*L’Europa del gender* di Vincenzo D’Anna*
Sono 18 i paesi dell’Unione Europea che, nel giorno dedicato alla parificazione dei diritti, hanno sottoscritto un documento sul “progresso dei diritti della Comunità Lgbtiq+”. L’iniziativa, assunta dal Belgio, ha trovato però contrari 9 Stati membri. Si tratta di Italia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Nove paesi su 27 che si sono dichiarati contrari ad equiparare ai generi naturali quelli di lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersex e asessuali. Una contrarietà, la loro, che affonda le proprie radici nel modo di vedere la cosiddetta teoria gender che riconosce ed identifica il diritto dell’essere umano a identificarsi in una diversa categoria sessuale che non sia quella naturalmente e geneticamente determinata dal cromosoma e del fenotipo. In estrema sintesi: le persone smettono di essere semplicemente maschi o femmine per diventare qualcosa di diverso rispetto alla vecchia e consueta catalogazione del genere. A prevalere, in tal caso, non è più dunque l’identità genetica e sessuale bensì la percezione di cosa si intenda essere sotto quel profilo. Prima di ogni altra considerazione occorre dire, chiaramente, che non vale più la plurimillenaria storia biologica dell’individuo ma la percezione psicologica e sessuale di quello che l’individuo desidera essere. Nell’era in cui ogni desiderio si può spacciare per un diritto da rivendicare entro il consesso sociale, si può affermare che si tratta di una grande mistificazione che accantona la fisiologia e la sostituisce con il desidero e la diversa percezione di sé. Insomma: pulsioni, desideri ed inclinazioni psicologiche hanno la loro prevalenza sulle leggi di natura. In soldoni: chiunque può sentirsi quello che crede di essere e farsi identificare in quel modo, costringendo l’intera società a doverne praticamente prendere atto in nome di un diritto che è l’esatto contrario di quello naturale ed è figlio del diktat positivo che lo Stato riconosce ed impone attraverso le norme. Il tutto con buona pace dell’etica pubblica, ossia del vincolo morale collettivo che i cittadini sono chiamati ad osservare e rispettare sotto l’imperio dei codici. Tutto collima con l’idea di uno Stato in grado di sovvertire anche le regole di natura solo perché un certo numero di cittadini rivendica di essere percepito diversamente da quello che è biologicamente dalla sua nascita. Uno Stato siffatto non tutela i diritti di queste persone, perché una percezione del sé, ossia di quello che si sente e si pretende di essere, non può essere spacciato per un diritto, peraltro introdotto attraverso una norma e quindi, di fatto, imposto agli altri cittadini che, in questo modo, sono obbligati a riconoscerlo forzatamente. Un esempio di banale eloquenza viene dal poter dire che i tabagisti, i fumatori impenitenti, hanno la percezione del benessere psico fisico solo se coltivano la pulsione di fumare e di assumere nicotina. Quindi hanno diritto ad essere riconosciuti e tollerati come “fumatori” e non perseguitati dalle restrizioni di legge. Lo stesso varrebbe con le droghe d’abuso per coloro che, non gradendo la realtà sociale nella quale vivono, hanno bisogno di rifugiarsi in ambiti psicofisici ottimali come quelli indotti dalle sostanze stupefacenti. Parliamoci chiaro: se tutto diventa soggettivo e se ogni pulsione e desiderio si traduce in una forma di tutela legislativa, che riconosca non un diritto naturale ma un’inclinazione del gusto sessuale e di una diversa identità di genere, non ci potremo dolere più di niente in futuro. Né escludere l’idea di poter rivendicare, come diritto, un particolare modo di essere, ogni pulsione ogni emozione. Tantomeno potremo (e possiamo) impedire che qualcuno, di converso, abbia il diritto di non dover sottostare ad alcuno obbligo né morale, né sociale, che ci venga imputato da una legge costruita sulla semplice percezione. Ovviamente nella discussione che si è generata non c’è traccia alcuna di queste distinzioni tra i vari diritti che fanno capo ai cittadini né di come lo Stato non possa obbligarci a riconoscere “cose di fatto” basate sull’impalpabile convincimento che ciascuno sente e vuole manifestare. Quello che emerge sono le dichiarazione dei rappresentanti di quelle categorie e di chi contrabbanda, come diritto parificante, un atto di egoismo e di anarchico egocentrismo. Nessuno intende vietare niente ad alcuni, sia ben chiaro, ma nessuno può sovvertire l’ortogenesi umana e la identificazione di genere imponendo i propri gusti. Bene pertanto ha fatto il ministro Roccella ad opporsi a un documento che consacra diritti inesistenti!! Come uscirne? In un clima di tolleranza e di rispetto per tutti e per la loro libertà di vivere, lo Stato deve rispettare tutti i componenti del consesso sociale , senza trasformare in supina e forzata accettazione tutto quel che emerge da una società senza più inibizioni e freni, senza distinzioni di genere e di codici morali. Tolleranza non significa cedere a coloro che credono di poter piegare tutto e tutti ai propri gusti ed alle proprie inclinazioni percettive. Ovviamente le conseguenze di quanto sancito dalla dichiarazione europea sulla comunità Lgbtiq+, sono state del tutto sottaciute. Sì, perché questa malintesa disponibilità è destinata a provocare altri guasti sociali in un futuro in cui ci aspettano famiglie queer, nuclei poligami, sessualità liquida ed indeterminata, un mondo nel quale le cose consuete e naturali vengano sovvertite ed imposte. Un futuro in cui la parificazione delle leggi di natura a quelle statali ci costringerà ad abdicare definitivamente alla tutela degli ortodossi per sostenere come plausibili ed ineluttabili quelle dei diversi!! Non sovvertiremo solo gli uffici dell’anagrafe e le carte di identità, ma un ordine sociale già sbilenco da tempo. Che dire? Gran confusione sotto il cielo di Bruxelles…
*già parlamentare