*Università, quanti e quali medici?* di Vincenzo D’Anna*
La commissione Cultura del Senato ha approvato il disegno di legge delega che consentirà agli studenti di potersi iscrivere alla Facoltà di Medicina senza il preventivo concorso di ammissione. Tuttavia non ha rimosso il numero programmato, ossia il “blocco chiuso” previsto per gli accessi alla professione medica. Da quando si apprende, i discenti saranno valutati secondo il merito scolastico nel primo semestre di frequenza. Insomma il rischio è quello di varare una norma che rappresenta una toppa peggiore del buco. La prima osservazione è quella che mentre oggi gli studenti vengono selezionati prima, con il provvedimento in itinere lo saranno dopo aver avuto accesso ai corsi, con il rischio di essere praticamente sbattuti fuori!! Una delusione ancora più cocente per quanti si sono attrezzati a frequentare l’università (pensiamo ai “fuori sede”), ivi comprese le spese per i libri. E’ di chiara evidenza che le famiglie meno abbienti sosterranno costi senza alcuna certezza di prospettiva futura per i propri figli. La norma prevede altresì che gli esami superati possano comunque essere validati in altri percorsi di laurea, se ovviamente affini per materia. Un modo come un altro per dire: dovrete cambiare facoltà ma gli esami sostenuti non andranno persi. Il che equivale a scaricare (come avviene oggi) lo sforzo didattico su altri corsi di studio (ovviamente attinenti la materia sanitaria) già di per se stessi ingolfati d’iscrizioni!! Insomma il ripiego è assicurato, con il risultato di avere professionisti sanitari divenuti tali per necessità e non per scelta e che magari escluderanno altri studenti che avrebbero seguito invece quel percorso per passione e convinzione. Veniamo poi ai criteri di valutazione dei risultati raggiunti nel semestre di “prova” non prima di aver detto che tale escamotage reintroduce uno di quegli odiosi, obbligatori intervallo, ossia sbarramento temporale , tra un esame e l’altro che pure furono cancellati dalle lotte studentesche nel 1968. Una camicia di Nesso che avviluppa ogni studente di stress ansioso. Gli esami da sostenere non hanno, per loro stessa natura e difficoltà , equipollenza tra loro sia per la complessità delle materie, sia per l’inclinazione ed il gradimento degli studenti verso le medesime. Quali saranno quelli con maggiore quoziente di valutazione e quale la scala dei voti da considerare? L’esigenza di equità e trasparenza nel valutare i risultati raggiunti dagli studenti obbligherà i valutatori a dichiarare la “ caratura” attribuita agli esami sostenuti e verranno giù divergenze di opinioni, altre polemiche ed altri immancabili ricorsi!! Saranno, alla fine, il Tribunali amministrativi a dire l’ultima parola. La domanda sorge quindi spontanea, come soleva dire il giornalista Rai Antonio Lubrano: ma non si faceva prima e meglio ad eliminare le prove selettive di ingresso, oppure implementare i posti messi a concorso secondo le esigenze e le carenze rilevate? Intendiamoci: non è questione solo di quantità ma, soprattutto di qualità della formazione medico-chirurgica, una scienza che ormai utilizza attrezzature diagnostiche complesse ed innovative, processi terapeutici mirati sul singolo paziente, con la medicina di precisione, non più con un’unica linea terapeutica per patologia. Un mondo che sembrava avveniristico ma che, grazie anche alla Biologia, alla Biotecnologia, all’Ingegneria Sanitaria, alla Fisica delle particelle sub atomiche e quantistica, si mostra già disponibile per combattere i mali, attagliando la terapia alle caratteristiche del soggetto malato, onde migliorarne la qualità della vita e la sopravvivenza. Con le porte aperte a tutti, nel semestre, le Università saranno in grado di garantire adeguata accoglienza e preparazione ad un numero di studenti tanto elevato e sapranno adeguatamente valutare i loro alunni? Insomma si prospetta tanta caotica approssimazione con lo spettro incombente del favoritismo oltre che del divario di formazione tra le Università che operano in diverse aree geografiche del Belpaese. Diciamocele tutta: l’ultima riforma universitaria, ideata e sostenuta dalla Comunità Europea, quella cosiddetta del tre anni della laurea junior di base, più i due della specialistica, si è rivelata una frana: migliaia di laureati junior ( triennali ) non hanno molto inserimento professionale e restano nel guado della sotto-occupazione o della disoccupazione. Così lo “spacchettamento” del singolo in più tronconi, con prove d’esame da sostenere in apposite finestre temporali che non consentono un apprendimento organico, complessivo e coevo. Si aggiunga anche il fattore “ transumanza” tra facoltà diverse , ossia che un laureato triennale in uno specifico corso di laurea, successivamente, potrà iscriversi ad un altro corso di laurea per conseguire la laurea magistrale, entrando in possesso di titoli di studio spesso poco attinenti tra di loro. Si creano in tal modo figure professionali aventi forma delle mitologiche Chimere! Insomma, ci troviamo al cospetto di una babele che infarcisce di figure ibride gli albi professionali. Tale legge di riforma, nel suo combinato disposto, ha ampliato solo i posti disponibili per le cattedre universitarie !! Continueremo a sfornare, nelle professioni sanitarie, elementi con un portato culturale eterogeneo e poco preparati. La crisi generale della scuola, già grave ai livelli di scuola dell’obbligo, si arricchirà di ulteriori motivi di contraddizioni e di precarietà in campo universitario. Sorge il sospetto che anche stavolta ci si voglia curare con i pannicelli caldi da una grave malattia, quale resta la carenza dei medici la scarsa preparazione dei medesimi.
*già parlamentare