Il pm antimafia e membro del Csm contesta il disegno di legge con le nuove regole sulla magistratura. “Vedo più ombre che luci. Si vuole dare all’opinione pubblica l’apparenza di una reazione, senza colpire le vere patologie”. “Complessivamente non mi pare una buona riforma”, dice del disegno di legge Bonafede il pm antimafia e consigliere del Csm Nino Di Matteo.

Qual è la sua cifra?

“La volontà di una reazione improntata alla velocità, per lo più apparente, e l’intento demagogico di dimostrare all’opinione pubblica di voler porre fine a fenomeni degenerativi nel Csm e in parte della magistratura. Ma senza individuare e intaccare le patologie: correntismo, collateralismo con la politica, carrierismo, burocratizzazione e gerarchizzazione degli uffici di Procura”.

Qual è l’ombra più lunga?

“Il sistema elettorale del Csm: inadeguato alla soluzione del problema, può aggravarlo”.

Non è “spazza-correnti”?

“Suggestiva formula mediatica, ma la realtà è tutt’altra. A scapito di minoranze e candidati indipendenti, favorirà le correnti a più forte radicamento territoriale. Il cui potere, che non si esplica solo alle elezioni, non sarà scalfito senza riforma radicali”.

Radicali quanto?

“Sorteggio per selezionare i candidati da sottoporre alle elezioni del Csm. Mi pare l’unico modo per scardinare in radice il potere delle correnti, senza incorrere nell’incostituzionalità. Aggiungo la rotazione triennale per azzerare la folle corsa agli incarichi direttivi e semi-direttivi, che rischia di trasformare i dirigenti degli uffici in capi, con i nefasti effetti ormai di dominio pubblico”.

Che vuol dire fare il capo?

“Il capo può ritenersi investito del potere di condizionare le scelte dei suoi sostituti, trasformandoli in oscuri funzionari attenti a non dispiacere i vertici dell’ufficio. Il che confligge col disegno costituzionale di potere diffuso in cui i capi coordinano i magistrati, senza comprimerne autonomia e indipendenza”.

Per questo si scatenano guerre sulle Procure?

“L’eventuale potere oscuro di un procuratore si misura in quello che fa, non fa e non consente di fare. Per chi teme il controllo di legalità sul potere è più facile controllare 10 procuratori in assetto gerarchico che 200 pm autonomi”.

In qualche modo è già così?

“La magistratura è cambiata. Nelle sedi disagiate non vuole più andare nessuno. Ricordo quando noi giovani pm ci accapigliavamo per avere i processi più delicati ma anche scomodi. Ora c’è la corsa ad appuntarsi le cosiddette medagliette”.

Che cosa sono?

“Collaborazioni organizzative, incarichi di supporto informatico, docenze alla scuola della magistratura. Titoli non legati alle indagini e ai processi, ma preziosi per far carriera. Al cui fine le indagini sono un rischio, ti puoi solo bruciare”.

Le quote rosa le piacciono?

“Le considero un’offesa al valore oggettivo delle donne magistrato. Alcune (6 sui 16 togati) già meritoriamente nel Csm. Tanto più ora che finalmente le donne iniziano a ricoprire importanti incarichi apicali”.

Condivide lo stop alle “porte girevoli” tra magistratura e politica?

“È una delle luci della riforma. Ne segnalo altre due. La più netta separazione nel Csm tra sezione disciplinare e importanti commissioni (incarichi direttivi e trasferimenti per incompatibilità). E il ritorno al concorso aperto a tutti i laureati, per non penalizzare giovani brillanti ma senza una famiglia benestante alle spalle”.

E il divieto per chi va al Csm di concorrere a incarichi direttivi per 4 anni?

“Oltre che demagogico e ingiusto, trasuda finalità punitive dei consiglieri che hanno assolto o assolveranno il compito con coraggio, disciplina e onore. Come se entrare al Csm significhi di per sé brigare, trafficare, sporcarsi le mani”.

Che effetto avrà?

“Disincentivo a candidature di colleghi autorevoli, per non vedersi pregiudicata la carriera. Finiranno per candidarsi al Csm solo magistrati inesperti o a fine carriera”.

Parla anche per sé?

“Parlo per i magistrati stimati e perbene che intendono candidarsi al Csm non rivendicando vantaggi ma non dovendo nemmeno temere svantaggi”.

Separazione delle carriere e azione penale discrezionale non sono nella riforma…

“Ne prendo atto favorevolmente. Ma guai a ridimensionare o a mettere sotto tutela il Csm, che deve tornare a essere presidio di indipendenza della magistratura. Anche contro chi – ancora molti, ne sono convinto – vorrebbe renderla un potere collaterale e servente rispetto alla politica”.

Il decreto Bonafede “anti scarcerazioni” ha risolto la questione dei boss ai domiciliari?

“Constato che molti detenuti, anche pericolosi e legati alle mafie, non sono tornati in carcere. Le conseguenze delle scarcerazioni restano irrisolte. Tanto più per gli effetti simbolici della connessione con rivolte carcerarie senza precedenti, la ferita è ancora aperta e profonda”.

Fonte: di Giuseppe Salvaggiulo/  La Stampa, 9 agosto 2020