Gian Guido Vecchi recensisce sul Corriere della Sera, di cui è vaticanista, il volume su Paolo di Tarso scritto dal cardinale Gianfranco Ravasi, uno degli uomini più colti di questo secolo. S’intitola Ero un blasfemo, un persecutore e un violento (Cortina editore). Il titolo è l’autoritratto sintetico fornito dall’apostolo stesso, da taluni studiosi ritenuto il vero fondatore del cristianesimo, che era ebreo eppure rivendicava orgogliosamente la propria cittadinanza romana. Come mai? Un privilegio particolare? O un fatto normale? Vecchi risolve la questione nello spazio di una parentesi: «Un cittadino romano chiamato Paolo (nell’impero, duemila anni fa, valeva lo ius soli)». Sicuro? Paolo ha con il tribuno Claudio Lisia (il comandante romano della guarnigione presente a Gerusalemme che, attorno al 57-58, lo salvò da un tentativo di linciaggio da parte degli ebrei sulla spianata del Tempio) questo dialogo riferito negli Atti degli Apostoli: «Allora il tribuno si recò da Paolo e gli domandò: “Dimmi, tu sei cittadino romano?”. Rispose: “Sì”. Replicò il tribuno: “Io questa cittadinanza l’ho acquistata a caro prezzo”. Paolo disse: “Io, invece, lo sono di nascita!”» (At 22, 27-28). Premio ai suoi genitori o avi per un servizio reso all’impero e trasmissibile per linea di sangue, o legato a meriti della città. Di certo lo ius soli non c’entra nulla. Altrimenti anche Gesù, la Madonna e san Giuseppe, nonché tutti gli ebrei di Galilea e Giudea, sarebbero stati cittadini romani. Che ne dice il cardinale Ravasi?
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Su Instagram, l’editore Feltrinelli reclamizza così la partecipazione della sua autrice Concita De Gregorio al programma Quante storie su Rai 3 con il libro In mezzo a un milione di rane e di farfalle: «Per dirla come il poeta Achille Bertolucci “Assenza, più acuta presenza”. In fondo è sempre vero che chi ci manca è sempre presente nei nostri pensieri, molto più di chi c’è». Il famoso tallone di Achille. (Il poeta, morto nel 2000, si chiamava Attilio Bertolucci).
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Occhiello dal Fatto Quotidiano: «Wall Street Journale». ’O journale ’nnammurato.
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«Come racconta Lorenzo Dal Boca (“Maledetti Savoia” Piemme) i ribelli e i cafoni “avrebbero trovato il fatto loro in un bel campo di concentramento in Patagonia”», scrive Francesco Merlo, rispondendo a un lettore della Repubblica nella rubrica Posta e risposta. Ma l’autore del saggio si chiama Lorenzo Del Boca ed è stato per un decennio presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti.
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Dall’Ansa: «“Benvenuti a Bonaire”, recitano i cartelli sul parking del complesso di negozi alle porte di Valencia, il più grande della città, dove solo quattro giorni dopo la catastrofe i militari dell’Unità di emergenza dell’esercito (Ume) sono riusciti a entrare con i vigili del fuoco dopo aver drenato per 24 ore con le pompe idrovore i quattro metri cubici di acqua che hanno sommerso l’intero parcheggio sotterraneo». Impressionante! Infatti 4 metri cubi corrispondono a 4.000 litri, il volume di una piscina gonfiabile per bambini. Il soggiorno di una casa misura mediamente 50-60 metri cubi.
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Il sito del Fatto Quotidiano Magazine dà notizia di un’intervista che Francesca De André, figlia di Cristiano e nipote di Fabrizio De André, ha rilasciato a Novella 2000 e lo fa con il seguente titolo: «“Mio padre continua a riarrangiare i brani di mio nonno morto per monetizzare, ha sempre lasciato che le sue miserie prendessero il sopravvento…”: così Francesca De André sul papà Cristiano». Quindi Fabrizio De André morì per monetizzare. Questi genovesi!
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Riferendosi a Oscar Luigi Scalfaro, il direttore della Verità, Maurizio Belpietro, nell’editoriale di prima pagina scrive: «Dopo il Campanaro, l’uomo del “non ci sto” a farsi processare». Il «non ci sto» (sottinteso «io», prima persona singolare) avrebbe richiesto la stessa categoria grammaticale nel successivo predicato verbale, quindi «a farmi processare», non «farsi». La frase continua così: «Venne Carlo Azeglio Ciampi che, in maniera più discreta e meno proterva, ha proseguito l’opera». Il primo verbo al passato remoto («venne») avrebbe richiesto preferibilmente, per coerenza, lo stesso tempo nel secondo verbo: «Proseguì».
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Sommario di un titolo della Repubblica sulla prima udienza del processo che ha visto in aula Gino Cecchettin, padre di Giulia, uccisa dal fidanzato Filippo Turetta: «Quelle quattro ore in silenzio ad ascoltare il giovane che le ha portato via la figlia». Il gender dilaga.
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Il Corriere della Sera intervista il regista Giovanni Veronesi, al quale nel titolo viene attribuita questa affermazione: «Bigiavo scuola tutti i weekend per seguire la Valanga Azzurra». Caspita, riusciva a marinare la scuola anche di domenica?
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«Un gran rifiuto scuote il mondo della gastronomia italiana. È quello di Benedetto Rullo, Lorenzo Stefanini e Stefano Terigi, gli chef del ristorante Il Giglio di Lucca. I tre hanno comunicato alla guida Michelin di rinunciare alla loro (meritatissima) stella». Così comincia sul Giornale un articolo di Andrea Cuomo. Che più avanti specifica: «Si tratta di tre giovani entusiasti che nel 2019 avevano ottenuto il massimo riconoscimento». Per la verità, il massimo riconoscimento attribuito dalla Guida Michelin sono le tre stelle, come dovrebbe ben sapere Cuomo, che scrive abitualmente di gastronomia.
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Dall’Ansa: «Piccolo pasticcio al Sinodo sulle benedizioni gay». Si è tenuto un sinodo avente per tema le benedizioni ai gay? No? Allora si doveva scrivere: «Sulle benedizioni gay piccolo pasticcio al Sinodo».