Il libro “SEIOZERONOVE” di ADOLFO FERRARO

sarà presentato oggi 30 luglio  alle 17,30 dalla Fondazione Napoli, presso il Palazzo Reale in piazza Plebiscito

 “Seizeronove” è il galeone immaginario di 20 detenuti ”  e racconta un percorso di riabilitazione e cura di venti detenuti tra i 24 e i 60 anni, ristretti nel carcere di Secondigliano per reati sessuali nella sezione ” sex offender”.

Tra di loro ci sono un ex ufficiale dell’esercito, un contadino, un infermiere, un professionista: insomma, una rappresentazione significativa della società. Tutto nasce da un laboratorio di lettura e scrittura creativa dal nome evocativo “Lupus in Fabula” tenuto da un gruppo di volontarie e da uno psichiatra, Adolfo Ferraro, che è anche l’autore del testo, dall’ottobre 2018 al giugno 2019. Un laboratorio che diventa sperimentazione per una cura riabilitativa attraverso la letteratura. Il racconto dei partecipanti e la storia successiva che viene costruita si svolge su un immaginario galeone, che viene chiamato “ Seizeronove“, come l’articolo del codice penale che li tiene in carcere.  “Seizeronove” racconta un percorso di riabilitazione e cura di venti detenuti tra i 24 e i 60 anni, ristretti nel carcere di Secondigliano per reati sessuali nella sezione ” sex offender“.

« Tutto parte dalla lettura collettiva di un testo di Italo Calvino, ‘Il visconte dimezzato’, che individua immediatamente la metafora tra il bene e il male e lo stimolo alla necessità di ricomporre le parti di sé», spiega Ferraro.

Nella seconda fase, lavorando sul testo e sui suoi personaggi, si sviluppa una storia autonoma dal testo di riferimento, non senza resistenze da parte dei detenuti, ma significativa per il lavoro del gruppo che, utilizzando i meccanismi della creatività e della riflessione, dello psicodramma e della scrittura, costruiscono una storia anche rappresentativa delle proprie condizioni attuali di vita. «Nell’idea di acquisire una consapevolezza che non nega e non giustifica, ma aiuta a comprendere ».

È un lavoro di introspezione che, affrontato con la giusta leggerezza, riesce a scendere nella profondità delle coscienze. Mettendo in discussione valori di riferimento, modi di agire e ponendosi domande che mai prima d’ora avevano fatto capolino nella mente dei partecipanti al laboratorio.

C’è, infine, una terza fase: da questa elaborazione e dalla storia costruita dagli stessi partecipanti al gruppo è stato tratto un testo letterario con il contributo di ognuno dei detenuti. «Cosa rimane di questo lavoro si vedrà nel tempo – afferma Adolfo Ferraro – Quello che è certo è che un gioco inizialmente visto con sospetto o sottovalutato è diventato serio nel tempo e come tutti i giochi non ha fatto allontanare i partecipanti, anzi li ha incuriositi ed emozionati facendo ritrovare a ognuno parti di sé stesso e cercando di ricomporle come meglio poteva».

 

Fonte: di Raffaele Sardo / La Repubblica