E’ ancora utile la democrazia?* di Vincenzo D’Anna*
Uno dei tratti distintivi dei regimi liberali, delle cosiddette “società aperte” e quindi tolleranti, è rappresentato dalla democrazia, lo strumento che consente a tutti i governati di poter scegliere e sostituire i governanti senza alcuno spargimento di sangue. Al contrario, nelle società tiranniche per rimuovere il despota, per impedirgli, cioè, l’esercizio del potere, quasi sempre assoluto, occorre eliminarlo mediante l’uso della forza sopprimendo lui e quelli che lo circondano e ne alimentano il potere. Questo è quello che la storia ci insegna ancorché esistano rari casi nei quali è il despota stesso ad abdicare per anzianità oppure per ereditarietà della carica ricoperta da un suo prescelto. Le big society, così chiamate dai sociologi, sono per lo più società tolleranti verso tutte le idee, le fedi religiose e gli stili di vita tranne che nei confronti degli intolleranti, ossia di coloro I quali, per propri convincimenti, non accettano questa reciprocità nel rispettare gli altri ed i diversi modi di vivere nel consesso sociale. In sintesi, il queste realtà si punta a dare a ciascuno l’opportunità e la facoltà di vivere secondo libertà di pensiero e di azione e del godimento dei diritti civili riconosciuti dalle leggi. Intendiamoci: non sempre questa idilliaca descrizione risulta vera, ossia realizzabile, se coloro che dovrebbero garantirla, come i governanti e quelli che, in quanto governati, dovrebbero usufruirne e rispettarla, ne accettino i limiti ed i controlli che fanno da corollario a quel sistema di stampo liberale. Non basta, infatti, l’osservanza delle regole perché la democrazia sia effettiva e concreta e non una formalità, occorre che se ne accettino i difetti e, per taluni versi, le contraddizioni ed i disagi che accompagnano, da sempre, un sistema socio-economico plurale e multiculturale. L’enfasi con la quale i teorici e gli estimatori del sistema democratico accompagnano quell’idea induce i molti a ritenere il sistema democratico come perfetto, cioè rispondente alle aspettative ed alle necessità di tutti i cittadini e non “il peggiore dei sistemi politici ad eccezione di tutti gli altri” come ironicamente ammoniva il premier britannico Winston Churchill. E che lo statista inglese avesse ragione lo testimonia lo stato di salute stesso della democrazia nel mondo, soprattutto nel terzo millennio, epoca nella quale ancora abbondano sistemi politici che ne fanno a meno oppure, peggio ancora, che usano la democrazia come figura meramente retorica, ma in sostanza sono regimi dispotici ed illiberali( leggi Cina, Russia, Egitto, Siria, Corea) . Sia come sia è diffusa convinzione che i regimi democratici siano spesso farraginosi e lenti nell’assumere decisioni, pletorici e litigiosi gli organi che quelle determinazioni devono assumere, nell’era in cui la fa da padrone la velocità come termine distintivo della efficienza e della modernità. Laddove le notizie, le informazioni, le proposte e le volontà diffuse, viaggiano e si diffondono capillarmente attraverso la rete informatica e telematica, l’opinione pubblica si forma nel suo convincimento, spesso superficiale, in tempi brevissimi ed esigenti, ecco che il sistema istituzionale delle decisioni e delle scelte appare come un arnese del passato, inadeguato a decidere al passo con i tempi. Un sistema, quest’ultimo, di stampo parlamentare, che percependo esso stesso quell’inadeguatezza si va trasformando ed adeguando ad agire in senso meno democratico, ossia concentrando le decisioni nelle mani del governo e del suo capo. Dopo aver dato vita a polemiche astiose e pretestuose sull’inefficienza delle Camere, proponendo un sistema di assemblea telematica permanente come fonte decisionale, una volta giunti al governo, i grillini si sono adeguati ai tempi ed ai modi di un parlamento che doveva si diceva dovesse essere riformato ed aperto “come una scatola di tonno”. Oggi quell’organo parlamentare, democratico ed elettivo, lavora meno di ieri ed ormai decide poco o nulla di sua iniziativa se non per ratificare, col voto di fiducia, le leggi proposte dal Consiglio dei Ministri. La paventata riforma cosiddetta del “premierato”, se attuata, porterebbe ad un ulteriore accentramento di poteri decisionali nelle mani del primo ministro. Veniamo al pezzo forte di questi tempi: la moralità.!! Un discrimine etico trasformato in requisito politico, che funge spesso da argomento centrale dell’agire in politica, ossia il retto utilizzo del potere e del possesso del medesimo. Possesso e potere vanno a braccetto ed entrambi sono tossici per la mente dell’uomo se assoluti e duraturi. Il potere ed il possesso corrompono e se assoluti corrompono assolutamente. Ecco perché la democrazia è fatta anche di contrappesi, con funzioni di controllo di quelle potenti prerogative, come tale diventa lenta nel partorire le sue decisioni. Molti chiedono velocità decisionale ed al contempo moralità gestionale, trasparenza estrema, rendiconto continuo dell’operato pubblico, dimenticando che senza controlli le due cose sono incompatibili. Se prevarranno i moralisti dovremmo accontentarci della lentezza dei controlli. Viceversa coloro che chiedono velocità decisionale devono accettare meno regole di controllo e minori sofismi moralistici. Ma la domanda di fondo che, in entrambi i casi, va posta, è se la democrazia, come sistema, abbia ancora una propria utilità ed un’intrinseca superiore valenza per governare la società. Per chi scrive è sempre meglio una pessima democrazia che un’ottima dittatura.
*già parlamentare