Rancore

ran-có-re

Significato Malanimo, risentimento conservato nel tempo e di nascosto

Etimologia voce dotta recuperata dal latino rancor propriamente ‘rancidezza’, da rancère ‘essere rancido’.

  • «Non chiedere aiuto a lei. È consumata dal rancore.»

Non di rado c’è da essere scettici riguardo a ciò che un’etimologia ci può dire sui significati attuali di una parola. Il  in cui è nata può essere radicalmente differente da quello in cui la usiamo noi, e la rilettura attraverso i secoli può essere profondissima — l’etimologia ci aiuta a fare altro. Ma per quanto riguarda i nomi di sentimenti ed emozioni spesso troviamo degli spunti che hanno un odore di eternità.

Sono vistosi gli spunti che nascosti in questi nomi si riferiscono a mutamenti che il nostro corpo subisce nel momento in cui quelle  o quei sentimenti emergono (pensiamo a quanto siano fisici i nomi della paura — tremarellaansiaterrore o proprio paura che siano (nell’ordine, un tremare, una stretta al , un restar senza parole, visi che si fanno terrei o pallidi). E anche se parliamo di sentimenti negativi questi sono sempre letti con un’ che sa di poesia lucida. Perciò è tanto più  incappare in un nome di un sentimento che è negativo non nel senso che è spiacevole, acre, ma proprio perché è definito in una maniera che ce lo presenta come un sentimento .

Dopotutto anche i sentimenti peggiori hanno avuto asilo, se non un podio, nei nostri sistemi etici: anche l’odio e la vendetta possono essere considerati con dei profili di giustizia, o addirittura come imperativi morali. Invece il rancore no.
Sembra proprio che non si tratti di un sentimento, ma di gromma, di tartaro, di feccia che resta  al cuore. E che si nota, perché… sa di rancido. Il latino rancère è padre tanto del fetido e putrescente rancidus, da cui il nostro rancido, quanto del rancor, rancidezza e poi rancore. Insomma, il rancore sui suoi documenti porta scritto «qualità dell’essere rancido» e cioè è andato a male. E sulla faccia di chi prova rancore c’è dipinta repulsione.

Il rancore è l’avanzo imputridito di altri sentimenti, trascinato nel tempo e tinto di disgusto: da un lato ha perso tutto il tono speziato, anche acre e piccante, che quel sentimento poteva avere inizialmente, e dall’altro ha perso tutta la carica vitalistica che i sentimenti sanno avere. Risentimento più che sentimento, è tenuto nascosto, conservato con , e marcisce come residuo sulla parete di un barattolo in fondo al frigo, potente nel contaminare e nell’intossicare.
Poteva essere paura — che nell’astio del ricordo senza perdono si  in rancore. Poteva essere rabbia, che diventa rancore quando perde slancio e senza sperare rivalse acquista disgusto. Poteva essere invidia, che non ha più presente ciò che invidiava e si gira in schifo. Poteva essere delusione, sul cui campo  non cresce più altro che avversione.

La saggezza di ‘rancore’ è folgorante — e a dirla tutta anche un po’ invadente. Abbiamo una parola che ci porta a domandarci: ma questa cosa che sento è un sentimento o è un rimasuglio irrancidito? È un sentimento aspro e spiacevole o è un  che mi porto  in cuore?

Foga

fó-ga

Significato Slancio, ardore; forza d’urto

Etimologia dal latino fuga ‘fuga’.

  • «Avevo saltato la cena e mi sono gettato sul buffet della colazione con foga.»

Se affronto la sfida con foga, do l’impressione di essere  e impetuoso — allora com’è che ‘foga’ deriva da fuga, atto codardo per eccellenza? Qui abbiamo una vicenda sorprendente da seguire.

’ sappiamo bene che cosa significa: è il rapido allontanarsi da una situazione, da un luogo, da qualcuno o qualcosa. Lo era anche in latino, proseguendo un’antica radice indoeuropea. Ma la voce latina fuga non ha attraversato i secoli bui nella lingua orale con questo significato — viene recuperata solo nel Duecento come voce dotta, come prestito dal latino scritto. Durante quei secoli, di bocca in bocca, aveva preso un’altra .

La fuga latina è lo scappare, certo, ma se fotografiamo questo scappare senza coglierne la direzione, abbiamo solo un movimento rapido. Questo, nella fuga latina, è un significato secondario. Eppure è questo il significato che continua nella tarda antichità e nel , e nell’uso orale si trasforma leggermente, da fuga a foga. Quando emerge nell’italiano scritto, sempre nel Duecento, ecco che finiamo per trovare fianco a fianco fuga e foga, due , due varianti una dotta e l’altra popolare che vogliono quasi dire l’una il contrario dell’altra, in una strana .

Già perché il movimento veloce, la corsa della fuga latina continua nello slancio, nell’impeto della foga italiana. Diventa un ardore, perfino una furia che muove nell’agire, nel parlare, nel mostrare un sentimento.
Posso parlare di come non si notino particolari nella foga della passione, della foga con cui ci rispondiamo a vicenda insultandoci, della foga con cui studiamo un passaggio che ci esalta. E diventa anche una forza d’urto, come quando parliamo della foga del vento che quasi ci stende, della foga delle acque che strappano la terra.

Agli albori dell’italiano la foga è anche stata il lungo cammino, e la ripida salita — in una maniera non lontana dalla fuga prospettica, dallo  di una fuga di colonne, dalla fuga di una . Ma oggi la foga resta tutta sentimento bruciante, e questo lo apprezziamo anche nello sfogare, che stappa questo sentimento su molti livelli. Slancio più essenziale della , meno entrante dell’irruenza, più direzionato della , meno  della .

Una risorsa semplice, di cui possiamo apprezzare il filo raffinato, molato dalla poesia della lingua di popolo.