* Lezione d’inglese per Elly * di Vincenzo D’Anna*

Per quanto denigrata dai tedeschi nel corso delle due guerre mondiali ed in seguito malamente etichettata anche dall’Italia fascista come “la perfida Albione”, l’Inghilterra ha sempre goduto di splendide ed autorevoli istituzioni. Nel corso della sua travagliata storia, costellata di guerre e di re che se ne contendevano lo scettro, quell’isola ha partorito le basi – ante litteram – della dottrina dello Stato liberale, varando una costituzione con a capo un sovrano che regna ma non governa, essendo quest’ultima funzione affidata al Parlamento eletto dal popolo. In sintesi: la Gran Bretagna ha pagato con il sangue di alcuni dei suoi più illustri figli il primo concreto atto politico ed istituzionale di limitazione del potere assoluto riconosciuto ad un monarca. Un potere molte volte dispotico ed assoluto a tal punto da determinare, con Enrico VIII, il distacco dal cattolicesimo con la concomitante nascita della chiesa anglicana sottoposta gerarchicamente alla corona stessa. In un contesto politico così verticistico fu davvero difficile far affermare le basi del liberalismo incartate, poi, nel 1689, nel “Bill of Rigth”, la prima organica dichiarazione dei diritti politici e civili dell’uomo mai pubblicata fino a quel momento. Fu, appunto, sulla base di quei diritti che videro la luce la prima forma di monarchia costituzionale e il parlamento chiamato a legiferare. Lo stesso era valso, pochi anni prima, con l’adozione, nel 1679, dell’Habeas Corpus, ossia il principio che tutela l’inviolabilità personale e il conseguente diritto dell’arrestato di conoscere la causa del suo “fermo” e di vederlo convalidato da una decisione del magistrato. Stiamo parlando di conquiste politiche e giuridiche che in combinato disposto tra loro, gettarono le basi della democrazia anglosassone e quella di molte altre nazioni europee che si sarebbero formate in seguito ispirate da quel modello di garanzie. Da queste fonti di tradizioni, ancora oggi in gran parte immutate ed osservate con solennità e concretezza, nacque e si sviluppò il fulgido esempio di una nazione caparbia, legata ai propri valori fondanti, fortificata per il tramite di una formidabile marina e di un quadrato esercito, capace, nel corso dei secoli, di costruire un impero vastissimo, esteso fino ai quattro angoli del globo, di cui oggi rimane traccia nel moderno “Commonwealth”, ossia quella comunione di interessi commerciali ed economici che ancora lega le vecchie colonie – dal Canada all’Australia – alla loro storica “madre patria”. Insomma: giù il cappello innanzi a quella nazione ed a quel popolo che, per quanto apparentemente flemmatico e distaccato, ha sempre saputo tirare fuori la grinta e la determinazione necessarie per vincere pressoché tutte le guerre nelle quali è stato coinvolto. In Inghilterra le istituzioni parlamentari sono sacre ed i comportamenti del ceto politico vengono sottoposti al vaglio minuzioso del cittadino oltre che della libera e plurale stampa. Il bipartitismo ed il bipolarismo sono i tratti distintivi di un sistema elettorale completamente maggioritario ove il re conferisce, senza fronzoli procedurali, l’incarico di primo ministro al leader del partito uscito vincitore dalle urne, oppure a figure terze prestigiose nel caso in cui dalle urna sia uscita una risicata maggioranza parlamentare. Percorsi solenni e millenari vengono rispettati sotto l’alta vigilanza della corona che è garante innanzi al popolo. Ed è così che il Regno Unito non subisce traumi politici anche quando si trova costretto ad affrontare situazioni traumatiche e magari in Parlamento lo scontro diventa più acceso. Sì, perché il far play istituzionale è legge non scritta ma sempre rispettata in quelle aule!! Winston Churchill, capo dei conservatori, che pure aveva vinto la Seconda Guerra Mondiale da primo ministro, battuto, nel luglio del 1945, dai laburisti, così si espresse: “Un grande popolo ha anche diritto all’ingratitudine”. Nei giorni scorsi l’Inghilterra ha svoltato a sinistra. Le urne hanno decretato la vittoria del Labour Party con la maggioranza assoluta e sir Keir Starmer, leader di quel partito, si insedierà al numero 10 di Downing Street. Il futuro premier è un laburista moderato, che ammira la politica dei Tory che fu di Margaret Thatcher. Un moderato che, pur sul versante socialista, ha compreso il segno dei tempi nuovi, senza indulgere in ideologismi di vecchio stampo. Il capo dei conservatori, l’uscente, Rishi Sunak, si dimetterà da leader del suo partito. Asciutte quasi lapidarie le sue dichiarazioni: “elettori capisco la vostra delusione ed i vostri problemi. Me ne assumo la responsabilità”. Insomma, la lezione è chiara: chi perde va via, la classe politica si rinnova e non si ripropone lo stesso, eterno , stantio elenco di nomi come di norma accade in Italia dove chi viene sconfitto rimane immarcescibile al suo posto. Il nuovo primo ministro è un avvocato ed è stato anche un magistrato. “Ricostruiremo il paese” si è limitato a dire. Niente drammi, esasperazioni e continue denigrazioni polemiche nei riguardi degli avversari. Sarebbe utile una vacanza di studio a Londra per Elly Schlein onde poter apprendere la lezione pragmatica, adeguata e di sostanza dei Laburisti inglesi. Gioverebbe senza altro sia a lei che alla politica di casa nostra.

*già parlamentare