Future generazioni, asini e carichi di debito* di Vincenzo D’Anna*

Contrariamente a quello che comunemente si pensa, l’asino selvatico compare più volte nella Bibbia come sinonimo di libertà ed indipendenza. Addirittura nelle opere d’arte, il quadrupete viene spesso raffigurato in maniera positiva, in quanto animale umile e lavoratore, ma anche in un’accezione negativa, in quanto ignorante, testardo e poco incline a socializzare anche con le altre bestie. Comunque sia il nostro caro mammifero è affetto da solipsismo: gli garba starsene per i fatti suoi per non essere dominato dall’uomo che pure, da tempo immemore, lo ha utilizzato per i lavori più pesanti ed scomodi. Insomma: il mite animale dal caratteristico raglio e dalle lunghe orecchie, non gode propriamente di buona reputazione, contrariamente al più nobile cavallo che si impone, invece, per il suo altero e nobile portamento. In effetti immaginare un prode guerriero in sella ad un…ciuco non desta certo buona impressione. Eppure il “ciuccio”, come detto, è protagonista di molte opere letterarie in particolare in quelle dell’antichità. E’ il caso dell’asino d’oro”, novella narrata da Lucio Apuleio, filosofo e scrittore romano, nel libro delle metamorfosi. In questo racconto si narra del giovane Lucio che, affetto dalla smania incoercibile della curiosità, spargendosi il corpo di un unguento magico, si trasforma in un asino!! Dopo lunghe e penose peripezie, grazie alla dea Iside, il protagonista riesce a recuperare le sembianze umane. Ritornato uomo ed avendo vissuto le pene dell’animale in cui si era trasformato, Lucio assume una nuova consapevolezza di sé stesso e del valore della vita. Una redenzione, insomma, che purtroppo resta vincolata nella morale della favola, senza possibilità alcuna di tradursi in esperienza vera. Gli asini, intesi come soggetti ignoranti, raramente si redimono rendendosi conto di quanto avvilente sia la loro condizione primigenia. Dal canto suo, l’uomo colto dispone, invece, dei mezzi per compenetrarsi delle umane vicende, per essere solidale e partecipe nel consesso sociale e politico. Cosa che non accade con l’ignorante, mai consapevole della propria condizione sub umana. Costui infatti, sfoggia presunzione e supponenza, refrattario, com’è, ai doveri civici e morali. Se ne deduce che il primo strumento di emancipazione per gli esseri degnamente umani è la conoscenza, mentre l’unica tragedia rimane l’ignoranza. Allargando il discorso e venendo a noi, potremmo riepilogare il tutto affermando che se una nazione regredisce sul piano dell’istruzione, essa non avrà né un decente presente né tantomeno un lusinghiero futuro. Se nel terzo millennio le conoscenze vengono acquisite attraverso gli strumenti tecnologici e le reti social, senza possibilità alcuna di introiettare, analizzare, valutare e ragionare sul fiume carsico di notizie che ci investe quotidianamente, potremmo solo affermare di essere “informati” ma non eruditi. Saremmo insomma spettatori passivi dei fenomeni che pure ci riguardano in ogni ambito delle umane conoscenze. Sotto tale aspetto cresce e si diffonde una pseudo cultura auto-referenziale che, alla prova dei fatti, non serve ad acquisire la consapevolezza di sé né di quello che accade nel mondo che ci ospita. Tutto questo è il frutto della destrutturazione cui è andata incontro la didattica scolastica nel Belpaese, della sostituzione del compito di educare e di acculturare i giovani con la pedagogia dell’accoglienza, dell’omologazione parificante. Vedere i nostri scolari carichi come asini, con i loro pesanti zaini sulle spalle, è al tempo stesso ridicolo e tragico visti i risultati che mediamente raggiungeranno al termine del ciclo degli studi. Tutti lo lamentano eppure tutti buttano l’acqua verso il mulino dei “bamboccioni” viziati, allevati in casa. Genitori che contestano l’introduzione nella scuola di ogni elemento di selezione e di premio per i più capaci e gli studiosi. Insomma rincorrono il “ Pezzo di carta” per i loro pargoli. Parliamoci chiaro: se non esistesse questa saldatura tra l’ignoranza e la diffusa difesa ad oltranza degli incapaci e dei maleducati, il sistema non potrebbe reggere. Testimonianza esemplare, in tal senso, viene dall’assoluto silenzio intorno a quanto denunciato, al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, dal governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta: “L’Italia è l’unico Paese dell’area euro in cui la spesa pubblica per interessi sul debito è pressoché equivalente a quella per l’istruzione”. In soldoni: paghiamo 84 miliardi ogni anno di interesse passivi su circa tremila miliardi di debito statale e ne spendiamo 78 per l’istruzione. Di quest’ultima cifra lette il 90% se ne va per gli stipendi di docenti ed ausiliari!! Resta meno di un misero 10% per migliorare i sussidi didattici. Poco, troppo poco, per una scuola scadente e che paga poco, per la gran pletora di addetti ai lavori, i suoi docenti Ora, se questa è la foto tragicomica che viene dai conti dello Stato, non ci resta che attendere che i nostri ragazzi facciano la fine…dell’asino di Apuleio!! Sottoposti però al peso di inutili borsoni stracolmi di libri e quaderni ma ignoranti. Facile predire che da grandi, saranno costretti a mangiare pane e debiti!!

*già parlamentare