretario di quello stesso partito, di inserire il proprio nome nel simbolo del Pd in viste dell’imminente tornata elettorale delle europee!! Chi apprezza infatti la vera Politica, quella con la maiuscola, ha biasimato la fine dei movimenti politici gestiti democraticamente e sulla base di valori e progetti identitari, denunciando la nascita dei moderni schieramenti che sempre vengono assimilati a ditte intestate a persone nonché privi di ogni forma seria e plurale di selezione della classe dirigente. Il Pd, sia pure devastato ai vertici dal risultato di quell’esercizio demagogico chiamato “primarie”, ove mancando la platea degli aventi diritto al voto, perfetti sconosciuti decidono chi debba assurgere ai pertugi del partito. Una forma demagogica che si è tradotta in nemesi sia con Renzi, sia con la Schelin. In quel partito evidentemente funziona ancora un residuale meccanismo decisionale che impedisce la personalizzazione e questo grazie proprio alle regole statutarie di cui è dotato. Essersi dunque opposti alla plastificazione ed al nominalismo “schleiniano” è stato un merito non da poco, cui va dato senz’altro atto. Non so se il Pd uscirà sconfitto nella prossima battaglia elettorale, ma a chi ama e rispetta la “vera Politica”, anche se dal versante opposto, non si può che riconoscere l’onore delle armi.
*già parlamentare