scò-lio
Significato Annotazione posta a margine di un’opera antica o medievale che fornisce chiarimenti o osservazioni, commento a margine di un’opera
Etimologia dal greco skhòlion, a sua volta da skholé, cioè ‘studio, ricerca’.
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«Il libro è pieno di scolii a margine, credo li abbia scritti mio nonno.»
Una parola corta e netta che è portatrice di un significato preciso e affilato, e custodisce uno degli atti basilari dello studio: gli scolii sono le annotazioni, i commenti posteriori fatti a un’opera — in particolare antica o medievale. Va da sé che più un autore è antico e famoso, più corposi e abbondanti sono i commenti che nei secoli sono stati fatti intorno alle sue opere. Un esempio su tutti brilla in questo firmamento: Omero, il quale vanta secoli e secoli di letture e riletture, interpretazioni di un verso, analisi di una parola, compiute da innumerevoli lettori, alcuni illustri, altri più leggendari che reali, altri ancora anonimi. Ma non solo Omero: la maggior parte dei grandi nomi dell’antichità ha avuto l’onore di interessare gli scoliasti, ovvero gli autori di scolii: da Euripide ad Aristotele, da Ippocrate a Virgilio a Orazio.
C’è un’altra parola che può essere affiancata a ‘scolio’, e arricchisce questo breve excursus nel campo fascinoso dello studio: la glossa. Sono sostanzialmente la stessa cosa, anche se la glossa ha avuto una particolare fortuna nel medioevo come annotazione di carattere giuridico sul Corpus Iuris Civilis di Giustiniano. Tanto che la scuola intorno a cui sorge l’università di Bologna e si afferma il concetto stesso di università è la scuola dei glossatori, con Irnerio lucerna iuris e il resto dell’illustre seguente compagnia.
Può trattarsi di un appunto interlineare su una parola difficile (quale è peraltro il significato del greco glôssa, ‘parola rara’), o può essere un più esteso commento a margine: comunque, generi di annotazioni che ci sono familiari, fulcri dell’esperienza scolastica — di quelle che verghiamo a fine poesia con gli appunti della spiegazione e della parafrasi che ci ha fornito la professoressa durante la lezione, se abbiamo ascoltato senza chiacchierare troppo col compagno di banco.
E qui tocchiamo un punto centrale: scolii, scuola, scolastica… tutti imparentati tra loro, e non sorprende. Appartengono alla matrice greca skholé, che è sì la scuola come la intendiamo noi, ma anche lo studio, l’attività di ricerca, la dissertazione e la trattazione. Eppure, leggiamo sui dizionari, skholé significa propriamente ‘tempo libero’ e ‘quiete’. Può sembrare una contraddizione in termini: come può la scuola essere anche il momento di riposo e di svago? Ci vengono in aiuto gli antichi romani con il prezioso concetto di otium (contrapposto a negotium) che è il tempo prezioso in cui lo spirito e la mente possono ricrearsi e divagare, arricchirsi, nutrirsi, con la lettura, la musica e tutte le arti. Guarda caso, quel che i latini chiamavano otium e che noi abbiamo malamente tramutato in ‘ozio’, i greci lo chiamavano proprio scholé. Ancora una volta (se ce ne fosse stato bisogno) abbiamo contezza di quanto Atene e Roma si siano prese per mano e abbiano foggiato il nostro pensare e il nostro parlare, che poi tendono a coincidere.
Quindi prepariamo l’esame su Omero e sappiamo che il professore ci farà sicuramente almeno una domanda sugli scolii dell’Iliade, o guardiamo un documentario sul ritrovamento di alcuni papiri che sembrano riportare preziosi scolii di opere antiche e, perché no, mandiamo una mail un po’ lunga e complessa e il ricevente è andato così tanto in confusione che siamo obbligati a mandargliene una che funga da scolio per facilitargli l’esegesi. Anche ai giorni nostri gli scolii possono tornare utili.
Invece la scoliosi, che affligge la colonna vertebrale, è un’altra faccenda: viene da a skolíos, ‘curvo’.