Broccoli, una vita da “comunista” e homo politicus/ Cacciari, Nogaro, d’Ippolito, Camusso, Cerreto e Lepore tra i relatori che parteciperanno alla presentazione in ateneo
Primavera del 1950, Falciano di Carinola, piazza Limata. Un ragazzo di 15 anni sta osservando una scena che trasuda miseria e violenza: un gruppo di ragazze malvestite, alcune sue coetanee altre poco più grandi, sono di fronte ad un individuo arcigno, cappello in testa e un bastone alla mano. Con il bastone l’uomo indica delle ragazze: tu sì tu no. Il ragazzo guarda e si chiede: perché? Alcuni anni dopo, quando troverà la risposta, Paolo Broccoli sarà diventato comunista. La sua biografia, scritta da Adelchi Scarano, segretario della federazione casertana tra il 1976 e il 1979, si intitola appunto “Storia di un comunista” (copertina rosso fuoco, Edizioni Saletta dell’Uva, 166 pp., 12 euro) e racconta una vicenda in cui si intrecciano la storia di Terra di lavoro e la vita di un militante che da metà del secolo scorso sta seduto dalla parte del torto. Comunista ma soprattutto, per dirla con Massimo Cacciari che del volume ha curato una breve introduzione, homo politicus, esponente di una specie ormai in via di estinzione.
Il libro sarà presentato mercoledì 16 ottobre al dipartimento di Scienze politiche dell’Università “Vanvitelli” dalle 16,30. Ci saranno, oltre al filosofo veneziano e al vescovo emerito Nogaro, due figure-chiave nelle vicende di Broccoli, il direttore del dipartimento Francesco Eriberto d’Ippolito, Susanna Camusso, Marco Cerreto, Alexander Hobel, Amedeo Lepore e Nicola Magliulo. Coordina il vicedirettore de “Il Mattino” Francesco De Core. «Politica è la capacità – spiega Broccoli a Scarano – di assumere decisioni che incidono nella vita reale di una comunità, per questo consideriamo Machiavelli il maestro della scienza politica». Per un comunista è un mezzo per liberare le persone dallo sfruttamento, in modo tale che abbiano dignità e libertà.
Perciò Broccoli non sposa la visione delle istituzioni di Napolitano, in quanto depurate dal conflitto che pure le ha generate, e più che in Berlinguer – di cui non ha mai condiviso la “torsione moralista” – ha nel pragmatico Togliatti il suo nume tutelare. Il momento scelto da Broccoli per aderire al Pci non poteva essere peggiore: nel 1956 il movimento comunista digeriva con difficoltà il rapporto segreto su Stalin e l’invasione dell’Ungheria. Però proprio l’attacco furibondo dei reazionari motivò Broccoli: «Sono stati gli anticomunisti a farmi diventare comunista», ricorda. Gli anni Cinquanta avevano visto al Nord la ristrutturazione selvaggia su base fordista e al Sud una ciclopica ondata migratoria, nel decennio che va dal 1960 al 1970, però, aprono in Terra di lavoro le grandi fabbriche, inizia l’era della industrializzazione. Broccoli, nel 1966, al ritorno dal viaggio di nozze, scopre di esser stato trasferito dal partito alla Federbraccianti, che – sotto la sua guida – inaspettatamente «diventò una vera corazzata». Il boom comincia con uno speciale di Tv7 del febbraio 1969, che rivela la filiera bufalina e una realtà fatta di schiavi più che di lavoratori. In due-tre anni la Federbraccianti passa da 2mila a 11mila iscritti: la centralità del salario anche nelle campagne scavalca quella dei contadini di gramsciana memoria. La storia va veloce: arriva la contestazione, poi le bombe di piazza Fontana. Centrosinistra e Pci annaspano mentre è il sindacato a guidare la resistenza.
Per Broccoli nel 1976 giunge il ritorno al partito e l’elezione alla Camera dei deputati. In parlamento rimase fino al 1983: sette anni in cui il “club post-operaista” (Broccoli, Cacciari, Pugno e Olivi) diede contributi determinanti in ordine teorico e politico alla sinistra italiana. Era in agguato però il crollo del muro di Berlino e il “tempo di seconda mano” per dirla con Svetlana Aleksievic. Il Pci tra il 1976 e il 1992 perde 4 milioni di voti, si apre la strada dell’estinzione. Il resto è cronaca recente. Su tutto, per Broccoli vale l’insegnamento del “compagno Machiavelli”: non esistono piante che possano vegetare senza radici, non esiste futuro se non si conosce il passato.
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