di Ferdinando Terlizzi

All’alba, infine, il Boemio fece inginocchiare l’amante, le impose, novello Otello, di raccomandarsi l’anima a Dio, e quindi estrasse una pistola per immolarla alla sua spaventosa ferocia. L’istinto della conservazione diede però alla donna la improvvisa forza di sollevarsi e di darsi a fuga disperata attraverso i campi. Il Boemio la inseguì, sparandole contro tre colpi di rivoltella, che non la uccisero ma la ferirono lievemente ai glutei e, avendola perduta di vista, sguinzagliò contro di lei i suoi cani i quali, seguendo le traccia di sangue lasciate dalla sventurata lungo il cammino, la scovarono in una macchia, la addentarono e la tennero immobile finché il mostro non sopraggiunse. Costui allora la costrinse nuovamente a sdraiarsi a terra, le pose un piede sul ventre e con la pistola le esplose un colpo a bruciapelo nel basso ventre… quasi in quel posto… La sventurata rimase a contorcersi in orribili spasimi mentre egli la abbandonò al suo destino, credendo di averla uccisa. Accusò poi del delitto e dello stupro un innocente, un componente della sua banda. Per fortuna, però, alcuni carrettieri che passavano nella zona la raccolsero la mattina e la trasportarono moribonda all’ospedale di Capua, e quivi il pronto ed attento intervento chirurgico valse a salvarle la vita. Ella, però, – da buona amante di un brigante e brigantessa anche lei – a tutte le richieste degli agenti e poi dei magistrati inquirenti – rispose sempre evasivamente, eludendo le indagini e, anzi – accusando un innocente, sostenendo la falsa tesi del suo amante – tale Salvatore Orlando, latitante per reati di altro genere commessi. Per ottanta giorni rimase in ospedale tra la vita e la morte – invocando spesso il nome del suo amante. Quando, infine, i medici le permisero di allontanarsi dal luogo di cura, spinta da una incomprensibile forza di pervertimento, lo stesso giorno riuscì a scovare il suo amante e si unì novellamente con lui nella avventurosa vita brigantesca.  Ella stessa, nel processo, narrò l’epilogo, non meno drammatico, di questa storia che sembra scaturita dal cervello di un abile romanziere di appendice, ma come ho dimostrato nei miei libri spesso la realtà supera la fantasia. Il Boemio, raccontò la donna in una fase successiva, manifestò il proponimento di possedere l’altra sorella della Angelino, la giovane Immacolata, ancora fanciulla, che lavorava in un campo nei pressi di Grazzanise e pretendeva che la sua amante facilitasse l’esecuzione del suo nuovo, turpe disegno. Ella, allora, si diede alla fuga, riuscendo a scappare, ma denunziò l’amante ai carabinieri e li guidò al rifugio dove il bandito aveva stabilito il suo covo. La cattura fu movimentatissima, il bandito fu scovato nei pressi di Sant’Angelo in Formis, nel bosco di San Vito. Soltanto quando il suo amante fu rinchiuso in carcere la Angelino passò a nuovi amori e, infine andò a nozze con tale Andrea Caserta, un facoltoso commerciante di legname, signorotto della città di Capua, che adottò anche la figlioletta Giuseppina avuta dalla donna col Boemio.

 2 ° Parte – Fine – (*) Fonte: Ferdinando Terlizzi – Vittime assassini processi – Edizioni Eracle – 2020 –