Se scompare la borghesia di Vincenzo D’Anna*

L’Italia è un Paese in cui l’ideologia piccolo borghese ha finito per contagiare anche le classi proletarie. È probabile, purtroppo, che le istituzioni repubblicane nate sulle ceneri del fascismo, sì, anche quelle apparentemente “rivoluzionarie”, finiranno – per lenta evoluzione o per violenza – per riprodurre proprio quelle “ideologie”, magari perpetuando, sotto altri nomi ed altre bandiere, l’eterno “ventennio”. Era questo, più o meno, il pensiero di Carlo Levi in “Cristo si è fermato ad Eboli”. Confinato politico in Basilicata, il grande scrittore torinese aveva toccato con mani le miserie, le arretratezze ed il diffuso analfabetismo delle popolazioni contadine del Materano. Lo Stato sembrava vivere lontano da quelle terre eppure le soggiogava imponendo leggi che di tutto si occupavano tranne che dei “cafoni”. Ovviamente il linguaggio che pur descriveva quell’oggettivo stato delle cose, risentiva del pregiudizio dell’intellettuale piemontese, fervente anti-fascista ma anche socialista massimalista e per questo convinto che quasi tutte le carenze che affliggevano le classi povere e disagiate fossero dovute all’azione della borghesia ed alla dittatura che questa aveva lasciato si instaurasse in Italia. Insomma: ad una sorta di peccato capitale che la borghesia si portava addosso. Ivi compresa la presa del potere da parte di Benito Mussolini. Eppure lo Stato dittatoriale che opprimeva gli “ultimi” di Levi tutto era tranne che un modello borghese non avendone le caratteristiche liberali e democratiche né un libero mercato di concorrenza oppure istituzioni nelle quali non spadroneggiasse la tessera di partito oppure la burocrazia di vecchio stampo. Il fascismo, infatti, non declinava la libertà bensì l’obbligo, per i cittadini, verso qualunque sforzo patriottico che agevolasse un futuro di gloria riconquistata sempre certa ed immanente. Quindi, a volerla dire fino in fondo, anche nel caso di Carlo Levi ci troviamo di fronte ad una sorta di falso storiografico. Solo un regime di egemonia culturale in mano alla sinistra in Italia ha potuto operare questo tipo di “rielaborazione” culturale, inducendo migliaia di lettori a coltivare un’idea sbagliata della borghesia soprattutto se questa si ritrova parificata al fascismo. Ma, fuori da questa ennesima trappola, lontani dal doppio pesismo morale e dalla calunnia verso l’avversario (elementi tipici dell’agire politico anti-borghese ed anti-capitalistico), ben si comprende come e perché perduri questa falsità storico politica. Proviamo a fare chiarezza. La borghesia nasce con la rivoluzione francese, anzi, è quella classe a fornire alla rivolta popolare dei “sanculotti” le direttive ed i dirigenti giusti: persone acculturate, cresciute negli atelier filosofici degli enciclopedisti e di coloro i quali ritenevano il sapere come uno degli strumenti cardine della ribellione contro l’assolutismo monarchico e clericale. Furono borghesi gli intellettuali del “secolo dei lumi” e borghesi furono anche coloro i quali avviarono i commerci e lo sviluppo delle arti e dei mestieri. E borghesi saranno anche gli imprenditori vissuti agli albori della rivoluzione industriale, che, con certezza di evidenza, dimostreranno la fallacia dei presupposti marxisti in economia. Sopiti i livori e gli eccessi del terrore (con il termidoro) e del Bonapartismo (con la sconfitta di Waterloo), il peso di quella classe crebbe non poco in Francia anche in termini economici e sociali. Ovviamente un potere che cresce in economia ma non si pone ancora scopi politici (non avendo chiara contezza della propria forza) finisce comunque per allargare la base della ricchezza a più strati sociali. Quando Jean Baptiste Colbert, ministro delle Finanze del re di Francia, economista ed inventore del “mercantilismo”, ossia di un pervasivo intervento da parte dello Stato nell’economia, convocò i commercianti e gli artigiani di Parigi per un consiglio sulla politica economica, si sentì rispondere: “non ci interessa la politica economica dello Stato. A noi bastano una buona moneta e buone strade”. Ebbene sì: la borghesia pretende dallo Stato solo poche cose e tra queste la stabilità monetaria oltre a buone infrastrutture per sviluppare i commerci. Ovviamente servono anche autorità centrale e leggi per non trasformare il libero mercato nel luogo del sopruso dei più forti. E lo Stato borghese, per l’appunto, ha interesse alla libertà ed al buon governo non certo alla dittatura ed al potere monopolista (marxista o corporativista che sia). Mi chiedo allora: ma caduta la borghesia e con essa i valori dell’Occidente (che ha come presupposto), chi e cosa garantiranno il futuro sviluppo sociale? I giovani protestatari delle libertà occidentali, i contestatori dei diritti civili, della classe media, che inneggiano, comunque sia agli ultimi ed ai diseredati del mondo intero che modello di società intendono offrire alle future generazioni? Se non un mondo che divida equamente la povertà!! Alzi la mano chi conosce la risposta.

*già parlamentare