*Caserta e Salerno, tra politica e morale* di Vincenzo D’Anna*

 

Fu l’ambizione, o meglio il sogno, di conquistare l’unanimità dei consensi, a spingere Francesco De Santis, critico letterario, filosofo e uomo politico italiano (era stato ministro della Pubblica Istruzione nei governi Cavour e Ricasoli), a compiere, nell’inverno del 1875 “Un viaggio Elettorale” dal quale fu poi tratto l’omonimo libro. Lo fece, certo, anche per amore della propria terra, l’Irpinia. Tuttavia, al di là dei sentimenti e dei ricordi, quello che più lo colpì, nel corso dell’itinerario, fu la natura dei rapporti politici ed elettorali, la mentalità di tanti suoi compaesani e l’abitudine, soprattutto dei ceti più abbienti, a rivolgergli ogni genere di richiesta. Insomma, De Sanctis scoprì, con un secolo di anticipo, quello che due sociologi, Edward Banfield e Laura Fasano, avrebbero rilevato più tardi, vivendo sotto mentite spoglie, in un piccolo comune della Calabria: il cosiddetto “familismo amorale”, ossia lo studio delle basi etiche di una società arretrata. Per dirla con altre parole: il clientelismo è un male secolare alle nostre latitudini. Un po’ come per l’uovo e la gallina, nessuno ha mai saputo dire chi tra i due sia nato prima: se l’elettore che chiede oppure il candidato che offre il beneficio. Se vi si aggiungono l’italica scaltrezza, l’opportunismo, il qualunquismo e lo scarso senso civico del cittadino medio italiano, ecco spiegato per quale motivo il fenomeno è diventato ormai endemico. Tradotto il tutto, in estrema sintesi: chi vuol primeggiare in politica ed ottenere vasti consensi deve per forza assoggettarsi ad una serie di continui compromessi, piegandosi al celebre “do ut des” di antica memoria. Parliamoci chiaro: solo la somma ipocrisia di chi di mestiere fa l’elettore e la sgangherata “rivoluzione grillina” hanno potuto accollare, in maniera unilaterale (!), al ceto politico, una sorta di malvagia inclinazione, una prassi clientelare pensata, codificata ed applicata in danno dei candidi ed ingenui elettori. Una parentesi pseudo moralistica, questa, che ha portato alla ribalta una forza politica, il M5S, che in nome di quella sistematica menzogna che condanna i politici ed assolve chi li vota, ha potuto assurgere sino al governo del Belpaese ed applicare, in seguito, la più grande e dispendiosa (per le casse dello Stato, s’intende) attività politico-clientelare nota con il nome di “reddito di cittadinanza”. Come a dire: dalla padella alla brace. Gli unici a non fare questa sorta di analisi storico-sociale sono i moralisti interessati ed i magistrati politicizzati i quali utilizzano la diffusa corruttela per colpire solamente coloro che sono depositari del voto. Soprattutto se quei politici militano in partiti di segno politico loro avverso. Quando invece nella rete cadono quelli di sinistra, ecco che alle trombe dello scandalo si applica la sordina con il risultato che le cose giudiziarie finiscono per diventare “marginali” se non secondarie. Sia come sia, le recenti notizie che riguardano due politici di centrosinistra – l’arresto di Franco Alfieri (Pd), presidente della provincia di Salerno nonché sindaco di Capaccio-Paestum, intimo del governatore Vincenzo De Luca, e le indagini su Giovanni Zannini, consigliere regionale di Caserta, anch’egli sodale del governatore – sono state presto “circoscritte” e limitate ai due diretti interessati quasi le loro fossero “colpe personali”. Non si è cioè innescata alcuna ricaduta politica di sistema, né si è colpito qualcuno in “alto loco”. Una cosa è certa, almeno in questa fase: non si è attribuito a quelle presunte “pratiche concussive” per le quali Alfieri e Zannini sono finiti nel mirino dei giudici, il valore di un più ampio meccanismo organico, di una prassi evidentemente consueta anche tra le fila del partito dei moralizzatori!! Per quanto riguarda Salerno, Alfieri è l’espressione del sistema di potere costruito da anni da Vincenzo De Luca, politico di lunghissimo corso, spregiudicato, parolaio e guascone, mentre Zannini è espressione di una strategia politica del medesimo: quella della miriade di liste civiche messe in campo dal presidente della Regione. Un “modello”, quest’ultimo che ha permesso di eleggere tanti singoli consiglieri per ciascuna lista civica, improvvisati “ascari” del ras di palazzo Santa Lucia. Entrambi gli indagati – ai quali va concesso il beneficio della presunzione d’innocenza – dovrebbero essere perseguiti non solo per ipotetici reati ma per come essi intendono la politica, per come la praticano e la sfruttano, per la mancanza di uno straccio di pensiero etico. Caserta, come già evidenziato in altri articoli, è l’emblema del vuoto pneumatico che connota l’attuale stagione della classe politica di “Terra di Lavoro”: una mirabile espressione del degrado politico e morale, del clientelismo elevato a massima potenza, dell’ingerenza calcolata ed utilitaristica di quelle stesse istituzioni che pure chi fa politica sarebbe chiamato a servire!! Un capo di accusa che non riguarda dunque i soli reati contestati dai magistrati, ma anche da quella parte di elettorato che ha schifato la “politica politicante” e che non si reca più alle urne. Zannini ha ceduto alla sfrenata ambizione, ad una carriera che utilizza anche il suo agire. Questo prima di ogni altra cosa è da ritenersi “criminogeno”.

*già parlamentare