La morte di Sinwar (di Stelio W. Venceslai) (*)

La Parola Che Non Muore

 

E così anche Sinwar se ne è andato. Chi era Yahya Sinwar? Uno dei capi di Hamas, forse l’ultimo. A detta degli Israeliani, che se ne intendono, uno dei più pericolosi.

È morto intrappolato in un edificio, a Gaza, da dove stava uscendo.  Il bello, si fa per dire, ma non c’è niente di bello in tutta questa storia, è che non l’hanno scovato reparti specializzati nella caccia all’uomo, ma dei soldati arruolati da poco, non certo una compagnia d’élite.

Naturalmente, i laudatores occidentali da poltrona inneggiano a questo imprevedibile risultato e concludono che ora siamo ad una svolta. Sinwar era l’organizzatore del massacro del 4 ottobre. Morto lui, la vendetta è compiuta. Ora ridateci gli ostaggi (se ce n’è ancora qualcuno) e possiamo cominciare a parlare di una sosta (un cessate il fuoco, un armistizio, uno stand still, le parole non mancano). Dateci un attimo di respiro, anche perché abbiamo da fare in Libano.

L’esercito israeliano ha via via decapitato la dirigenza di Hamas e, ora, sta facendo lo stesso con gli Hezbollah. Se ammazzano tutti i responsabili, con chi si faranno gli auspicati accordi di pace? Con i venditori ambulanti di bevande fresche?

Diventa sempre più pericoloso capeggiare un movimento palestinese o filo iraniano.  Ci saranno ancora uomini disposti a fare da tirassegno? Questo è un primo problema: resistere e uccidere senza farsi ammazzare.

Il secondo problema è che tagliate le teste non si tagliano le idee. Magari si sotterrano, come i morti, ma sopravvivono, come la disperazione e l’odio. Purtroppo, la morte di Sinwar non chiude la tragedia palestinese. È illusorio pensarci.

Non abbiamo ancora reazioni dal mondo palestinese. Il colpo è grave e l’opinione pubblica è frastornata. Questi maledetti Ebrei hanno sempre un colpo in canna. Ma non c’è un futuro possibile oltre la sopravvivenza. Cosa verrà fuori da questa terra martoriata non lo sa nessuno e tanto meno Netanyahu.

Il terzo problema è il Libano. Israele non guarda in faccia a nessuno. Nel vuoto di potere internazionale fino alle prossime elezioni americane, Netanyahu è l’unico che abbia le idee chiare: sradicare gli Hezbollah dal Libano.

Ora, il Libano è davvero ad una svolta. Fra droni, missili e distruzioni, forse i Libanesi potrebbero riuscire a fare uno Stato. C’è un esercito libanese, ampiamente foraggiato dagli Stati Uniti e dalla Francia, che se ne sta con le mani in mano a guardare mentre la guerra infuria nel Paese.  Non ha direttive, non ha un governo che lo guidi. È una forza militare inutile, buona per le parate per festeggiare il giorno dell’indipendenza. Una buffonata. Se esiste al mondo un Paese indipendente, quello non è certamente il Libano.

Israele ha in mente lo sgombero forzato degli Hezbollah, un corpo estraneo sciita o filo sciita, dipendente in tutto e per tutto dall’Iran. Tagliarlo fuori dal Libano significa tagliare un braccio armato iraniano. Purtroppo l’Iran è lontano. Ha la disgrazia di non poter confinare Israele, altrimenti, ne vedremmo delle belle.

  L’Iran aspetta la reazione missilistica israeliana. Nulla di serio, però. Solo una dimostrazione, colpendo le installazioni militari. Non quelle petrolifere, altrimenti aumenta il prezzo del petrolio in tutto il mondo. Non quelle nucleari, troppo profonde nel terreno e troppo pericolose. Va bene sugli impianti militari specie se, avvertite, si manderanno in licenza premio le guarnigioni. C’è un fair play anche nella guerra a distanza, che diamine!

Qualcuno sostiene che Israele, che si muove con tanta disinvoltura fra statue di cristallo, in realtà agisce nel silenzio assordante dei Paesi arabi della regione, quasi tutti di osservanza sunnita, che vedono come il fumo negli occhi l’intraprendenza sciita iraniana. In sostanza, Israele starebbe facendo il lavoro sporco per loro. Poi chiederà un prezzo, ma i patti di Abramo sono già lì, pronti. Basterebbe dar loro una rinfrescata.

In Libano ci sono due agnelli sacrificali, a parte il Paese stesso: le Nazioni Unite e il contingente dell’UNIFIL, quello che avrebbe dovuto, da oltre un decennio, assicurare la separazione tra i bellicosi Hezbollah di un tempo e l’esercito israeliano.

 Le Nazioni Unite non contano nulla, come l’Unione europea. Sono un punto di riferimento internazionale necessario ma inutile. Netanyahu se ne frega. Prima delle elezioni americane deve concludere la sua missione. Poi si vedrà.

 L’Unifil, invece, sta in mezzo al caos. Francamente non si capisce che ruolo possa avere in questo frangente pericoloso. Forse non ha adempiuto pienamente al suo mandato, ma le recriminazioni postume sono inutili.

Qualche domanda, però, uno se la fa. Se è vero che gli Hezbollah hanno approfittato delle installazioni dell’UNIFIL come scudo per i loro depositi di armi o per le loro gallerie, possibile che non se ne sia accorto nessuno e non abbia sparato per dissuaderli? Non rientrava nelle loro regole d’ingaggio?

In sostanza, l’UNIFIL non ha separato i contendenti, non ha controllato gli Hezbollah, non ha sparato contro chi voleva farsene scudo. Ha solo preso il sole.

Sta di fatto che Israele spara anche sull’UNIFIL, che tace, ma nell’UNIFIL ci sono anche troppi Italiani, e questo per noi è un problema. A questo punto l’UNIFIL è inutile e un pericolo per chi ci sta dentro.

Come si vede, purtroppo, la morte di Sinwar risolve poco o nulla. I problemi restano e l’illusione di farla finita permane, ma è solo un’illusione.

 

(*) Esperto di politica estera