Intonso
in-tòn-so
Significato Non tosato; di libro, che ha ancora le pagine non tagliate; nuovo, intatto
Etimologia voce dotta recuperata dal latino intonsus, derivato di tonsus, participio passato di tondère ‘tosare’, con prefisso negativo in-.
- «Dobbiamo scrivere due righe d’augurio, il biglietto è lì ed è intonso.»
Inverecondo
in-ve-re-cón-do
Significato Impudico; sfacciato, spudorato
Etimologia voce dotta recuperata dal latino inverecundus derivato di verecundus ‘verecondo’, a sua volta da vereri ‘aver timore, rispettare’, col prefisso negativo in-.
- «Mi hanno fatto un prezzo inverecondo.»
La chiave di lettura data dal sentimento della verecondia si è fatta via via desueta. Certo la sobrietà discreta, il pudore, il rifuggire ciò che è sconveniente continuano a esistere, e anzi sono atteggiamenti che conservano un solido spazio di apprezzamento. Ma il vereri latino ci imposta la prospettiva di un ‘aver timore’, e oggi forse ci piace leggere queste tendenze più come una finezza personale e di mondo, contrapposta alla volgarità, piuttosto che come timore erubescente che tiene la testa bassa.
Ora, l’inverecondo sarebbe un semplice negativo del verecondo, senza grandi complessità; se non che ha subito un temperamento estremamente interessante, che lo rende adatto anche a superare il tramonto della categoria della verecondia in senso stretto.
Naturalmente emerge in quel senso, e quindi l’inverecondo è l’immodesto, l’impudico, lo sfrontato. Posso parlare delle battute invereconde che a tavola aumentano insieme alle bottiglie vuote, delle allusioni invereconde che mi vengono rivolte, degli abiti inverecondi che abbiamo visto addosso a chi presentava la manifestazione. È una via che, alzando i toni, ci conduce fino al turpe, al vergognoso, a ciò che offende la morale.
Ma se tratteniamo lo slancio verso ciò che è veramente sconcio e osceno, se cerchiamo di leggere il verecondo secondo una logica di modo, di temperanza e di levatura, l’inverecondo si fa indiscreto — si asciuga nello sfacciato e nello spudorato. Pensiamo a un’invereconda brama di ricchezza, all’inverecondo risultato del restauro che palesa un’incompetenza totale, all’invereconda compiacenza di un giornale rispetto all’opera di una parte politica.
Certo, sono casi in cui possiamo usare anche quelle altre parole: la brama può essere sconcia, il restauro può essere osceno, la compiacenza può essere turpe e vergognosa. Ma qui la cifra speciale, che rende insostituibile l’inverecondo, è proprio il ribaltamento della verecondia. L’inverecondo, nel dire ciò che dice, è compassato e misurato quanto il verecondo, e proprio con la sua misura (e forse l’ironia della desuetudine) riesce a mostrare il tratto grottesco del basso e dello smodato.
Insomma, parlare di un’ingerenza vergognosa o oscena o sfacciata è molto esplicito, squaderna il fatto con un tratto urgente che può essere considerato sussiegoso o esagerato. Se invece parlo di un’ingerenza invereconda, anche se magari adombro un grado non dissimile di turpitudine, è chiaro che sto contenendo il giudizio senza sbavature, e che ci sto trovando dentro una dose di bislacco.
Il risultato è una risorsa di raffinatezza formidabile, che sa dare un tono sottile, ricco e chiaro al nostro discorso.
È una parola che nel discorso si fa notare: l’intensità con cui ci parla del ‘nuovo’ è accesa, vigorosa, e però la ottiene con finezza, e per una via di totale astrazione. Infatti i suoi riferimenti originari, nella lingua corrente, sono scomparsi all’orecchio — e quindi è scomparsa anche la percezione dello scarto che ha subìto.
Partiamo dal modo in cui un ‘non tagliato’ acquista il significato di ‘nuovo, intatto’. Stiamo parlando di libri.
Un tempo, e fino a non molti decenni fa, i libri differivano da quelli che ci sono familiari oggi anche per questa bizzarra caratteristica: le pagine non erano del tutto separate. Sfogliando il libro, in effetti si sfogliavano fascicoli, che mostravano solo di scorcio il loro contenuto — e certi margini erano da tagliare col tagliacarte. A seconda dell’edizione e quindi del numero di pieghe del foglio stampato, erano da tagliare margini diversi — magari due pagine erano attaccate per il lato lungo, o per quello corto in alto. Chi li stampava non provvedeva, un po’ perché il taglio era più complesso di quanto non sia oggi, un po’ perché era un’usanza con un suo fascino.
Imponeva un’ulteriore lentezza alla lettura. Che ci si dedicasse al taglio di tutte le pagine subito, all’acquisto del libro, o che si tagliassero via via, era un’operazione in più necessaria a disvelare il contenuto del libro. Il risultato non era sempre dei migliori, spesso i margini finivano per essere piuttosto irregolari (e questo dà un’aria caratteristica ai libri vecchi). Ad ogni modo, il libro intonso è il libro le cui pagine non sono state tagliate, e quindi è nuovo, intatto. Per estensione, arrivo a controllare che la torta sia intonsa, temendo che dita furtive abbiano fatto sparire i riccioli di panna, rivendo l’orologio intonso, mai uscito dalla sua scatola, e poi certo cerco un quaderno intonso da cominciare. Ma c’è una piccola assurdità, in questa parola.
‘Intonso’ non significa propriamente ‘non tagliato’: significa ‘non tosato’. Il latino tondère, significava proprio ‘tosare’, cioè l’atto del tagliare capelli e peli. Tant’è che il primo ‘intonso’ è proprio un ‘non rasato’ — se ho la barba intonsa, la testa intonsa, significa questo, non intendo dare l’attributo di ‘intatto’. Piuttosto, come a volte è stato inteso in letteratura, l’intonso sarà capellone e barbone.
Abbiamo detto che i margini delle pagine tagliate spesso non venivano belli precisi come oggi è solito che abbiano anche i peggiori libri da un soldo. Quindi, specie se il libro era di pregio o comunque ci tenevamo, era comune non solo farlo rilegare ex novo, con una rilegatura bella e durevole che sostituisse quella dell’editore che spesso era di semplice cartoncino, ma anche far tosare le pagine, raffilarle perché i margini fossero dritti.
Curiosamente, l’intonso non ha voluto qualificare il libro con margini non raffilati, ma con pagine non tagliate. È un certo tipo di abuso che si è fatto regola, forse per la maggior aria di cura e ordine che trasmette — anche perché proprio lo scarto e l’abuso lo rendono un termine univoco. Se parlo di un libro non tagliato, mi immagino certe parti, in certe versioni, possano essere state accorciate ad usum Delphini, o che un errore di stampa o di rilegatura ne possa aver mozzato parti di certi esemplari.
Così, nell’astrazione di un riferimento desueto scaturito da un verbo improprio, conserviamo una possibilità espressiva tanto brillante.