La Parola di Venerdì 18 ottobre 2024 –  “Conoscenza” a cura del prof. Innocenzo Orlando

La più vecchia chiave che conosciamo ha circa 4000 anni ed è stata ritrovata in Mesopotamia: i radi denti con cui terminava contenevano l’informazione adatta a combaciare con i fori di un chiavistello che consentiva di aprire e chiudere una porta.

Dimensioni e peso rilevanti, densità di informazione minima.

Qui l’oggetto fisico e l’informazione sono una cosa sola.

Invece la tesserina magnetica con cui apriamo le camere d’albergo è costituita da un supporto minimo per dimensioni e peso, ma contiene una notevole densità di informazione: non solo apre la porta solo della nostra camera e solo per il periodo in cui noi la occupiamo, ma conserva anche una serie di dati che riguardano il nostro soggiorno.

Quando un altro cliente occuperà la stessa camera, la nostra tessera non sarà più utilizzabile neppure per la stessa porta e il supporto fisico verrà riconfigurato con un altro set di dati relativi al nuovo occupante, perché oggetto fisico e informazione sono separabili.

Lo stesso accade se pesiamo un metro cubo di grattacielo: quello newyorkese dei primi del ‘900 pesa molto di più di quello modernissimo di Dubai.

La differenza tra i due pesi è data dalla conoscenza.

La conoscenza è sempre stata importante, ma oggi è diventata un importante fattore di crescita, di sviluppo, di produzione, di innovazione e ciò vale tanto per aziende altamente tecnologiche quanto per tutte le altre, comprese quelle no profit.

L’intensità di informazione incorporata nei beni sta aumentando di continuo, fino ad avere spesso maggiore importanza del supporto fisico che la contiene.

Dati, informazione e conoscenza

I dati e l’informazione sono meno rilevanti della conoscenza.

Se in un pc 8 bit equivalgono a un byte, 8 bit di informazione non equivalgono a un byte di conoscenza, perché questa non è una somma, ma un rapporto, un “sunto”.

I dati e l’informazione sono inseriti nella conoscenza come le tessere di un mosaico: ne sono componenti imprescindibili, ma non sono il disegno.

La conoscenza comporta l’esperienza, e il suo conseguimento comporta tempo.

A volte ce ne dimentichiamo perché la linea di demarcazione tra informazione e conoscenza -pur essendo molto chiara- non è mai assolutamente netta.

La disponibilità di informazioni ha sempre rivestito un ruolo fondamentale nello sviluppo sociale e culturale quanto nella creazione di ricchezza, e tutte le organizzazioni hanno sempre speso molte energie per raccogliere le informazioni necessarie alla propria sopravvivenza e al proprio sviluppo.

La tecnologia odierna offre la possibilità di raccogliere e soprattutto archiviare migliaia di miliardi di informazioni, provenienti da tutto il mondo, in pochi secondi, tanto che c’è un eccesso di informazioni disponibili.

Nel momento in cui sembrano più concreti i segnali dell’esistenza di una “economia delle informazioni”, ci accorgiamo velocemente della sua limitatezza.

La differenza sta nella capacità di utilizzare adeguatamente le informazioni; per questo motivo è la conoscenza ovvero la capacità di utilizzare un’informazione al fine di prendere una corretta decisione, a offrire un vantaggio a una persona o un’organizzazione rispetto a un’altra.

Sono le capacità legate all’elaborazione delle informazioni a fare la differenza e prima ancora sono le scelte fatte al momento della raccolta di queste informazioni, perché queste ultime possono anche essere considerate “neutre”, ma non sarà mai neutro il pacchetto di criteri con cui vengono selezionate.

Persino quelle che vengono immesse nell’altissima tecnologia dell’AI.

L’umano che sta alla base di ogni tecnologia è complesso, multiforme, multitasking, multilivello, variegato, discrezionale e contemporaneamente emotivo, riscrive l’esperienza ogni volta che la ricorda e la riutilizza, insomma non potrà mai essere “neutro” neanche quando si comporta e si crede massimamente neutrale.

E ricordiamoci che, alla fine, il beneficiario e il fruitore di ogni più alta tecnologia è sempre l’uomo.

Le informazioni dei segnali deboli

I sistemi complessi -sia quelli umani che sono persone, gruppi, società e sia quelli organizzativi di ogni tipo- sono molto sensibili ai segnali deboli, piccoli eventi apparentemente di scarso significato, che potrebbero assumere significati importanti e proporzioni impensate nel futuro.

Nel mondo scientifico, i segnali deboli sono ciò che sfugge alla normale misurazione e interpretazione e spesso quindi non sono considerati.

Fleming -lo scopritore della penicillina- era meravigliato da una sostanza che uccideva i batteri che lui coltivava e per un po’ di tempo considerò questo accadimento un errore nel processo.

Le parametrazioni e procedure ISO, se applicate fino in fondo, impediscono di cogliere i segnali deboli perché si oppongono alla deviazione dalla norma e alla non conformità, ricercando l’omologazione. È la capacità discrezionale umana che può risolvere il gap.

I segnali deboli risiedono nell’area chiamata the edge of chaos, il confine del caos.

Riconoscere i segnali in questa area è il segreto non tanto e non solo del successo, ma principalmente di una significativa crescita personale in un contesto più colto, più sostenibile, più equo e più umano.

Per scoprire i segnali deboli occorre andare oltre le esigenze immediate e le visioni staticamente miopi, oltre la sequenzialità predeterminata e meccanicistica.

Le buone idee sia per le persone, sia nel campo della scienza come del business, spesso cominciano da una devianza.