*Nuova tangentopoli in Liguria? Ci risiamo…*
di Vincenzo D’Anna*
Ci risiamo. E’ notizia di questi giorni l’arresto di Giovanni Toti e di alcuni funzionari della Regione Liguria di cui l’ex giornalista è presidente. Il tutto a poco più di un mese dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Una cosa è certa: il clamore di stampa non gioverà certo alle sorti del centrodestra. Eppure il provvedimento giunge con notevole ritardo, dopo ben cinque anni di inchiesta e cinque mesi dalla richiesta d’arresto formulata dai pubblici ministeri che si interessano al caso, ovvero all’ipotesi di corruzione che vedrebbe il governatore ligure coinvolto nella storia di un finanziamento ricevuto da alcuni imprenditori. Questi ultimi sarebbero stati favoriti da successivi atti adottati dalla Regione. Tuttavia destano perplessità sia l’esiguo ammontare della somma versata, alla luce del sole e debitamente registrata, al movimento politico di Toti (appena 74mila euro), sia la genericità degli atti adottati dal presidente della Regione, in materia di risanamento urbanistico relativo ad alcune aree dismesse. In un altra nazione, ove i rapporti tra chi fa politica ed i portatori di interesse (i cosiddetti lobbisti) sono stati adeguatamente previsti e regolamentati, tutto questo non sarebbe mai potuto succedere. La ragione è di semplice evidenza e riguarda coloro che sollecitano determinati provvedimenti amministrativi in cambio di legittimi finanziamenti alle forze politiche. Politica che accede alle sollecitazioni non nel senso di favorire qualcuno in particolare, ma un intero settore imprenditoriale bisognevole di determinate decisioni politiche per poter operare. Sembra di capire che in Liguria non sia avvenuto un tipico scambio tra il potente di turno ed il decisore politico, non tanto la cura di uno specifico interesse, quanto l’adozione di un provvedimento avente carattere generale. D’altronde, al netto di ogni ipocrisia moralistica, una volta ridotto (per demagogia), ai minimi termini, l’ammontare del finanziamento pubblico ai movimenti politici (piccoli o grandi che essi siano), ci sta che la politica abbia i suoi costi e le forze politiche le loro necessità finanziarie!! Ora, se il provvedimento assunto dal decisore politico ha un positivo riverbero su tutti coloro che operano nel comparto specificamente indicato, favorendo in tal modo gli operatori del settore e non già singole persone in danno di qualcun altro, non si dovrebbero configurare atti illeciti. Stona anche il fatto che i magistrati abbiano avuto un intero lustro di tempo per accertare i termini esatti della questione e decidere sui provvedimenti giudiziari da adottare. Sia come come sia, ancora una volta un provvedimento giudiziario assume carattere di ingerenza nella lotta politica. Ovviamente le parti in commedia oggi si ribaltano e se nelle scorse settimane a protestare per un provvedimento, nell’imminenza delle elezioni comunali a Bari (con ricadute anche sulla regione Puglia), furono le sinistre oggi è il centrodestra che alza la voce. Ma tornando ai fatti, sembra che i togati abbiano impiegato ben cinque mesi per dare esecuzione alla richiesta di arresto formulata dai pm. Pura casualità oppure un sottile calcolo che coincide con la ripresa dell’azione di governo in riferimento alla riforma della giustizia testé annunciata dal guardasigilli Nordio? Un argomento che sarà oggetto di discussioni e sospetti che non faranno affatto bene ai già deteriorati rapporti tra politica e magistratura. Rapporti già esacerbati dalla tetragona difesa dei magistrati innanzi ad ogni proposito di “restyling” in materia giudiziaria, a cominciare dalla separazione delle carriere tra inquirenti e giudicanti. Così come pare debba essere ritenuta urgente l’adozione di una legge che regoli il lobbismo, ossia l’ambito di quel che debba essere ritenuto lecito nei rapporti tra politica e stakeholder. Uno dei problemi che affliggono la nostra giustizia penale, forieri di discrezionalità assoluta per i magistrati e degli errori che ne conseguono, consiste appunto nella mancanza di determinate norme adeguatamente tipizzate, ossia la mancanza di ambiti precisi entro i quali si configuri il reato. Se mancano le norme o quelle che si utilizzano sono ambigue e carenti (vedi, ad esempio, il reato di concorso esterno in associazione malavitosa), la vicenda giudiziaria può trasformarsi nell’esercizio di un potere assoluto e discrezionale nelle mani dei giudici, più che un sereno esercizio della giurisdizione. Se è vero che ogni forma di potere corrompe, quello assoluto corromperà assolutamente. Tutelare l’indipendenza dei magistrati è dunque cosa buona, così come è cosa giusta impedire loro di applicare indiscriminataente leggi che mortifichino e danneggino i diritti e le garanzie dei cittadini. Insomma, torniamo a ribadirlo la giustizia non deve intercettare la politica affinché non si possa dire mai più: ci risiamo.
*già parlamentare