Tra Diogene e Cassandra* di Vincenzo D’Anna*
Nei giorni scorsi, uscendo dal solco della sua naturale funzione di “garante” della Costituzione (che non si immischia, cioè, negli affari politici correnti), il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha mosso pesanti critiche alle agenzie di rating. Si tratta, a beneficio dei malinformati che poco si intendono di economia, di società internazionali che svolgono il compito di catalogare lo stato di salute dell’economia (e della solvibilità) di una nazione per quanto concerne il debito accumulato. Tali enti rilasciano un parere di cui gli investitori sono chiamati a tenere conto. L’Italia, a fronte di un giudizio non proprio lusinghiero da parte di tali agenzie, ha riscosso comunque un enorme successo nel piazzare i propri titoli e le obbligazioni messi sul mercato per finanziare la spesa in bilancio. Da qui il pensiero del Capo dello Stato il quale ha ritenuto che il Belpaese avesse una la buona performance del Pil tale da non giustificare il trattamento, spesso scettico, riservato allo Stivale dai “professionisti” del rating. “La posizione netta sull’estero, a giugno di quest’anno, era creditoria per circa 225 miliardi di euro. Una dimensione enorme: il 10,5 per cento del Pil. Irragionevole che non venga notato dalle agenzie di rating nel valutare prospettive e affidabilità dell’economia italiana” ha argomentato l’Inquilino del Colle. Insomma non solo debiti ma anche crediti da riscuotere. Un’opinione, quella di Mattarella, condivisa da tutti i leader politici di casa nostra, da destra a sinistra, i quali, a vario titolo ed in tempi diversi, hanno anch’essi rilevato come le agenzie siano state particolarmente severe nei loro giudizi sullo stato dell’economia tricolore. Tuttavia, agenzie o non agenzie, le aste per collocare i titoli emessi dall’Italia sono andate lo stesso bene e la domanda di acquisto dei medesimi ha superato di gran lunga l’offerta!! In parole povere il mercato ha assunto opinioni ben diverse rispetto a quelle espresse dalle agenzie specializzate ritenendo Roma un “pagatore solvente”. In effetti abbiamo sempre pagato i nostri debiti e soddisfatti i possessori dei titoli di Stato. Ma se complotto contro il Belpaese si può ipotizzare, esso non risiede certo presso le agenzie di rating né fa capo alla volontà di oscuri plutocrati che tramano nell’ombra. I veri responsabili sono da ricercarsi nei governi italiani che si sono succeduti nel corso del tempo. Esecutivi che hanno speso più di quanto era nelle loro possibilità facendo leva sull’aumento del debito pubblico. Non si può non osservare come il nostro Paese abbia il secondo deficit più alto d’Europa (in proporzione al Pil) senza alcuna prospettiva realistica di ridurlo e che la crescita sia tornata ai livelli da “zero virgola” a cui eravamo abituati. I dati sul Pil dell’ultimo quadrimestre lo confermano: anche l’Italia pare avviarsi ad un allineamento con le altre economie del Vecchio Continente in difficoltà. Prima tra tutte la Germania che da sempre era ritenuta la locomotiva dell’Europa. Ma a dimostrare che in democrazia gli eletti – ossia la classe politica – e gli elettori si somigliano ecco venir fuori, da un’indagine statistica, il fatto che gli italiani mostrino una scarsa “educazione finanziaria”. In sintesi, poco o niente capiscono circa i fattori incidenti sull’economia. Parliamoci chiaro: siamo rimasti un popolo di levantini che si dedica esclusivamente al modo in cui sbarcare il lunario, a come mettere da parte il danaro, come eludere le tasse oppure ottenere sussidi e redditi senza lavori, se possibile. Tuttavia dei fattori economici poco ci si interessa. Eppure conoscere quei fattori, comprendere il nesso tra produttività, crescita economica e debito pubblico è indispensabile per poter giudicare la politica economica. Non a caso le discussioni sui bilanci vertono prevalentemente su tale tipo di spesa e sulla quantità di danaro da appostare sui vari capitoli riservati a quelle specifiche necessità. Mai una voce che si sia levata sugli interessi delle entrate!! Questo è quello che avviene a tutti i livelli amministrativi dal più piccolo dei Comuni agli enti più grandi. Nessuno politico ha mai racimolato voti e consensi sulle politiche in entrata. Tutti, viceversa, si sono espressi sulle politiche di spesa. Quando una naturale propensione a prediligere le uscite diventa la cifra distintiva di una classe politica ad ogni livello di rappresentanza, vuol dire proprio che quel modo di intendere le cose è consustanziale ad un intero popolo!! Da questo discende il generale disinteresse per l’ammontare pauroso del debito statale: ben tre milioni di miliardi di euro e l’antipatia per le politiche di rigore e risanamento. Insomma poco interessa Diogene che con il lanternino e dentro una botte, cercava la virtù nell’uomo e meno ancora credibile si mostra Cassandra quando costei prediceva, inascoltata, future sventure derivanti del debito economico!! La rivoluzione grillina? Ebbe come genesi la rivolta degli italiani per la politica di rigore e la chiusura delle segreterie politiche ove gli elettori esercitavano il mestiere di…clienti!! Ci vollero il reddito di cittadinanza e la ripresa dell’assistenzialismo statale per calmare le acque. Il resto sono vaghe ed evanescenti analisi per un popolo che si indigna delle ingiustizie solo quando queste non gli procurano alcun personale tornaconto!!
*già parlamentare