Mottetto
mot-tét-to
SIGNIFICATO A partire dal XII secolo, composizione di musica vocale, con o senza accompagnamento strumentale, per uso liturgico e divenuta una delle forme polifoniche più importanti. Dal XVI secolo, composizione musicale polifonica su testo sacro in latino. Nella poesia italiana del Duecento, breve componimento, vario per metrica e forma, talvolta di carattere gnomico, sentenzioso; il termine è stato ripreso anche nella poesia moderna.
ETIMOLOGIA diminutivo di motto nel significato arcaico di ‘parole di un canto’, dal latino tardo muttum ‘parola’, in occitano mot ‘parola’.
- «È una raccolta di mottetti di autori locali.»
La radice onomatopeica mu– riguarda una sfera semantica comune, quella che identifica la capacità di parlare o meno, con esiti opposti che vanno dal muto al motto. A metà tra i due estremi si trova il latino muttīre (borbottare, sussurrare), mentre dal tardo latino mŭttum derivano sia l’italiano motto che il francese mot, entrambi sinonimi di parola.
A Parigi, la Lutetia Parisiorum dei primi anni del Duecento, comparve il termine motet – letteralmente una ‘parola piccola’, anche nel senso di ‘testo breve’ – e consisteva in una voce (mot o, nel francese latinizzato, motetus) aggiunta superiormente a quella principale che ‘teneva’ il canto (tenor). Le voci aggiunte cantavano quasi sempre un testo diverso da quello del tenore, dando luogo a una forma politestuale e a volte multilingue. I parigini ancora non lo sapevano, ma il mottetto si sarebbe affermato come una delle forme più importanti della musica polifonica.
Infatti, dopo una felice escursione anche nella musica profana, il mottetto rientrò nell’originario alveo della musica sacra e nel Cinquecento brillò di nuova luce. Bello, solenne e piuttosto breve (ma all’epoca la musica non durava mai troppo a lungo), dilagò in tutta Europa.
Fu portato alla perfezione da moltissimi compositori. Due nomi per tutti: Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 ca.-1594) e Orlando di Lasso (1530-1594), che contribuirono a scrivere un capitolo fondamentale della musica occidentale, perdipiù nel difficile periodo della Controriforma.
All’epoca tutta l’arte divenne un potenziale veicolo di propaganda: ogni paese, ogni autore, sviluppò uno stile legato sia alle tradizioni locali che alle direttive centrali della Chiesa cattolica. Messe e mottetti divennero ambasciatori della musica sacra che accompagnava quel culto.
Destinato all’uso liturgico, il mottetto rinascimentale aveva il testo in latino, tratto dalle sacre Scritture. Tecnicamente il suo esordio tipico avveniva con un bicinium, letteralmente ‘canto a due voci’ (bis–canere). La melodia era caratterizzata da un crescendo ritmico ed era spesso ispirata al canto gregoriano. Il risultato era un canone, dove la voce che proponeva la melodia, detta ‘dux’, veniva imitata dal ‘comes’, ‘compagno’ o conseguente del canone. Qualcuno forse ricorderà le entrate scalari del Fra’ Martino campanaro…
Parente della chanson e del madrigale, il mottetto esaltava i significati testuali, ricorrendo a ogni sorta di artificio. Evitava però atteggiamenti sperimentali, che invece trovarono terreno fertile nella musica profana praticata in alcune corti, come in quella di Ferrara. Il mottetto richiedeva una condotta musicale sobria, ritenuta confacente al culto divino.
Dopo il Seicento, tra guerre, crisi economiche e trasformazioni sociali, l’importanza del mottetto decadde, divenendo però il punto di riferimento per molte nuove forme di composizione vocale sacra. Esempi magistrali, anche se non rispondenti al modello ‘classico’ sopra accennato, sono quelli di Johann Sebastian Bach. Il mottetto, infatti, non ha una struttura standard; essendo sopravvissuto a lungo e avendo attecchito in luoghi tanto diversi, è stato inevitabilmente declinato in modi differenti.
Continuò comunque a perdere importanza, lontano dai fasti che aveva vissuto nel Medioevo e nel Rinascimento e senza attirare più l’attenzione dei compositori come ancora avveniva nel periodo barocco.
Il suo antico prestigio s’intuisce però dal fatto che fu adottato in poesia sin dal Duecento. All’epoca probabilmente il termine non denominava una specifica forma poetica ma, secondo Claudio Giunta, era un semplice «‘nome comune’ sinonimo di ‘detto, motto, battuta’». Così furono chiamati Mottetti una cinquantina di brevi componimenti raccolti nelle Rime d’Amore di Francesco da Barberino e, secoli dopo, la serie di liriche che fanno parte delle Occasioni.
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