domenica, 24 Novembre 2024
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Il meglio-peggio da Il Fatto, Notix.it, Cronachedi, Ansa dall’Agenzia Cronache, direttore Ferdinando Terlizzi

Kalashnikov e bombe a mano pronte all’uso: l’incredibile arsenale della curva Nord Inter

24 Novembre 2024

A un certo punto sono stati chiamati addirittura gli artificieri. Sì perché quelle granate, almeno tre, di grandi dimensioni, se maneggiate male potevano esplodere. È uno dei particolari inquietanti della perquisizione eseguita dalla squadra Mobile di Milano la notte tra venerdì e ieri e che ha portato alla luce un vero e proprio arsenale nella disponibilità, secondo gli inquirenti, di alcuni membri dell’ex direttivo della curva Nord interista indagati per associazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso. Le attività della Mobile, condotte con decine di agenti, sono andate avanti per almeno dieci ore. Sono state repertate diverse pistole, mitragliette, fucili d’assalto kalashnikov, centinaia di proiettili e anche diversi giubbotti antiproiettile. Oltre naturalmente alle granate. Una vera santabarbara custodita in un capannone al piano terra all’interno di un complesso residenziale nel comune di Cambiago in provincia di Milano. Paese dove per anni ha avuto la sua attività di bar e centro sportivo Andrea Beretta, ex capo della curva oggi collaboratore di giustizia e indagato, oltre che per l’indagine Doppia Curva, anche per l’omicidio di Antonio Bellocco, uno dei figli prediletti delle cosche di Rosarno. Le prime dichiarazioni di Beretta potrebbero aver messo la Mobile, coordinata da Alfonso Iadevaia, sulla pista giusta. Sempre a Cambiago, Beretta ha un appartamento utilizzato dall’amico Cristian Ferrario (già impiegato presso il negozio We are Milano di Pioltello gestito da Beretta), il quale aveva nella disponibilità il capannone delle armi. Per questo ieri Ferrario è stato arrestato e portato a San Vittore con l’accusa di detenzione di armi da guerra. Per quello che risulta, inoltre, il capannone è intestato a una società legata alla curva Nord. Le armi ritrovate, dai primi accertamenti degli inquirenti, erano occultate dentro a diversi armadietti. Collocate in buon ordine. Ora la polizia e la Procura dovranno capire la provenienza delle armi e se sono state usate in passato, oltre a verificare che le stesse non siano riconducibili in parte allo stesso Bellocco e alla ‘ndrangheta. Di certo, Beretta ha sempre mostrato una passione per le armi, tanto che andava a sparare al poligono. Il nome di Ferrario è già emerso nell’indagine Doppia Curva con il ruolo di prestanome per Beretta e Bellocco. Sul suo conto sono stati bonificati 40 mila euro, poi girati al duo Beretta-Bellocco come prezzo di una “protezione mafiosa” a favore di un imprenditore che stava gestendo un affare in Sardegna.

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Si getta dall’auto in corsa per sfuggire agli abusi

A Napoli, vittima una diciannovenne. Pensava fosse il suo taxi

NAPOLI, 23 novembre 2024, 19:04

Era convinta che fosse il taxi che aveva chiamato e l’ha preso, ma quella corsa si è trasformata in un incubo per una diciannovenne napoletana che, per sfuggire al suo aguzzino, è stata costretta a gettarsi dall’auto in movimento.

L’uomo è stato arrestato dalla Polizia. E’ successo a Napoli, la notte scorsa.
La giovane, ha accertato la polizia, in corso Umberto, non lontano dalla stazione centrale, era salita a bordo di un’autovettura, pensando fosse il taxi che stava attendendo per tornare a casa. Durante il tragitto, però, il conducente ha cominciato a molestarla. A fronte del netto rifiuto della ragazza, l’uomo è diventato violento: l’ha presa a schiaffi, le ha strappato di mano il telefono e ha continuato con il suo atteggiamento, diventando sempre più aggressivo. A questo punto, la diciannovenne, disperata, ha fatto l’ultima cosa che le restava: ha aperto la portiera e si è gettata dall’auto in movimento.
Tutto questo è avvenuto nel quartiere di Ponticelli, a diversi chilometri da dove era cominciata la corsa del finto taxi: un lasso di tempo durante il quale la vittima ha vissuto momenti di vero terrore, che poi ha raccontato alla polizia. Ad allertare gli agenti è stato un cittadino che ha assistito alla scena ed ha chiamato la centrale operativa raccontando di aver visto una donna che si era buttata da un’auto in corsa. Sul posto, in via Fratelli Grimm, è subito intervenuta una pattuglia del Commissariato Ponticelli, mentre gli agenti del Commissariato Vasto-Arenaccia, grazie alle descrizioni del veicolo e dell’aggressore, lo hanno rintracciato in via Brin.
L’uomo, un 38enne originario della zona di Caserta, è stato trovato in possesso degli effetti personali della vittima ed è stato arrestato per rapina e violenza sessuale. Ma le indagini sul suo conto non sono finite, perchè nel veicolo i poliziotti hanno trovato diversi documenti di riconoscimento intestati ad altre persone, di cui l’arrestato non ha saputo giustificare la provenienza. Per questo è stato anche denunciato per ricettazione. La polizia sta ora rintracciando tutti i proprietari dei documenti, per cercare di capire come il 38enne – che è stato rinchiuso nel carcere di Poggioreale – ne sia venuto in possesso.

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Colpo di pistola alla tempia, noto imprenditore trovato morto in auto: è giallo

VITULAZIO – È giallo sulla morte del noto imprenditore ortofrutticolo Nicola Marfella. trovato cadavere nel pomeriggio di ieri, riverso nella sua automobile.

La vettura era parcheggiata in un terreno in località Lepre a Vitulazio. Il ritrovamento della salma di Nicola Marfella, titolare dell’azienda ortofrutticola Marfrutta, ha lasciato sconvolti familiari, amici e dipendenti della sua ditta. L’uomo è morto a seguito di un colpo di pistola alla tempia: il suo corpo era al posto di guida nell’abitacolo della vettura e l’arma poco distante. Sul caso indagano i carabinieri che al momento non escludono alcuna ipotesi. né quella del suicidio, né quella di un omicidio. (Foto di repertorio)

 

Napoli: 432 arresti per violenza di genere in 11 mesi

Napoli e provincia: un bilancio allarmante ma anche un segnale di speranza nella lotta contro la violenza di genere. Nei primi undici mesi del 2024, i Carabinieri del Comando Provinciale di Napoli hanno registrato 432 arresti e 2230 denunce in stato di libertà per reati connessi alla violenza sulle donne. Un dato che, pur preoccupante, evidenzia anche un incremento delle denunce, segno di una maggiore fiducia delle vittime nelle forze dell’ordine e di una crescente consapevolezza del problema.

‘Lui cambierà! Me l’ha promesso!’, ‘Smetterà di bere, lo farà per me!’, ‘E’ il padre dei miei figli!’, ‘Non dovevo indossare quel vestito…’. Queste frasi, spesso sussurrate con un sorriso amaro, mascherano la realtà di relazioni tossiche e violente. Sono le parole che accompagnano le lame del veleno che corrode la vita delle donne, un cancro che necessita di cure e di un intervento deciso.

La lotta contro questo fenomeno richiede un impegno costante e multiforme. I Carabinieri di Napoli stanno lavorando attivamente su più fronti, offrendo supporto concreto alle vittime e promuovendo iniziative di prevenzione. Quattro ‘stanze tutte per sé’, realizzate grazie al supporto dell’associazione Soroptimist (a Ercolano, Napoli Capodimonte, Caivano e Napoli Stella), rappresentano un esempio concreto di rifugio sicuro e riservato per le donne che hanno bisogno di aiuto. Un’ulteriore ‘stanza rosa’, realizzata con il patrocinio della Fidapa BPW Italy, sarà inaugurata prossimamente nell’isola d’Ischia.

I numeri, però, raccontano storie individuali di sofferenza. A San Giovanni a Teduccio, un 50enne è stato arrestato per aver ripetutamente colpito la compagna con una cintura di cuoio, pugni e calci, accompagnando le violenze fisiche con insulti e minacce. Al Vomero, un 49enne è stato arrestato per aver violato il divieto di avvicinamento alla sua ex compagna, perseguitandola con appostamenti davanti alla scuola del figlio e al suo luogo di lavoro, oltre che con messaggi persecutori via mail.

L’impegno delle forze dell’ordine è fondamentale, ma la lotta alla violenza di genere richiede la collaborazione di tutta la società. Solo attraverso un’azione congiunta, che coinvolga istituzioni, associazioni e cittadini, sarà possibile sconfiggere questo drammatico fenomeno e garantire alle donne un futuro libero dalla violenza.

Ad Albanova  nel 1946  il primo delitto della nuova Repubblica – Due vendette con tre morti. Le famiglie Jovine, Caterino e Capoluongo, antesignane del true crime casalese

di Ferdinando Terlizzi

Il 2 giugno 1946, alle 10,30, alla via Roma, mentre tutti i cittadini italiani – comprese le donne – erano impegnati in una consultazione politica nazionale per eleggere i componenti dell’Assemblea Costituente (che doveva redigere la nuova carta costituzionale,) ad Albanova si consumò il primo delitto della Nuova Repubblica. Un commando criminale, infatti,  composto da Giovanni, Giacomo e Oreste Iovine; Giacomo Caterino e Giuseppe Cecoro, fu accusato di avere, in quella fatidica data, commesso un atroce delitto. Il primo della storia moderna. Furono ben setti i colpi di pistola sparati all’indirizzo di Ersilio Riccardo, e per errore venne anche ferito il giovane Antonio Spierto. Dalle prime indagini Giacomo Caterino e Oreste Iovine furono ritenuti dagli inquirenti gli istigatori dell’omicidio. Giuseppe Cecora, invece, venne accusato di falsa testimonianza per aver deposto in un procedente processo a carico dei 4 casalesi. L’assassino era un giovane di 22 anni, Giovanni Iovine (componente di una famiglia che farà parlare molto di sé), il quale, prima di darsi alla latitanza, in pubblica piazza gremita di gente per la fatidica data, con evidente spavalderia a distanza ravvicinata esplose 7 colpi di pistola uccidendo il giovane Ersilio Riccardo che nella circostanza era in compagnia del cugino Giuseppe; due colpi, però, dei sette esplosi, raggiunsero il 17enne Antonio Spierto. Ma questo delitto perpetrato per vendetta aveva un antefatto.

Nel corso dell’episodio i due vennero a lite ed entrambi sparando uno con il fucile e l’altro con la pistola, si produssero vicendevolmente lesioni gravi e rimasero feriti sia il Riccardo che Giuseppe e Giacomo Iovine. La perizia necroscopica effettuata sul cadavere del Riccardo – rimasto freddato al centro del paese – accertò che il giovane era stato colpito a bruciapelo: un colpo gli spezzò il cuore in due parti, un altro. La morte fu immediata. Dopo una breve latitanza l’assassino si costituì ai carabinieri ed al magistrato inquirente dichiarò che lui aveva fatto fuoco perché era stato più volte minacciato.  Negò che i familiari lo avessero istigato al delitto. Sulla scorta dei dati anamnestici dei familiari i difensori di Giovanni Iovine richiesero una perizia psichiatrica sulla stato di mente dell’imputato. Il Giudice Istruttore affidò l’incarico peritale ai proff. Eustachio Zara e Vittorio Della Pietra, rispettivamente direttore e vice dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Napoli. Le conclusioni furono che lo Iovine era uno “psico-degenerato che presentava episodi di psicosici, a tipo vasanico, e che le sue condizioni psichiche – quando commise il fatto – era in uno stato di mente che gradatamente diminuiva – senza escluderla – la sua capacità di intendere e volere”. Questa diagnosi ebbe una parziale conferma con consulenza di parte, affidata al consulente professor Pasquale Penta, il quale diagnosticava che l’imputato: “era un epilettico frenastenico-cerebropatico che, colpito da un episodio delineare allucinatorio, aveva agito senza la capacità di intendere e volere”.

 

1° Parte ( segue domenica prossima)
Fonte: Ferdinando Terlizzi – Vittime assassini processi – Edizioni Eracle – 2020 –