Ad Albanova  nel 1946  il primo delitto della nuova Repubblica – Due vendette con tre morti. Le famiglie Jovine, Caterino e Capoluongo, antesignane del true crime casalese/  di Ferdinando Terlizzi

 

 

Il 2 giugno 1946, alle 10,30, alla via Roma, mentre tutti i cittadini italiani – comprese le donne – erano impegnati in una consultazione politica nazionale per eleggere i componenti dell’Assemblea Costituente (che doveva redigere la nuova carta costituzionale,) ad Albanova si consumò il primo delitto della Nuova Repubblica. Un commando criminale, infatti,  composto da Giovanni, Giacomo e Oreste Iovine; Giacomo Caterino e Giuseppe Cecoro, fu accusato di avere, in quella fatidica data, commesso un atroce delitto. Il primo della storia moderna. Furono ben setti i colpi di pistola sparati all’indirizzo di Ersilio Riccardo, e per errore venne anche ferito il giovane Antonio Spierto. Dalle prime indagini Giacomo Caterino e Oreste Iovine furono ritenuti dagli inquirenti gli istigatori dell’omicidio. Giuseppe Cecora, invece, venne accusato di falsa testimonianza per aver deposto in un procedente processo a carico dei 4 casalesi. L’assassino era un giovane di 22 anni, Giovanni Iovine (componente di una famiglia che farà parlare molto di sé), il quale, prima di darsi alla latitanza, in pubblica piazza gremita di gente per la fatidica data, con evidente spavalderia a distanza ravvicinata esplose 7 colpi di pistola uccidendo il giovane Ersilio Riccardo che nella circostanza era in compagnia del cugino Giuseppe; due colpi, però, dei sette esplosi, raggiunsero il 17enne Antonio Spierto. Ma questo delitto perpetrato per vendetta aveva un antefatto.

Nel corso dell’episodio i due vennero a lite ed entrambi sparando uno con il fucile e l’altro con la pistola, si produssero vicendevolmente lesioni gravi e rimasero feriti sia il Riccardo che Giuseppe e Giacomo Iovine. La perizia necroscopica effettuata sul cadavere del Riccardo – rimasto freddato al centro del paese – accertò che il giovane era stato colpito a bruciapelo: un colpo gli spezzò il cuore in due parti, un altro. La morte fu immediata. Dopo una breve latitanza l’assassino si costituì ai carabinieri ed al magistrato inquirente dichiarò che lui aveva fatto fuoco perché era stato più volte minacciato.  Negò che i familiari lo avessero istigato al delitto. Sulla scorta dei dati anamnestici dei familiari i difensori di Giovanni Iovine richiesero una perizia psichiatrica sulla stato di mente dell’imputato. Il Giudice Istruttore affidò l’incarico peritale ai proff. Eustachio Zara e Vittorio Della Pietra, rispettivamente direttore e vice dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Napoli. Le conclusioni furono che lo Iovine era uno “psico-degenerato che presentava episodi di psicosici, a tipo vasanico, e che le sue condizioni psichiche – quando commise il fatto – era in uno stato di mente che gradatamente diminuiva – senza escluderla – la sua capacità di intendere e volere”. Questa diagnosi ebbe una parziale conferma con consulenza di parte, affidata al consulente professor Pasquale Penta, il quale diagnosticava che l’imputato: “era un epilettico frenastenico-cerebropatico che, colpito da un episodio delineare allucinatorio, aveva agito senza la capacità di intendere e volere”.

1° Parte ( segue domenica prossima)
Fonte: Ferdinando Terlizzi – Vittime assassini processi – Edizioni Eracle – 2020 –