Esacerbare
e-sa-cer-bà-re (io e-sa-cèr-bo)
Significato Inasprire, aggravare, esasperare
Etimologia voce dotta recuperata dal latino exacerbare, derivato di acerbare, a sua volta da acerbus ‘acerbo, penetrante, duro’, col prefisso rafforzativo ex-.
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«La risposta non è stata delle più concilianti, anzi ha esacerbato l’irritazione generale.»
La categoria è fondamentale: parole raffinate e forti per significare un fenomeno normale e quotidiano della nostra realtà. Questa in particolare ha una carica poetica meravigliosa che di solito ci sfugge, ma prima di osservarla perbene notiamo una cosa: in effetti, tante parole che rappresentano questo peculiare genere di peggioramento sono parole raffinate e forti.
L’acuire, l’incrudire, l’inasprire, l’esasperare, l’intensificare fanno cose analoghe. A partire da elementi e riferimenti soliti e usati — l’acuto, il crudo, l’aspro, l’intenso — possono parlare di come qualcosa (nella fattispecie una situazione, un sentimento con caratteri poco piacevoli) si faccia più tagliente, più penetrante, più doloroso. In sé non hanno niente di complicato, niente di ostico, niente di intrinsecamente aulico. La loro finezza si deve soprattutto al fatto che abitano discorsi elevati con una specifica sfumatura.
Perché beninteso, contemplare il fatto che qualcosa vada peggio non rende un discorso alato, anzi: è un topos da bar di importanza primaria. Le cose che finiscono alla malora, si guastano, cascano dalla padella nella brace, sono voluttuoso oggetto di discussione — ma queste parole del genere dell’esacerbare hanno un fuoco particolare.
Decidere di esprimere il modo in cui qualcosa si fa più (dicevamo) tagliente, penetrante, doloroso, significa esprimere una misurazione specifica su un peculiare tratto di peggioramento. La messa a fuoco non galleggia su meglio-peggio, ma si cala in una concatenazione di cause ed effetti, su alcuni elementi agenti che si fanno più incisivi.
L’esacerbare si aggancia a un riferimento splendido ed evidente: l’acerbo.
Ora, noi l’acerbo lo consideriamo nel suo significato concreto in riferimento soprattutto a frutti non giunti a maturazione — che è il suo nucleo di significato già in latino. Al massimo lo proseguiamo in ambito figurato proprio come contrario di ‘maturo’, quindi una professionalità acerba, un orecchio acerbo, un gusto acerbo devono ancora maturare esperienza. Ma il latino acerbus conservava un rapporto più stretto con la sua suggestione originaria.
È un aggettivo di quella grande pianta indoeuropea che scaturisce da una radice che si ricostruisce come ak-, che indica l’acuto e l’aspro e il pungente, e che prende le vie più disparate — dall’acropoli all’aceto, dall’acme all’ago, dall’aguzzo all’acerbo.
Ebbene, l’acerbus latino arriva al suo centro organolettico a partire da questi significati originari, e li sviluppa ulteriormente leggendosi anche come duro, scortese, rigido — perfino amaro, doloroso. Di qui l’exacerbare, derivato di acerbare rafforzato dal prefisso ex-.
L’acerbo che contempla è tagliente, crudele, penoso — un acerbo che noi nel nostro uso corrente, tutto imperniato sul precoce, non concepiamo.
Ma la forza del riferimento sensoriale ha un corpo straordinario. Confrontiamolo con l’inasprire: quella dell’aspro è sì una sensazione, ma generica e astratta; quella adombrata dall’acerbo è molto più concreta, icastica, dà una rappresentazione di una situazione sensoriale più piena e forse vera. Ci mette subito in bocca qualcosa di troppo duro e troppo aspro, che ci fa lacrimare, che ci stringe la bocca. Tant’è che l’esacerbare sa anche conservarsi molto fisico.
Così le parole che esacerbano una situazione già conflittuale, il movimento sbagliato che esacerba un dolore, il tempo passato che esacerba l’indifferenza e la distanza, ci offrono un concetto accessibile sì, certo familiare, ma anche raffinato e sottile nel modo in cui è osservato, ed espressivamente poetico nel modo in cui è reso. Che risorsa magnifica.