L’ACCORDO

I dubbi degli Usa: “Lo vedremo al supermarket?”. Tra 2 anni è fuori

BENEFICI&C. – Precedente: e c’è chi fa il paragone con il caso Baraldini…

19 MAGGIO 2024

Qualche tempo fa, durante un incontro con i rappresentanti italiani sul caso di “Chico” Forti, uno dei funzionari della Florida ha chiesto se, una volta rispedito in Italia il condannato, avrebbero “visto sui giornali le foto in cui va a fare la spesa al supermercato”. Gli italiani hanno cercato di tranquillizzarlo. Gli americani avevano ancora in testa Silvia Baraldini, che negli Stati Uniti militava in un gruppo armato nato dalla storia del Black Panther Party ed era stata condannata nel 1983 a una pena spropositata di 42 anni per reati associativi, senza aver preso parte a fatti di sangue o violenti: il governo Usa nel 1999 cedette alle pressioni italiane, dopo che l’Italia aveva dato un significativo contributo alla guerra contro la Serbia, e la mandò a scontare il residuo di pena nel nostro Paese, dove però, in applicazione della legge italiana, in poco tempo ottenne i primi permessi e fu fotografata nelle vie di Roma. Da allora, a quanto pare, per 25 anni gli Stati Uniti non hanno più rimandato a casa detenuti italiani. Fino a Enrico Forti detto “Chico” da Trento, oggi 65enne, condannato all’ergastolo in Florida per omicidio.

L’avvocato Carlo Della Vedova, uno dei legali di Forti, parla già della prima richiesta di permesso per consentire al detenuto di fare visita alla madre 96enne che vive a Trento, non si può muovere e quindi non lo vede da oltre dieci anni. Checché ne pensi il governatore della Florida Ron DeSantis, l’ultimo a dare l’assenso al trasferimento di Forti, quello sarà solo il primo permesso.

Gli oltre 24 anni scontati in Florida non sono uno scherzo, le carceri Usa non sono ambienti piacevoli. Ora, dopo la trionfale accoglienza all’aeroporto militare di Pratica di Mare, Forti è andato nel carcere romano di Rebibbia, forse già domani lo porteranno a Verona, più vicino a Trento, ma poi considerando la liberazione anticipata (45 giorni ogni sei mesi) e altri benefici, per la legge italiana potrà essere ammesso quasi subito al lavoro esterno, alla semilibertà e presto alla liberazione condizionale, se non alla detenzione domiciliare per qualche motivo specifico. Di libertà condizionale ha già parlato l’avvocato Alexandro Tirelli, consulente dello zio di Forti e presidente delle Camere penali internazionali: si può ottenere “dopo 26 anni dall’applicazione dell’ergastolo – ha detto – e se il condannato resipiscente ha dimostrato condotta irreprensibile. Allo scadere del 26° anno di prigionia potrebbe chiedere di essere liberato e ottenere la libertà vigilata, uscire dal carcere e cominciare il periodo di cinque anni di libertà vigilata al termine del quale, se non avrà commesso ulteriori reati, potrà ottenere la piena libertà, cioè il fine pena”. Magari si farà il possibile per evitare le fotografie, fermo restando che negli Stati Uniti sanno benissimo come funzionano le cose in Italia e ne hanno avuto conferma ieri vedendo le immagini della presidente del Consiglio Giorgia Meloni che accoglieva il detenuto.

L’unica cosa sicura è che si applica la legge carceraria italiana. L’accordo tra Italia e Stati Uniti si basa sulla Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate, aperta alla firma a Strasburgo il 21 marzo 1983, ratificata dall’Italia nel 1988, alla quale hanno aderito anche Paesi extraeuropei tra cui gli Usa. E prevede appunto che al detenuto trasferito si applichino le regole dello Stato di esecuzione. È il motivo per cui il governatore DeSantis aveva revocato il consenso offerto una prima volta, poi ci ha ripensato ma sempre, ha dichiarato, “a condizione che la pena sia l’ergastolo”. L’ergastolo italiano, a meno che non sia quello cosiddetto ostativo che preclude l’accesso a permessi e benefici, non è come lo intendono negli Usa quando dicono “lifetime without parole”, ovvero che il detenuto non esce più dalla galera, la pena a cui era stato condannato Forti in Florida.

“Chico” si è risolto a chiedere il trasferimento in Italia solo nel 2019, quando ha capito che non avrebbe ottenuto la revisione del processo. Farlo significava chiedere ai giudici italiani, in particolare alla Corte d’appello di Trento, di riconoscere la sentenza Usa, cioè poco meno che dichiararsi colpevole. La Corte ha confermato l’ergastolo. In nessun caso avrebbe potuto infliggergli l’ergastolo ostativo.