HomeAttualitàFiero, la parola di oggi a cura del prof. Innocenzo Orlando
Fiero, la parola di oggi a cura del prof. Innocenzo Orlando
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Fiero
fiè-ro
Significato Spaventoso, crudele, crudo; risoluto, orgoglioso, forte
Etimologia dal latino ferus ‘selvaggio, crudele, violento’.
«Guarda come incede fiero! Ha imparato a camminare la settimana scorsa.»
L’etimologia non è solo una storia: specie quando parla di sentimenti, di modi d’essere, che sono propri dell’essere umano e che tendono a permanere nei secoli, riesce a darci uno scorcio sulle impressioni primarie che li hanno riconosciuti, e quindi anche a darci la loro chiave originale. La questione si fa molto divertente quando queste impressioni sono davanti a noi in maniera evidente, e nell’uso non ce ne accorgiamo.
Il fiero è chiaramente imparentato con la fiera. Non quella con il croccante, i brigidini di Lamporecchio e la giostra, ma con la bestia feroce. Il fiero è feroce? Sono feroce quando sono fiero di come la mia bambina mangia la zuppa col cucchiaino? Messa così l’affermazione pare fuori fuoco, eppure è molto eloquente.
L’origine comune è il latino ferus, che è nientemeno che il selvaggio, il brutale, a partire da una radice indoeuropea ricostruita come ghwer- che identifica l’animale selvatico.
In italiano arriva così. Oggi sono significati bollati come letterari e arcaici, ma il fiero è dapprima il terribile, lo spaventoso — quando parlo della fiera lotta fra due cagnetti sulla crosta di formaggio, del fiero ingresso alla cantina, non sto parlando necessariamente di orgoglio e altezzosità, ma magari del modo in cui sono tremendi. Inoltre il fiero è crudele e crudo: un aspetto fiero è in grado di sgomentare, parole fiere mostrano una grande severità. Dopotutto, quando, del conte Ugolino, Dante dice che «La bocca sollevò dal fiero pasto», stiamo evidentemente parlando di questo ‘fiero’.
Di qui ‘fiero’ fa però il salto di significato che ci aspettiamo — non grosso ma sottile e importante. Arriva alla fermezza, alla consapevolezza della propria dignità, al piglio risoluto e al profilo d’orgoglio con cui lo conosciamo oggi — ma come?
Questo salto ci fa fare i conti con una nostra inconfessabile attrazione. Il selvaggio, il brutale, il terribile sono tutti ordinati (e chiusi bene) nel loro cassetto forastico e peregrino, ben distanziati dalle virtù dell’urbano e del civile, eppure… Hanno un modo di affermarsi che la persona affrancata dal selvatico, su un certo versante, ammira. Il modo d’essere selvaggio, crudele e crudo ha dei tratti di assertività completamente spontanei, alieni alle problematiche di umiltà che la vita consociata ci impone, agli scricchiolii delle dignità dei ruoli. La fierezza è un punto d’incontro fra orgoglio e semplicità — la sua pienezza non ha le sofisticazioni di boria e presunzione, vanagloria e tracotanza. È pulita e schietta, e se anche dentro ha una nota di barbarie, questa non pesa: quando mi dico fiero di appartenere alla mia comunità, quando sei fiera di me, quando perdo conservandomi fiero, non si sente alterigia sprezzante.
Non è nemmeno l’ultimo passaggio di significato che il fiero vive. Diventa in genere l’ardente e addirittura il grande — un fiero desiderio, un fiero sonno, continuano il concetto in una sfumatura di ‘forte’.
Insomma, in questa parola, apparentemente modesta, custodiamo una complessità inestricabile che squaderna in un aspetto, in un profilo, un nostro complicato modo di sentire le cose. Annoda insieme come in un tappeto lo spaventoso, il crudele, il selvaggio, il dignitoso, l’orgoglioso, l’ardente e il grande, perché quest’infilata di attributi, secondo la mente poetica collettiva che legge e interpreta il nostro cuore, è un disegno unico. Un grande potere d’introspe
L’etimologia non è solo una storia: specie quando parla di sentimenti, di modi d’essere, che sono propri dell’essere umano e che tendono a permanere nei secoli, riesce a darci uno scorcio sulle impressioni primarie che li hanno riconosciuti, e quindi anche a darci la loro chiave originale. La questione si fa molto divertente quando queste impressioni sono davanti a noi in maniera evidente, e nell’uso non ce ne accorgiamo.
Il fiero è chiaramente imparentato con la fiera. Non quella con il croccante, i brigidini di Lamporecchio e la giostra, ma con la bestia feroce. Il fiero è feroce? Sono feroce quando sono fiero di come la mia bambina mangia la zuppa col cucchiaino? Messa così l’affermazione pare fuori fuoco, eppure è molto eloquente.
L’origine comune è il latino ferus, che è nientemeno che il selvaggio, il brutale, a partire da una radice indoeuropea ricostruita come ghwer- che identifica l’animale selvatico.
In italiano arriva così. Oggi sono significati bollati come letterari e arcaici, ma il fiero è dapprima il terribile, lo spaventoso — quando parlo della fiera lotta fra due cagnetti sulla crosta di formaggio, del fiero ingresso alla cantina, non sto parlando necessariamente di orgoglio e altezzosità, ma magari del modo in cui sono tremendi. Inoltre il fiero è crudele e crudo: un aspetto fiero è in grado di sgomentare, parole fiere mostrano una grande severità. Dopotutto, quando, del conte Ugolino, Dante dice che «La bocca sollevò dal fiero pasto», stiamo evidentemente parlando di questo ‘fiero’.
Di qui ‘fiero’ fa però il salto di significato che ci aspettiamo — non grosso ma sottile e importante. Arriva alla fermezza, alla consapevolezza della propria dignità, al piglio risoluto e al profilo d’orgoglio con cui lo conosciamo oggi — ma come?
Questo salto ci fa fare i conti con una nostra inconfessabile attrazione. Il selvaggio, il brutale, il terribile sono tutti ordinati (e chiusi bene) nel loro cassetto forastico e peregrino, ben distanziati dalle virtù dell’urbano e del civile, eppure… Hanno un modo di affermarsi che la persona affrancata dal selvatico, su un certo versante, ammira. Il modo d’essere selvaggio, crudele e crudo ha dei tratti di assertività completamente spontanei, alieni alle problematiche di umiltà che la vita consociata ci impone, agli scricchiolii delle dignità dei ruoli. La fierezza è un punto d’incontro fra orgoglio e semplicità — la sua pienezza non ha le sofisticazioni di boria e presunzione, vanagloria e tracotanza. È pulita e schietta, e se anche dentro ha una nota di barbarie, questa non pesa: quando mi dico fiero di appartenere alla mia comunità, quando sei fiera di me, quando perdo conservandomi fiero, non si sente alterigia sprezzante.
Non è nemmeno l’ultimo passaggio di significato che il fiero vive. Diventa in genere l’ardente e addirittura il grande — un fiero desiderio, un fiero sonno, continuano il concetto in una sfumatura di ‘forte’.
Insomma, in questa parola, apparentemente modesta, custodiamo una complessità inestricabile che squaderna in un aspetto, in un profilo, un nostro complicato modo di sentire le cose. Annoda insieme come in un tappeto lo spaventoso, il crudele, il selvaggio, il dignitoso, l’orgoglioso, l’ardente e il grande, perché quest’infilata di attributi, secondo la mente poetica collettiva che legge e interpreta il nostro cuore, è un disegno unico. Un grande potere d’introspe