*Il tormento e l’estasi* di Vincenzo D’Anna*
È appena trascorsa la notte di San Lorenzo. Alzando gli occhi al cielo abbiamo potuto assistere all’affascinante spettacolo della pioggia di stelle cadenti. Il fenomeno trae origine dalla presenza di una particolare densità di piccoli meteoriti che, entrando in contatto con l’atmosfera, diventano incandescenti e quindi visibili, sia pure per un brevissimo tempo. Guardando in alto, ci siamo divertiti ad esprimere desideri, come è consuetudine in questa tradizionale ricorrenza. L’argomento, di futile interesse, ne introduce un altro di maggiore importanza che riguarda una recente scoperta astrofisica: per ogni cinque stelle simili al Sole, secondo le stime degli astronomi dell’Università della Columbia Britannica (che hanno utilizzato i dati forniti dalla Nasa), nella Via Lattea esisterebbe un pianeta simile alla Terra. Un mondo roccioso le cui dimensioni sarebbero simili a quelle del nostro globo terraqueo. Nella sola Via Lattea, la grande Galassia entro la quale siamo collocati, sarebbero addirittura di sei miliardi i pianeti con quelle stesse caratteristiche!! Ora, considerando che nella parte dell’universo finora conosciuta si calcolano a miliardi di miliardi le galassie, il conto è presto fatto, ancorché si stimi che solo lo 0,2 % di quei pianeti possa essere abitabile. Abitabile significa, sostanzialmente, un mondo in cui sia presente acqua, componente di base per la vita, un’atmosfera con ossigeno e condizioni climatiche compatibili con lo sviluppo dei vegetali e degli animali, almeno quelli aventi forme biologiche a noi note. Per farla breve: esisterebbero molti milioni di pianeti, in una sola galassia, nei quali potrebbe svilupparsi un habitat in grado di riprodurre quei fenomeni biologici che, dopo millenni, hanno determinato la presenza della razza umana e delle altre specie di organismi viventi. Basterebbero queste considerazioni, ossia rilevazioni su base scientifica, per impostare un ragionamento razionale, non filosofico, che confuti sostanzialmente l’unicità dell’Uomo nella creazione universale. Sissignore, creazione non mera casualità, non un gran botto di materia primordiale detto “Big Bang”, che ha sviluppato un universo immensamente grande e straordinariamente preciso: quella grande armonia che gli scienziati, prima ancora che i filosofi ed i teologi, hanno postulato nel corso dei secoli. Immaginare che tutto questo si sia realizzato attraverso l’utilizzo delle sole forze chimico fisiche secondo il caso e la necessità, senza, cioè, un progetto prestabilito di vastità incalcolabile, sembra una grande sciocchezza anche sotto il profilo scientifico oltre che statistico. In disparte la religione, ossia la fede che esista un Dio creatore dell’universo, è proprio sotto il profilo del ragionamento laico e scientifico che per primo cade il ragionamento degli scettici (che dubitano), degli agnostici (che non sanno), degli atei (che non credono). Sono molti gli uomini di scienza che si dicono convinti che siano state le sole forze presenti in natura e l’evoluzione stessa a creare quell’unicum forse irripetibile della vita cosi come conosciuta sulla Terra. A sostegno di queste tesi evidenziano la mancanza delle prove dell’esistenza di Dio. Tuttavia da scienziati dovrebbero dimostrare, dal punto di vista epistemologico, anche il contrario, ossia quali siano le prove scientifiche che escludono l’esistenza di un Creatore dell’Universo. E dovrebbero affidarsi a prove più decisive delle solo speculazioni matematiche come, ad esempio, spiegare l’infinito immenso del creato e le sue regole che sono fatte di un perfetto equilibrio e sincronismo. La questione si potrebbe risolvere con il rigore scientifico più che per fede, ossia cercare anche le prove inconfutabili che dimostrino l’assenza di un creatore. Usando la stessa impostazione dei logici – razionali contrari all’idea di un creatore occorrerebbe trovare una formula che ci indichi la percentuale di probabilità della esistenza e della non esistenza di Dio. Tener conto di quel che sappiamo sulla parte di universo conosciuto, ben poca cosa rispetto al tutto, per far parlare la matematica più che il credo religioso. Ed allora sovvengono due cose : che la congettura filosofica, secondo l’ateo Bertrand Russell, serve non a sapere cosa fare ma a saper porre le domande, anche quella sul creatore, e quella di Agostino d’Ippona che narra del ragazzo che voleva prosciugare il mare con il cavo di una conchiglia. In parole semplici quanto la razionalità e le conoscenze di dimensioni miserrime innanzi all’infinito possano veramente comprenderlo. Sia come sia, ritengo che il vero ostacolo sia la presunzione dell’Uomo , quello che si atteggia a Dio per ogni goccia di quel mare che pretende di prelevare con la sua infinitesimale misura logica. Ogni scoperta misurata rispetto al poco ha un valore ma cosa varrà mai innanzi all’infinito? Ma all’Uomo del terzo millennio questa angusta dimensione cognitiva sta stretta, perché non mancano le nuove conoscenze e gli strumenti tecnologici per arrivarvi, ma l’umiltà di sapere che sono un nulla comparato col tanto che non conosciamo. Insomma manca la cultura di avere una dimensione molto piccola per arrogarsi il diritto di confutarne una infinita. Eppure la cultura andrebbe intesa come lo strumento per sapere dove cercare più che pensare di sapere tutto. L’uomo del terzo millennio ignora la Storia che pure gli appartiene e la Filosofia per porsi domande esistenziali, e quindi vagherà sempre nel buio di un pensiero positivo che esclude tutto quel che non coglie, solo perché ritenuto irrazionale. Innanzi all’estasi di un universo infinito dovrà pur sorgere nelle coscienze umane il tormento di decidere se c’è un creatore.
*già parlamentare