Basaglia e la liberazione dei “matti”. Un’opera da continuare anche oggi
di Vittorio A. Sironi
Avvenire, 24 agosto 2024
Cent’anni fa, l’11 marzo 1924, nasceva a Venezia Franco Basaglia, rivoluzionario critico dell’istituzione psichiatrica. Un personaggio passato alla storia come lo psichiatra che chiuse i manicomi ridando dignità e libertà ai “matti”, ispiratore della legge 180 del 1978 (nota appunto come “legge Basaglia”) che portò di fatto all’abolizione degli ospedali psichiatrici istituendo i servizi territoriali pubblici di igiene mentale. Quello messo in atto dal medico veneziano dopo la laurea e la specializzazione in Psichiatria a Padova – cui seguì la direzione degli ospedali psichiatrici di Gorizia e Trieste – fu un cambiamento radicale non solo nella gestione, ma soprattutto nella concezione della malattia mentale, delineandone anche chiaramente i rapporti con la società e le questioni politiche sottese.
Nel ricordarlo su un quotidiano genovese due giorni dopo la sua scomparsa, avvenuta nella città natale il 29 agosto 1980, Alberto Cavallin, psichiatra e politico ligure che aveva conosciuto bene l’opera e il pensiero basagliani, affermava con decisione come “ Basaglia non ha mai negato l’esistenza della malattia mentale che invece conosceva davvero come pochi anche dal punto di vista classico” e sottolineava invece come egli “ piuttosto ha saputo cogliere con rigore e lucidità i rapporti profondi tra la malattia e la società, capace prima di lui di preoccuparsi dei folli solo per segregarli, di una società essa stessa troppo pazza perché la pazzia prendesse ai suoi occhi un senso”.
Sosteneva infatti Basaglia con convinzione che “tranne casi sporadici, meno frequenti di quello che si pensa comunemente, la cosiddetta follia è un prodotto della società, delle sue regole costrittive, dei suoi tabù, dei suoi ritmi ossessivi”. E ancora affermava: “ Il matto è semplicemente un diverso reso tale dalle circostanze. Esso può essere restituito alla vita normale, sia pure con qualche accorgimento, se tali circostanze verranno modificate. Se la società e anche la famiglia del malato sapranno vivere e anche elaborare questi concetti senza pregiudizi”. Partendo da questi presupposti, ai quali era arrivato dopo la sua (deludente) esperienza universitaria ma soprattutto a seguito della sua pratica clinica negli ospedali psichiatrici di cui era stato direttore, che lo avevano portato a essere un medico attento ai bisogni concreti e alla personalità dei malati che aveva in cura.
Basaglia aveva ipotizzato prima e concretizzato poi la sua “guerra” ai manicomi. Agli inizi degli anni Sessanta, al suo arrivo all’ospedale di Gorizia, egli si trovò di fronte a una realtà che gli fece capire immediatamente che in quel contesto manicomiale – come del resto nelle altre strutture italiane analoghe -, in cui i ricoverati erano trattati senza alcun riguardo per la loro dignità personale, era impossibile che tali pazienti potessero essere realmente curati. Da questa presa di coscienza l’inizio di una radicale battaglia per trasformare prima ed eliminare poi questi “manicomi-lager”, intrapresa in nome di una rivoluzione medica ispirata dalle sue appassionate letture in ambito filosofico di autori come Karl Jaspers, Martin Heidegger, Jean-Paul Sartre, Michel Foucault e dall’azione politica che dai tempi giovanili degli studi padovani agli anni della maturità professionale ed esistenziale lo avrebbe caratterizzato, sino alla gestazione della “sua” legge di riforma dell’assistenza psichiatrica.
Basaglia intuì che per fare tornare essere umani questi ricoverati bisognava dar loro la dignità di un lavoro, restituire loro la condizione di cittadini, instaurare una modalità di comunicazione diversa con il medico e con gli infermieri, coinvolgerli in assemblee, in laboratori, fare gite, togliere sbarre, mezzi di contenzione ed elettroshock. Realizzare, cioè, “una società umana” prima dentro l’ospedale, poi fuori di esso, in una dimensione globale in grado di ampliare la prospettiva medico-sanitaria in una più completa visione sociopolitica.
È ciò che Basaglia rivendica e ribadisce con forza nel suo libro più famoso, L’istituzione negata (Einaudi, 1968), che diventa non solo il manifesto del suo nuovo modo di concepire la psichiatria, ma anche un riflesso e un motore del Sessantotto, un best-seller del tempo che ebbe un enorme impatto sulla società italiana di quegli anni. “La polemica al sistema istituzionale – scrive infatti Basaglia all’inizio del libro – esce dalla sfera psichiatrica, per trasferirsi alle strutture sociali che lo sostengono, costringendoci a una critica della neutralità scientifica, che agisce a sostegno dei valori dominanti, per diventare critica e azione politica”. La presa di posizione di Basaglia contro l’istituzione psichiatrica investe in tal modo la società stessa che l’ha generata e la sua lotta antistituzionale incontra quella degli operati, degli studenti, delle donne e dei popoli oppressi per un mondo più libero e più giusto. Un’attenta e analitica ricostruzione della sua complessa vicenda umana e professionale si trova in Paolo Francesco Peloso, Franco Basaglia, un profilo. Dalla critica dell’istituzione psichiatrica alla critica della società (Carocci 2024), mentre la raccolta completa dei suoi scritti, con una prefazione di Pier Aldo Rovatti e Mario Colucci, è presente in Franco Basaglia. Scritti 1953-1980 (Il Saggiatore 2023). Due libri fondamentali per conoscere il lavoro dello psichiatra veneziano.
Il pensiero e il lavoro basagliani producono idee e azioni che si sviluppano progressivamente e produttivamente nel tempo. Nell’ottobre del 1973 alcuni “psichiatri illuminati e contestatori”, che si ritrovano nelle idee di Franco Basaglia, fondano a Bologna un movimento medico e politico insieme per una lotta contro i manicomi a Trieste, ad Arezzo e nel resto d’Italia per convincere le amministrazioni a sposare una causa di civiltà tesa ad aprire le mura delle istituzioni totalizzanti che racchiudevano “i matti” e per persuadere gli psichiatri, gli psicologi e gli infermieri che il lorio lavorio dentro quelle strutture si fondava su un abuso e su una pretesa di scientificità vaga e malposta. Era un impegno sanitario, etico, politico e culturale necessario e irrinunciabile, che comportava impegni, lotte e confronti aperti con altri modi e altre visioni della salute mentale. Era un percorso professionale che implicava scelte e prese di posizione relative a un modo diverso di stabilire modalità di cura e relazioni umane, restituendo dignità e libertà ai malati psichiatrici. Era l’atto rivoluzionario che dava origine a “Psichiatria Democratica”.
I cinquant’anni di fondazione di questa istituzione – che si sono festeggiati lo scorso anno – sono ricordati in un ricchissimo volume di grande formato, curato con viva passione e sicura competenza da Emilio Lupo, Cinquanta straordinari anni di Psichiatria Democratica (M & M Editori, 2023), nel quale sono raccolte, insieme alla storia sull’origine e l’evoluzione del movimento, anche le testimonianze di molti operatori che hanno fatto della loro vita un’esperienza continua di lavoro, di fatica e di tensione quotidiana per un cambiamento reale, tra sogni e speranze, perché venisse restituita “ai matti”, dopo la chiusura dei manicomi, anche sul territorio e nella società quella vita normale, fatta di gesti ormai dimenticati, tipica e propria di ogni persona.
Il superamento del tabù della malattia mentale non è ancora una realtà consolidata nella nostra società e i pregiudizi alimentati da una riduzione puramente biologica delle patologie psichiatriche rischiano di ritardarlo ulteriormente. L’attualità dell’insegnamento di Basaglia oggi è quello di ricordare come sia fondamentale, in ambito medico e sanitario, distinguere tra manifestazioni psichiatriche come espressioni sintomatologiche di patologie neurologiche e/o organiche e comportamenti psichici inusuali e/o alterati quali espressioni occasionali e/o abituali di disadattamento sociale. Due situazioni che richiedono differenti considerazioni etiche necessitano di mirati interventi socio-assistenziali e presuppongono soluzioni diverse sul piano istituzionale e terapeutico.
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