Aversa, 1949. Uccise il cognato convinto che avesse sedotto la figlia. Effettivamente la ragazza era stata “deflorata” ma dal socio del padre. La sua condanna fu a 21 anni e 14 per la figlia di Ferdinando Terlizzi
La sera del 20 luglio del 1949, in Aversa, Ferdinando Lavagna, esplodeva all’indirizzo di Ferdinando Cirillo, di anni 40, suo cognato, marito di sua sorella Speranza, diversi colpi di pistola cagionandone la morte per lesioni ai polmoni e al cuore. Dopo alcune ore di latitanza si costituì ai carabinieri. Il 9 giugno del 1949 il Lavagna aveva presentato querela contro il Cirillo assumendo che lo stesso nei primi giorni di settembre del 1948 aveva, con violenza, abusato della figliola Nunziata di anni 18 che con lui conviveva. Venuto a conoscenza dell’accaduto il padre aveva fatto visitare la ragazza dal Dr. Luigi Gallo, ginecologo da Aversa, il quale, dopo alcuni attenti esami, con referto del primo giugno di quell’anno, diagnosticò che effettivamente la ragazza era stata “deflorata”. Intanto, Ferdinando Cirillo, preoccupato per le gravi minacce che il cognato direttamente e per interposte persone gli faceva pervenire – nonostante le sue reiterate proteste di innocenza – presentava un esposto al locale ufficio di pubblica sicurezza – dopo aver reso note le minacce di morte alle quali, per vari giorni, veniva fatto segno. Le indagini accertarono che la ragazza stessa era indicata vox populi come dedita a facili amori. Ma prima del delitto all’assassino gli era sembrato naturale che fosse la figlia a vendicare il suo onore ed all’uopo aveva acquistato una rivoltella dall’armiere Luigi Perletti di Aversa, impartendo alla figlia lezioni sul maneggio dell’arma. La Nunziatina, però, si era dimostrata incapace all’uso della rivoltella. Il giorno 20 luglio del 1949, mentre portava in giro la sua merce col carrettino, si era imbattuto nel Cirillo che innanzi alla vendita di tabacchi Sapio fumava in compagnia di amici. In preda all’ira era corso a casa ad armarsi e quando si era trovato a pochi metri da lui il Cirillo gli aveva riso in faccia.
Aveva egli allora estratto la rivoltella ed aveva fatto fuoco contro l’avversario e lo aveva rincorso quando aveva cercato scampo nella fuga. Consumato il delitto si era rifugiato in Lusciano presso il cognato Antonio Melito, decidendo di costituirsi ai carabinieri soltanto dopo aver saputo che il cognato era deceduto. La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (Presidente, Pietro Giordano; giudice a latere, Victor Ugo De Donato; pubblico ministero, Pasquale Allegretti) con sentenza del 26 ottobre del 1951, condannò a 21 anni di reclusione il padre, a 14 anni la figlia Nunziata, ed assolse la moglie, Fiorentina Melito, per insufficienza di prove, dal concorso in omicidio premeditato aggravato. Il pubblico ministero aveva chiesto l’ergastolo per il Lavogna e l’assoluzione per la moglie e la figlia. Alla difesa si schierarono gli avvocati: Ciro Maffuccini e Giuseppe Garofalo. Per la parte civile gli avvocati: Pompeo Rendina e Enrico Altavilla. Il socio in affari dell’imputato, Alfredo Arpaia, l’amico di famiglia, l’effettivo violentatore della ragazza, non venne perseguito per mancanza di querela.
(*) Ferdinando Terlizzi – Delitti in bianco & nero a Caserta – Processi, enigmi, retroscena, orrori e verità / Un viaggio nella provincia attraverso la morte, la passione, la vendetta e l’odio. Edizioni Italia – 2017 –