Pulci di notte di Stefano Lorenzetto

«Del resto, sono le stesse dichiarazioni del professor Fiorucci a confermare i sospetti che avevamo manifestato ieri, a proposito dell’opportunità che nelle aule universitarie si dovesse tenere un delicato e pericoloso esperimento sulla sessualità di quelli che non si ha nemmeno il coraggio di chiamare bambini o bambine, ma solo bambin* con la schwa, trans e gender creative», scrive Maurizio Belpietro, direttore della Verità, nel suo editoriale di prima pagina. A noi pare che quello di bambin* sia un asterisco. Comunque, il gender dilaga, è proprio il caso di dirlo. Schwa è sostantivo maschile invariato (dal tedesco Schwa, mutuato dall’ebraico sheva, derivato da shaw, che significa «niente») e quindi richiede l’articolo determinativo il, non la.

Dall’editoriale di Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano: «E rimettere tutto in discussione, dando l’ultima parola a iscritti e non». Aridaje! L’avverbio negativo olofrastico – così chiamato perché, da solo, costituisce un’intera frase – è soltanto no, come testimonia fin dal lontano 1945 il titolo del romanzo di Elio Vittorini, Uomini e no. Quindi Travaglio avrebbe dovuto scrivere «iscritti e no».

Flash dell’Ansa: «Lima, 11 set – L’ex presidente Alberto Fujimori è morto oggi all’età di 86 anni. Aveva 86 anni ed era malato di cancro». Pare che avesse 86 anni.

Claudio Cerasa, direttore del Foglio, intervista Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, che nella prima risposta afferma: «Quello che in altri periodi avrebbe rappresentato motivo di scandalo o di polemica o di manifestazioni di massa, in questi due anni non ha prodotto niente. È come se l’Italia sia stata narcotizzata». Lo avrà detto De Luca o lo avrà scritto Cerasa? In ogni caso, il congiuntivo presente è sbagliato: l’espressione «è come se» richiede il congiuntivo trapassato passivo: «fosse stata narcotizzata».

Su Open, Alessandro D’Amato dà conto delle indagini su Chiara Petrolini e sui due neonati trovati sepolti in giardino a Vignale di Traversetolo (Parma): «L’autopsia non ha rilevato segni di violenza sul corpo del ragazzino. Che era arrivato alla quarantesima settimana di gestazione». Bei tempi quando si diventava ragazzini solo con l’adolescenza.

Sul sito del Corriere della Sera, Luigi Ferrarella, storica firma della cronaca giudiziaria, riferisce della condanna inflitta a Irene Pivetti, ex presidente leghista della Camera, per evasione fiscale e autoriciclaggio: «A Pivetti sono state riconosciute le attenuanti generiche, benché il pm Giovanni Tarzia aveva proposto non fossero concedibili». Per fortuna di Ferrarella il vilipendio grammaticale non è reato. Benché, infatti, è una congiunzione subordinante che introduce una proposizione concessiva, la quale richiede il congiuntivo. Il cronista avrebbe dovuto scrivere: «Benché il pm Giovanni Tarzia avesse proposto non fossero concedibili».

Nella rubrica Chi sale e chi scende, ospitata da Robinson, supplemento culturale della Repubblica, nella pagina delle classifiche librarie, Claudia Morgoglione annota che «Milena Palminteri riesce a mantenere il terzo e ultimo gradino del podio». Grazie per l’informazione, ma, poiché il podio ha solo tre gradini, ci pare indubitabile che il terzo sia anche l’ultimo.

Titolo dalla prima pagina del Giornale: «Hezbollah decapitata». Hezbollah è un nome proprio e un sostantivo maschile invariato. Significa infatti Partito di Dio (Hezb Allah, in arabo). Peraltro, nel servizio firmato da Chiara Clausi non vi è traccia dell’inversione di genere e si legge che «il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha sottolineato in un’intervista alla Cnn che Hezbollah “non può restare da solo” contro Israele». Il gender dilaga nella direzione del quotidiano fondato da Indro Montanelli.

Titolo dalla newsletter del Gambero Rosso: «Dopo lo scivolone sui immigrati che mangiano i gatti, la carne coltivata potrebbe far tremare Trump». A proposito di scivoloni.

Incipit della rubrica La Nota di Massimo Franco sul Corriere della Sera: «La cosa sorprendente lasciata in eredità dall’estate e prolungatasi in questo inizio d’autunno, è che i guai della maggioranza di destra nascono quasi tutti dal suo interno». Complimenti per la virgola fra soggetto e verbo.

Il Fatto Quotidiano pubblica un delizioso ricordo di Antonio Padellaro (che del quotidiano oggi guidato da Marco Travaglio è stato direttore e cofondatore) dedicato all’Espresso, nel quale si legge: «In quel primo Espresso che pubblica il “Diario di un’insegnante”, a firma Antonio Segni, ex insegnante ma soprattutto presidente del Consiglio in carica, emerge il profilo di un giornalismo per nulla antisistema». I casi sono due: o Segni era un pessimo insegnante oppure è un pessimo redattore quello che ha messo in pagina il pezzo senza togliere l’apostrofo a «un’insegnante». Apostrofo che per fortuna non c’era quando Il Fatto Quotidiano pubblicò lo stesso identico articolo di Padellaro il 6 ottobre 2015.

Titolo dalla pagina Facebook del Corriere della Sera: «Vacanze in Trentino da un incubo, i turisti contro la sindaca di Rumo: “Ferie rovinate dalle campane del paese, 184 rintocchi al giorno”». Rovinato anche il periodo dal superfluo un: a meno che il racconto delle vacanze non fosse tratto da un incubo, sono state semplicemente vacanze da incubo.
SL
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