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Buongiorno.
Cogliendo tutti di sorpresa (governo incluso), Unicredit ha lanciato un’offerta pubblica di scambio di azioni (Ops) del valore di 10,1 miliardi sul Banco Bpm, terzo istituto italiano. Operazione che arriva in un momento delicato: Unicredit si sta muovendo anche per acquisire il controllo della tedesca Commerzbank e Banco Bpm è a sua volta impegnato con un’offerta pubblica di acquisto sulla società di risparmio gestito Anima holding. E ha appena rilevato il 5% del Monte dei Paschi nell’ambito della privatizzazione impostata dal governo, sceso all’11% nell’istituto senese. Insomma, la mossa di Unicredit scombussola gli scenari che volevano il Banco puntare a una quota crescente nella banca toscana per creare un nuovo polo bancario nazionale.
È proprio questo a provocare un’alzata di scudi nel governo. Il più contrario è il vicepremier Matteo Salvini: «Non vorrei che qualcuno volesse fermare l’accordo Bpm-Mps per fare un favore ad altri. Ero rimasto al fatto che Unicredit volesse crescere in Germania e non so perché abbia cambiato idea, anche perché Unicredit ormai di italiano ha poco e niente. L’interrogativo mio e di tanti risparmiatori è: Banca d’Italia c’è? Che fa? Esiste? Che dice? Vigila?».
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, prima ricorda con un po’ di malizia a Unicredit che «come dice von Clausewitz, il modo più sicuro per perdere la guerra è impegnarsi su due fronti», poi mette sul tavolo l’arma letale del governo: «Come è noto esiste il golden power quindi il governo farà le sue valutazioni e valuterà attentamente quando Unicredit invierà la sua proposta per le autorizzazioni del caso». Il golden power consente al governo di limitare operazioni che potrebbero portare in mani straniere attività considerate strategiche. Unicredit ha la sua sede legale a Milano, ma la maggior parte degli azionisti risiede fuori dall’Italia.
Va detto che in Forza Italia l’atteggiamento è molto diverso da quello dei due esponenti leghisti. Al netto degli obblighi di vigilanza, il partito di Antonio Tajani «non è assolutamente d’accordo» a entrare su un’operazione che è del mercato: «Non è assolutamente la nostra linea».
Il vicedirettore del Corriere Daniele Manca, nel suo editoriale, scrive che «da un lato si tratta di una sveglia, di una scossa, all’Europa. Dall’altro di un cambio significativo nel mondo del credito italiano. Quello che assicura a famiglie e imprese il flusso di denaro che permette lo sviluppo del Paese. (…) L’Europa deve tornare a pensarsi come un attore e non uno spettatore di ciò che accade nel mondo. Questo necessariamente si sposa non solo con le scelte politiche ma anche con quelle economiche. (…) Non è stata Bruxelles a fermare l’Unione bancaria ma gli interessi di Paesi come la Germania, tanto per non fare nomi, che ha sicuramente un sistema del credito più arretrato nel Continente». Resta però vero che «se l’operazione italiana può ridare smalto al dinamismo europeo, dal punto di vista industriale l’offerta lanciata da Unicredit interrompe un percorso. Il percorso, virtuoso, avviato da Giuseppe Castagna da quando è alla guida di Banco Bpm. (…) Da sempre Bpm è il sogno proibito di Unicredit che in Lombardia soffre una poca presenza proprio sul versante dei prestiti a famiglie e imprese. E ci si deve chiedere se l’operazione è funzionale ad essi. Siamo pur sempre in un’Italia dove le banche hanno annunciato, grazie a tassi di interesse molto elevati, utili miliardari. Ma i prestiti sono diminuiti».
Ad avviso del vicedirettore del Corriere, quella lanciata da Unicredit rimane comunque un’operazione di mercato: «Prova ne sia che non tutti gli analisti l’hanno giudicata positivamente. In termini di prezzo e di finalità industriali. In termini di prezzo perché quando Bpm ha lanciato l’Opa su Anima ed è entrata in Mps il mercato ha spinto al rialzo i titoli di tutti i protagonisti. A testimonianza del favore con il quale si vedeva quelle operazioni. Ieri non è accaduto lo stesso: mentre Bpm è salita Unicredit è scesa» (+5,4% e -4,77%, rispettivamente.
Il consiglio di amministrazione di Banco Bpm si riunirà questa mattina. L’appuntamento era fissato da tempo ma ora avrà inevitabilmente nella prima risposta dell’amministratore delegato Giuseppe Castagna all’offerta di Unicredit il suo punto cruciale. «Difficile pensare – anticpa Stefano Righi – che un premio dello 0,5 per cento rispetto al prezzo di venerdì scorso possa indurre a un giudizio positivo, anche se alcuni artifici contabili lo fanno salire fino al 20 per cento. Tanto più che quella prospettata è una operazione carta contro carta, uno scambio di azioni, senza utilizzo di cash».
Il consiglio del Banco Bpm dovrà giungere nelle prossime settimane a una valutazione dell’offerta e quello odierno è solo il primo passo di un processo articolato, dove Castagna dovrà muoversi su un sentiero ristretto dalla normativa che regola questo tipo di operazioni. I report di alcuni analisti, da Equita a Intermonte, da Mediobanca a Deutsche Bank, giudicano sensata l’operazione, ma accompagnata da un prezzo troppo basso.
(Qui la posizione dell’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, e qui quella di Giuseppe Castagna di Banco Bpm)
Le parole di Meloni su migranti e violenze«Adesso verrò definita razzista, ma c’è un’incidenza maggiore, purtroppo, nei casi di violenza sessuale, da parte di persone immigrate, soprattutto illegalmente».
Lo ha detto la premier, Giorgia Meloni, in un’intervista a Donna Moderna, nel giorno della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Sulla stessa linea il vicepremier Salvini che invita a «riconoscere l’inevitabile e crescente incidenza degli aggressori stranieri, un dato preoccupante che non sminuisce in alcun modo i casi italiani ma evidenzia le pericolose conseguenze di un’immigrazione incontrollata».
La violenza sulle donne è «strutturale» e «affonda le radici nel patriarcato» — osserva invece la segretaria del Pd Elly Schlein — che è «negato solo da chi finge di non vederlo». Semmai «le istituzioni dovrebbero lavorare insieme per mettere la parola fine al fenomeno».
Rinaldo Frignani segnala che, secondo i dati del report «Il pregiudizio e la violenza contro le donne», del Servizio di analisi criminale del ministero dell’Interno, in Italia quattro violenze sessuali su dieci sono state commesse da stranieri — il 44% nei primi sei mesi 2024 rispetto al 46% dello stesso periodo dello scorso anno — ma sul fronte dei femminicidi la percentuale scende al 25% (+4% sul 2023), con tre delitti su quattro commessi da italiani.
Preoccupa quel che dice ad Alfio Sciacca la capitana dei carabinieri Felicia Basilicata, che comanda la Compagnia di Senigallia (Ancona): «Si sta abbassando sempre più l’età in cui i ragazzi mettono in atto condotte possessive, persecutorie o di stalkeraggio. Anche a 15 anni ci sono ragazzi che impediscono alla fidanzata di uscire con le amiche, che pretendono di controllarne il telefono o geolocalizzarle. Si creano rapporti malati che in alcuni casi possono sfociare in condotte persecutorie e stalkeraggi. Molti ragazzi hanno un’idea distorta delle relazioni affettive e confondono l’amore con il possesso. Spesso lo fanno emulando ciò che hanno visto in altri coetanei». Il suo consiglio? «Da carabiniera dico alle ragazzine che non appena hanno il primo piccolo sentore di atteggiamenti morbosamente possessivi o violenti devono segnalarlo. Non per forza ai carabinieri, ma parlarne con i genitori, con un’amica più grande, un’insegnante».
«La violenza contro le donne ha numeri allarmanti. È un comportamento senza giustificazioni, radicato in disuguaglianze, stereotipi di genere e culture che tollerano o minimizzano gli abusi, spesso in ambito familiare», ha scritto ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Nonostante l’Italia già dal 2013 abbia ratificato la convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta alla violenza di genere «dotandosi di strumenti di tutela», per Mattarella «quanto fatto finora non è sufficiente a salvaguardare le donne, anche giovanissime, che continuano a vedere i loro diritti violati». Richiamando il tema proposto dall’Onu per celebrare la giornata («Nessuna scusa»), il capo dello Stato ha detto che è «superfluo sottolineare che non ci sono scuse per giustificare la violenza di genere. Occorrono azioni concrete».
L’ergastolo a Impagnatiello
Nella Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne è arrivata anche, a Milano, la condanna all’ergastolo, in primo grado, per Alessandro Impagnatiello, l’ex barista che ha prima tentato di avvelenare e poi ucciso con 37 coltellate la compagna Giulia Tramontano, al settimo mese di gravidanza. «Non abbiamo mai parlato di vendetta, non esiste vendetta. Abbiamo perso una figlia, un nipote, abbiamo perso la nostra vita – ha detto Loredana Femiano, mamma di Giulia Tramontano -. Io non sono più una mamma, mio marito non è più un papà, i nostri figli saranno segnati a vita da questo dolore».
L’ex barista è stato condannato anche a un risarcimento di 700 mila euro nei confronti della famiglia Tramontano (qui il video della lettura della sentenza).
E quello chiesto per Turetta
«Signori della Corte, so che sarà una vostra remora la giovane età ma l’imputato aveva tutte le possibilità e gli strumenti culturali per scegliere, non è tra chi non ha avuto una chance o ha conosciuto la sopraffazione… Riconosciute le aggravanti contestate chiedo pertanto che venga condannato alla pena dell’ergastolo». Unica concessione: niente all’isolamento diurno: «E fra 26 anni potrà accedere alla liberazione anticipata». Così il pm Andrea Petroni ha concluso la sua requisitoria al processo di Venezia contro Filippo Turetta per l’uccisione di Giulia Cecchettin.
L’accusa parla di delitto premeditato e non solo preordinato, ipotesi quest’ultima che sarà probabilmente sostenuta oggi dalla difesa di Turetta per tentare di evitargli l’ergastolo. La differenza è l’esistenza o meno del radicamento costante del proposito di uccidere.
In aula ieri era presente Turetta, ma non il papà di Giulia, Gino Cecchettin, a Roma per un’iniziativa in memoria della figlia nell’Aula dei gruppi parlamentari della Camera, che l’ha profondamente commosso.
Beppe Grillo, co-fondatore del Movimento 5 Stelle, ha scelto. Combatterà su ogni terreno legale e politico la sua battaglia con i contiani. E ha già fatto la prima mossa: ha comunicato formalmente al M5S la sua volontà, da garante, di far ripetere le votazioni (in primis quelle che mettono in discussione il suo ruolo). L’obiettivo è sfidare di nuovo Conte sul quorum. «Ma stavolta – spiega Emanuele Buzzi – con un’arma in più: è molto probabile che Grillo faccia un appello all’astensione, personalizzando il voto. Il ragionamento che sta dietro la mossa del garante lo spiega un movimentista: “Se i sì alla cacciata sono meno di 35 mila, devono trovare altri 10 mila votanti”».
Giuseppe Conte, con un post sui social, ha commentato così la richiesta di ripetere il voto: «Beppe Grillo ha appena avviato un estremo tentativo di sabotaggio: ha chiesto di rivotare, invocando una clausola feudale che si trascinava dal vecchio statuto. Insomma, è passato dalla democrazia diretta al “qui comando io” e se anche la maggioranza vota contro di me non conta niente». E aggiunge: «Come già nei precedenti tentativi di sabotaggio ci sta dicendo che non conta più la regola democratica “uno vale uno”, perché c’è uno che vale più di tutti gli altri messi assieme». Poi conclude: «Dateci qualche giorno, e torneremo a votare sulla rete i quesiti sullo statuto impugnati da Grillo» (probabilmente a cavallo del ponte dell’Immacolata).
Intervistato da Monica Guerzoni, Conte sostiene che, più che un duello, si tratta di un attacco a senso unico: «Mi sorprende che, di fronte al più radicale esperimento di democrazia partecipativa e deliberativa, i giornali offrano una lettura così personalizzata. Non c’è mai stato lo scontro Conte-Grillo perché io non ho mai raccolto le sue provocazioni. Semmai lo scontro è quello di Grillo contro la sua comunità. Ci sono stati ripetuti tentativi di Grillo di impedire alla comunità di esprimersi e ancora adesso, di fronte a un risultato così univoco che la comunità ha deciso sin dalla formulazione del quesito, lui sta contrastando la libera e democratica volontà espressa dalla nostra comunità».
Alla domanda se tema scissioni da parte di Di Battista, Toninelli e Raggi, Conte risponde: «Abbiamo una comunità matura e unita, desiderosa di partecipare e contare, non vedo scissioni all’orizzonte».
Giuseppe Conte e Beppe Grillo (foto Imagoeconomica)
Trump archiviato per il 6 Gennaio
Il procuratore speciale Jack Smith ha annunciato che lascerà cadere il procedimento contro Donald Trump per le interferenze elettorali culminate nell’assalto dei suoi sostenitori al Campidoglio, il 6 gennaio 2021, chiedendo l’archiviazione del caso. Il dipartimento di Giustizia considera incostituzionale perseguire un presidente in carica e Smith è arrivato alla conclusione che sarebbe la stessa cosa farlo contro un presidente eletto. Nell’atto di sei pagine il procuratore speciale ribadisce che ciò nulla toglie alla «gravità delle accuse, alla forza delle prove e ai meriti del caso, che il governo appoggia pienamente». Ovviamente è sempre possibile che venga riaperto quando Trump non sarà più presidente, ma al momento pare un’ipotesi remota.
Immediata la reazione del portavoce di Trump, Steven Cheung: «Oggi la decisione del dipartimento di Giustizia pone fine ai casi federali anticostituzionali contro il presidente Trump ed è una grande vittoria per lo Stato di diritto. Il popolo americano e il presidente Trump vogliono la fine immediata della strumentalizzazione politica del sistema giudiziario e non vediamo l’ora di unire il nostro Paese». «Se Trump avesse perso le elezioni, sarebbe potuto finire in carcere per tutta la vita», ha aggiunto il futuro vicepresidente J.D. Vance.
«La decisione di Smith – scrive la corrispondente Viviana Mazza – non è una sorpresa ma è un passaggio storico. Il suo cammino intrecciato alla campagna elettorale ha incontrato un ostacolo dietro l’altro, con gli avvocati di Trump che sono riusciti a prendere tempo e con la Corte suprema che ha ampliato l’immunità offerta agli ex presidenti per gli atti condotti in carica, ora Smith non aveva più scelta: non poteva portare avanti questo processo mai iniziato e Trump aveva annunciato che, una volta in carica, lo avrebbe licenziato “in due minuti”».
Soldati Ue in Ucraina?
Secondo il quotidiano francese Le Monde, negli ultimi giorni sono riprese in Europa, soprattutto tra Francia e Regno Unito, le discussioni per l’invio di soldati in Ucraina. L’eventualità è stata evocata per la prima volta da Macron nel febbraio scorso in un vertice europeo a Parigi, e in quell’occasione l’idea venne accolta con grande freddezza in particolare dalla Germania. Ma la linea della Francia è sempre rimasta la stessa: «Non escludere l’invio di soldati occidentali in Ucraina», «non fissare linee rosse». «L’ipotesi torna ora di attualità – scrivono Lorenzo Cremonesi e Stefano Montefiori – dietro la pressione di vari fattori: l’avanzata delle truppe russe nel Donbass, il prossimo insediamento di Trump alla Casa Bianca con la sua promessa di “risolvere la guerra in Ucraina in 24 ore” (forse accettando le condizioni di Putin), il via libera americano all’uso da parte dell’Ucraina di armi a lungo raggio per colpire obiettivi militari su territorio russo. L’uso di queste armi a lungo raggio da parte dell’Ucraina presuppone la presenza sul suo territorio di un appoggio occidentale».
Il governo britannico nega però che si stia pensando di mandare truppe inglesi sul suolo ucraino. E anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani ribadisce che la linea dell’Italia è di proseguire con gli aiuti economici e militari a Kiev, ma senza invio di truppe.
Il voto presidenziale in Romania
A complicare il quadro, per Kiev, è anche l’esito del primo turno delle presidenziali in Romania. Primo è infatti risultato, con il 22,94% dei voti, il nazionalista filorusso Calin Georgescu, 62 anni, che ha fatto dello stop degli aiuti all’Ucraina e della chiusura alla Nato i cavalli di battaglia di una campagna elettorale condotta soprattutto su TikTok, come racconta Alessandra Muglia.
A sfidarlo, nel ballottaggio dell’8 dicembre non sarà – altra sorpresa – il premier socialdemocratico Marcel Coliacu, dato per favorito alla vigilia, ma Elena Lasconi, giornalista prestata alla politica, filo europeista, arrivata al 19,18%.
In attesa del secondo turno delle Presidenziali, domenica in Romania si voterà per rinnovare il Parlamento. E si prevede un’altra avanzata dei partiti «anti sistema».
La possibile tregua in Libano
La tregua in Libano stavolta sembra davvero a portata di mano. Ma, scrive da Gerusalemme il corrispondente Davide Frattini «da convincere c’è prima Itamar Ben-Gvir che sui cessate il fuoco (in Libano o a Gaza) non dà tregua al premier Benjamin Netanyahu. Così il ministro oltranzista e rappresentante dei coloni fino all’ultimo ripete che fermare lo scontro “è un grosso errore, l’occasione mancata di sradicare Hezbollah”».
Se il governo israeliano deciderà oggi di approvare l’intesa per lo stop ai combattimenti, Netanyahu dovrà persuadere gli abitanti del Nord del Paese a ritornare nelle case verso il confine con il Libano: in 60 mila se ne sono andati 14 mesi fa, quando Hezbollah ha deciso di fiancheggiare Hamas dopo i massacri perpetrati dai terroristi palestinesi nel Sud di Israele il 7 ottobre dell’anno scorso.
«Fonti nella coalizione – scrive ancora Frattini – spiegano che non saranno obbligati a rientrare per due mesi: l’accordo delineato dagli americani assieme ai francesi prevede una prima fase di 60 giorni in cui le truppe israeliane lasciano il territorio e i paramilitari sciiti si ritirano a nord del fiume Litani, che dista 14 chilometri dal confine. In queste aree deve dispiegarsi l’esercito libanese, con il supporto della missione internazionale Unifil: tutto già previsto dalla risoluzione 1701 votata dalle Nazioni Unite alla fine dei 34 giorni di guerra nell’estate del 2006. Non ha funzionato. Così il meccanismo verrebbe rafforzato dalla presenza degli americani e dei francesi». L’annuncio del patto dovrebbe essere dato proprio dai presidenti Joe Biden ed Emmanuel Macron. (Qui l’intervista di Marta Serafini al ministro degli Esteri libanese Abdallah Bou Habib)
Le altre notizie
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Sciopero dimezzato per bus, metrò, aerei e mezzi marittimi: venerdì, giornata dello sciopero generale proclamato da Cgil e Uil e altre sigle sindacali minori, potranno fermarsi solo 4 ore, non più 8 come annunciato. Ieri la Commissione di garanzia degli scioperi ha deliberato la riduzione delle ore per il settore dei trasporti per «fondato pericolo di pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati».
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Nonostante il vertice di domenica sera a casa della premier Giorgia Meloni, è scontro nella maggioranza sul canone Rai mentre sulle modifiche alla manovra il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per ora non va oltre una prudente apertura sugli emendamenti per rafforzare la previdenza integrativa. La Lega vuole andare avanti sulla richiesta di confermare il taglio del canone Rai da 90 a 70 euro applicato nel 2024 (cosa che il disegno di legge di Bilancio per il 2025 invece non fa). Ma il relatore di maggioranza, Dario Damiani di Forza Italia, ha chiesto il ritiro dello stesso, appellandosi alle conclusioni del vertice di domenica sera nell’abitazione della premier: «Sul canone Rai è emerso chiaramente che è un tema divisivo ed è stato chiesto che i temi divisivi vengano accantonati». Per evitare il peggio l’ufficio di presidenza della commissione ha quindi deciso di far slittare a questa mattina le votazioni sugli emendamenti che dovevano cominciare ieri sera.
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«Una piccola maggioranza del gruppo dei verdi sosterrà la Commissione europea questo mercoledì» (resta il no degli italiani). Lo ha dichiarato ieri sera il co-presidente Bas Eickhout al termine della riunione di gruppo sulla linea da tenere domani in plenaria. È un’altra vittoria politica di Ursula von der Leyen: la presidente ha ottenuto che la stessa maggioranza che l’ha sostenuta a luglio — popolari, socialisti, liberali più verdi — voterà a favore del suo Collegio domani, nonostante la crisi che si è aperta il 12 novembre scorso tra Ppe e S&D sui vicepresidenti esecutivi Ribera e Fitto. Von der Leyen avrà anche i 24 voti di Fratelli d’Italia, che in questo modo ringraziano la politica tedesca per avere riconosciuto a Fitto la vicepresidenza esecutiva (a luglio avevano votato contro).
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La Spd tedesca ha deciso all’unanimità di ricandidare alla cancelleria Olaf Scholz. Ma i numeri, per i socialdemocratici: i sondaggi li danno tra il 14 e il 16%, al minimo dal dopoguerra. (Ne ha scritto anche Elena Tebano nella nostra Rassegna)
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Nel 2018 la federazione l’aveva squalificato per 10 mesi per aver costretto i compagni di squadra a guardare suoi video hard. L’accusa era stata di bullismo. Ma i guai, per il poliziotto Antonino Pizzolato, bronzo nel sollevamento pesi alle Olimpiadi di Tokyo e Parigi, non sembrano essere finiti. Il campione 28enne, originario di Castelvetrano (Trapani), è ora sotto processo insieme a tre amici per stupro di gruppo. Ad accusarlo una finlandese di 29 anni, che ieri è tornata in Sicilia per raccontare in aula la notte degli abusi, nell’estate del 2022.
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Le sanzioni americane che dovevano sotterrare la cinese Huawei hanno avuto l’effetto opposto. Dopo aver chiuso il 2023 con utili raddoppiati, Huawei vuole affrancarsi del tutto dai software americani, lanciando il primo smartphone che funziona grazie a un sistema operativo sviluppato completamente in casa. Il telefono Mate 70, che debutta oggi, gira con HarmonyOS Next, che Huawei vuole affermare sul mercato come terza piattaforma mobile accanto a iOS di Apple e Android di Google. «Un passo deciso verso il “decoupling” tecnologico, il disaccoppiamento tra i mondi digitali della Cina e dell’Occidente», scrive Paolo Ottolina.
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Torna la Champions League, con tre italiane in campo. L’
Inter ospita alle 21 il Lipsia; il Milan affronta alle 18.45 lo Slovan a Bratislava; l’Atalanta, sempre alle 21, sarà a Berna contro lo Young Boys.
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«Emanuela Maccarani, c.t. delle farfalle della ritmica, e i vertici politici della ginnastica italiana devono essere processati dal Coni». L’hanno chiesto ieri alla Procura Generale le ex farfalle Anna Basta e Nina Corradini, sostenute dall’Associazione Change The Game. Ammonita in sede sportiva per «eccesso di affetto», prosciolta dalle accuse di maltrattamenti dalla procura penale di Monza che pure ha certificato «insulti, pesature reiterate, espressioni offensive riferite alle caratteristiche fisiche e umiliazioni», Maccarani, sostengono Basta e Corradini, avrebbe orientato a suo piacimento il processo sportivo con il suo (teorico) accusatore, Michele Rossetti, manipolando il presidente federale Gherardo Tecchi.
Da leggere (e ascoltare)
L’intervista di Federico Fubini al ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar. Che, in Italia per la ministeriale del G7 dice: «Questa parte del mondo deve capire che ogni parte del mondo ha degli interessi. Le priorità dell’Europa divergono da quelle di altri. Se tutto è così profondamente una questione di principio, allora l’Europa avrebbe dovuto tagliare tutti i suoi affari con la Russia. Ma non lo fa. È stata molto selettiva e ha tenuto un ritmo molto, molto cauto nell’interrompere i rapporti. Dunque sostenere che l’Europa si preoccupa della sua gente, ma gli altri non si devono preoccupare dell’impatto per loro, non è ragionevole. Per favore, cogliete un punto: l’Europa importava energia dalla Russia, poi ha iniziato a rivolgersi ad altri produttori e questo ha messo il mercato sotto pressione. A quel punto noi cosa dovremmo fare, pagare di più per farvi felici? Nella vita si rispettano anche gli interessi altrui, non si può avere tutto come si vuole».
L’articolo di Aldo Cazzullo su Elon Musk e il sogno americano di diventare una «nuova Roma» (no, non quella di oggi: l’antica).
L‘analisi di Giuseppe Sarcina sul «doppiopesismo» nelle reazioni ai mandati di arresto per Benjamin Netanyahu e Vladimir Putin.
L’intervista di Elvira Serra a Tina Gesmundo, la preside del liceo «Salvemini» di Bari che aveva richiamato i genitori al loro compito di educatori. «Proteggono i figli e non ti guardano in faccia» accusa.
L’intervista di Giuseppe Guastella a Sophie Codegoni, l’influencer di 23 anni che ha accusato di stalking l’ex compagno Alessandro Basciano, dj di 35 anni, il quale per questo è stato arrestato e scarcerato dopo appena 48 ore in quanto, secondo il giudice, sono caduti i gravi indizi a suo carico.
Il corsivo di Luigi Ippolito sul rischio harakiri per i laburisti inglesi, causa troppe tasse.
L’articolo di Gaia Piccardi sul «modello Sinner».
L’inserto Buone Notizie, che ha in copertina padre Kizito (al secolo Renato Sesana, classe 1943, da mezzo secolo in missione per i ragazzi dell’Africa) e all’interno un articolo sul Rapporto Caritas/Migrantes che conferma che il numero di stranieri regolari in Italia è stabile da una decina d’anni: sono poco più di 5 milioni. «Non sono numeri che possono far parlare di un’invasione. Ma sui percorsi di integrazione c’è molto da fare», dice Simone Varisco, curatore del Rapporto.
Nel podcast «Giorno per giorno», Giovanni Viafora parla dei processi a Alessandro Impagnatiello e Filippo Turetta. Nicola Saldutti spiega le ragioni dell’operazione di Unicredit su Bpm. Mara Gergolet rivela i retroscena dell’intervista alla ex cancelliera Angela Merkel, di cui oggi esce l’autobiografia.
Il Caffè di Gramellini
Ecce Toni
Lo abbiamo sfottuto in tanti, e tante volte, vedendovi l’incarnazione più pura del grillismo: l’inadeguatezza al ruolo, mescolata all’ingenuità disarmante, garantiva un sicuro effetto comico. Perciò oggi siamo qui, con il capo cosparso di chewingum (come avrebbe potuto dire lui nei suoi momenti migliori), per rendere omaggio all’ex ministro Danilo Toninelli. Unico, tra i beneficiati della vecchia guardia, ad alzare la voce in difesa di Beppe Grillo, il Trotskij dei Cinquestelle (Lenin era Casaleggio) estromesso dallo Stalin di Volturara Appula, l’intelligente e spietato Giuseppe Conte, passato in un lustro da apprendista premier a superprofessionista della politica. Il resistente Toninelli ha accusato il leader in carica di avere condizionato l’ultima assemblea per indirizzarne l’esito, come peraltro avveniva anche ai tempi in cui comandava Grillo e come avviene da sempre in tutti i partiti del mondo. La differenza è che nessuno lo dice mai, mentre stavolta Toninelli lo ha detto. Non solo, con l’autorevolezza del reduce ha avvalorato la tesi secondo cui il nuovo movimento degrillizzato sia già diventato un’altra cosa: peggiore o migliore non importa, ma diversa.
Tra un Conte che maneggia con perizia le regole eterne del potere — metodo, pazienza, implacabilità — e un Grillo che le disprezza in nome dell’istinto, della creatività e della pigrizia, Toninelli ha fatto la sua scelta. Essendo quella più difficile, gli fa ancora più onore.
Grazie per aver letto Prima Ora e buon martedì
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