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“Nessuno nasce Caino”, le voci dal carcere nel racconto della giornalista Amalia De Simone prodotto per Raiplay
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“Nessuno nasce Caino”, le voci dal carcere nel racconto della giornalista Amalia De Simone prodotto per Raiplay
Verranno a chiedere dell’amore, della solitudine, del dolore, del delitto e del castigo, di anni persi e gioventù bruciate. Verranno e vengono e sono la coscienza, il rimorso, il senso di colpa: giudici che non lasciano scampo all’indulgenza. Il documentario Caine, prodotto per Doc 3 – Il cinema del reale e disponibile su Raiplay, ha raccolto le voci femminili di dentro nelle carceri di Pozzuoli e Fuorni-Salerno. L’autrice, Amalia De Simone, è giornalista con l’abitudine a scandagliare nel gorgo: cronaca nera, narcotraffico, rifiuti, guerra; il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’ha nominata Cavaliere al merito della Repubblica per i suoi lavori sulle mafie.
E nonostante tutto ciò non è rimasta indifferente a queste vite devastate: lo diceva Ryszard Kapuściński che questo di raccontare storie non è un mestiere per cinici. “È stata un’esperienza sorprendente – dice – sono entrata tante volte in carcere, ma quando vivi le situazioni con questa intensità stabilisci un contatto più profondo”.
Il lavoro è partito a settembre scorso. Lo stile: quello del racconto immersivo, con la telecamera in mano, tra le celle e i corridoi. Anni di nera hanno messo davanti alla giornalista persone e storie che aveva raccontato quando si erano consumati i reati, e che quindi si è ritrovata davanti. “Questo aspetto – osserva – ha abbattuto muri, cancellato le finzioni, fatto venire meno molti filtri: avevo raccontato gli arresti di qualcuna, o di famigliari, in certi casi mi hanno perfino riconosciuta”. Il resto del pudore lo ha tolto di mezzo la musica: perché De Simone si è portata dietro Assia Fiorillo, cantautrice, che ha scritto suonato e cantato con le detenute fino a tirare fuori Io sono un altro.
Sono 301 le donne nelle carceri campane (2.663 in tutta Italia). I principali reati sono quelli contro il patrimonio, la persona, la pubblica amministrazione e spaccio di stupefacenti. L’ICAM di Lauro (Avellino) ospita sei donne con sei figli, tipologia tra le più delicate. “Era mia intenzione rendere uno spaccato della realtà dentro – spiega De Simone – ma anche di quella fuori: ci sono Ponticelli, il pallonetto di Santa Chiara, il casertano.
E quanto può essere dura la vita in alcuni contesti. Entrare nelle storie degli altri serve a comprendere meglio anche da un punto di vista sociologico”. C’è, nel documentario, chi ha tolto ai figli il cognome del padre perché vicino al clan dei Casalesi; chi ha spacciato per non prostituirsi; chi era affiliata; chi era rapinatrice per noia; chi smerciava borse contraffatte e poi si giocava tutto al bingo; chi vuole restare dentro perché non si sente ancora pronta al mondo fuori; chi non sa più nulla dei suoi figli dopo l’arresto; chi ha dovuto lottare per via della sua omosessualità.
Caine non è Vis a vis, e non è neanche Orange is the new black; non c’è splatter ma neanche fiction: gli aneddoti sono tutti storia di vita vissuta. “Io credo che Caino non nasce Caino: ci si diventa per l’ambiente, le circostanze, le situazioni”, commenta l’autrice. A unire tutte queste storie è l’assoluta mancanza di indulgenza da parte delle protagoniste: tutte sentono forte il peso dei loro anni persi, dell’esistenza segnata, degli sbagli fatali.
“Vivono il carcere in maniera diversa – dice De Simone – per esempio quando sono scoppiate le proteste durante l’emergenza covid, le donne di Fuorni hanno subito pensato a cucire mascherine: pensavano a fuori, ai figli, alle famiglie”. Ed è forse anche per questo che solo il 15% delle detenute è recidivo.
Serve comunque fare di più, come denuncia anche il Garante dei detenuti Campania Samuele Ciambriello: “Va potenziato il personale qualificato: all’Icam di Lauro l’80% del personale è maschile; e poi c’è bisogno pediatri, medici, educatori come implementare le case famiglia protette come legge 62 del 2011; vanno implementati gli studi, percorsi di qualità, oltre ai corsi di formazione professionale”; che renderebbero il carcere meno castigo e più rieducazione. Anche per i tormenti e le possibilità delle Caine.
Fonte: di Antonio Lamorte/ Il Riformista, 2 agosto 2020