*La sindrome dello scorpione* di Vincenzo D’Anna
Vi fu un tempo in cui la scuola italiana aveva la missione di istruire e di educare chi la frequentava. La didattica, non ancora soppiantata delle teorie pedagogiche che oggi impongono (come obiettivo primario) la realizzazione dell’accoglienza e dell’uguaglianza (senza alcuna comparazione dei meriti), la faceva da padrona. Oggi, invece, il bene supremo è diventato quello di realizzare la parificazione degli studenti e, non potendosi farlo in alto, lo si realizza in basso sulla scala parametrica del sapere. Siamo al livellamento sociale, tanto caro alla sinistra, ottenuto con altri mezzi: meglio asini purché nessuno si senta diverso! In questa opera livellatrice è diventato indispensabile abbassare le cattedre invece di alzare il livello dei banchi. Si opera per contenere, entro un minimo comune denominatore, i saperi dei discenti eliminando il merito come forma di disparità e di competizione, parola, quest’ultima, aborrita dai “progressisti” nostrani. Una volta, invece, ai ragazzi si chiedeva di studiare ed i docenti non avevano niente a che fare con gli assistenti sociali, tantomeno questi avevano perso autorevolezza e rispetto da parte dei genitori e degli stessi alunni. Quel tipo di scuola consentiva ai più capaci ed agli studiosi – di qualsivoglia estrazione o condizione sociale – di vedersi premiati con i voti ed invogliati, attraverso la cultura, ad elevarsi socialmente, non avendo peraltro diversa opportunità per distinguersi ed emergere. Un numero sottoforma di voto, era più eloquente e comprensibile dei giudizi astrusi e parolai pre-confezionati con i quali, oggi, si valutano i ragazzi. Era chiaro a tutti il concetto che l’unico metro di giudizio fosse il sapere e l’unico modo per “sfangarla” quello di studiare!! Sissignore, studiare anche le cosiddette lingue morte come il Latino oppure il Greco, che plasmavano la mente al ragionamento logico deduttivo, alle regole grammaticali ed alla conoscenza degli esempi che ci venivano dal mondo antico. Oggi invece si insegna la storia del mondo, quella politica ed economica, in chiave anti capitalista, terzomondista ed ecologista. Ne emerge un quadro fazioso e sconcertante, quello di una cultura contraria alle più elementari libertà economiche, che viene inoculata nei giovani senza alcuno spirito critico. Insomma: si fabbricano i protestatari del terzo millennio che, a differenza di quelli del ’68, hanno maglioni in cachemire e jeans griffati, sono ignoranti a tal punto da poter essere manipolati con semplici parole d’ordine. Non a casa i moti di ribellione, le proteste ed i cortei studenteschi sorgono allorquando il segno politico del governo è di quelli in antitesi politica con la sub cultura che viene loro propinata. Eppure per quelli che vivono in famiglie meno abbienti o disagiate lo scadimento della scuola (e di quello che essa insegna) è doppiamente penalizzante perché, non avendo altre possibilità, costoro sono costretti ad accontentarsi di quel poco che gli passa il convento, nel mentre altri, potendo pagare, trovano altrove istituti più severi ed adeguati nonché un sostegno personalizzato. E’ a questo generale contesto di precarietà culturale, di continuo affidamento all’azione sostitutiva della tecnologia che, alla fine, si ricorre per sopperire alle lacune dell’istruzione: un quid che genera il collasso dell’intera società, in ogni suo ambito di attività!! Non v’è nodo nella rete sociale che non si sia adeguato al deperimento del portato cognitivo degli individui, alla loro capacità di elaborare il pensiero logico e di costruzione di una qualsivoglia avveduta opinione. La società sbilenca e “liquida” nasce da tutto questo. La politica, come specchio della società che la esprime (attraverso la sovranità popolare), non può esserne esentata né può sfuggire al deterioramento per mano dei soggetti che la praticano. Il confronto su adeguate basi di conoscenza del problema da risolvere si traduce, necessariamente, in contrapposizioni pregiudiziali, esaurendosi nella rudimentale logica binaria “amico-nemico” che impone di contrastare tutto quel che l’avversario di turno appoggia e di appoggiare, all’opposto, tutto ciò che lo stesso contrasta. Basta ascoltare i notiziari quotidiani e le dichiarazioni dei politici per accorgersi che manca sempre e comunque la ricerca di un punto di sintesi anche laddove il problema interessa trasversalmente tutti gli strati sociali. Se quel che conta è contraddire quelli dell’altra sponda allora a poco servono gli approfondimenti sul tema in discussione. Anche sui grandi interrogativi sociali e le emergenze da affrontare! Sì, anche in questo caso la logica binaria non deflette e quando tutto sembra perso, ci si aggrappa a valori trascendenti, come quelli di tipo moralistico oppure agli inciampi giudiziari. Un esempio viene dal dramma che di questi tempi procura il maggior allarme sociale: quello del femminicidio, dell’immarcescibile mentalità che vede nella donna un essere da possedere, soggiogare e da sottoporre alla violenta predominanza del genere maschile. L’ignoranza incentiva la violenza ed eccita gli istinti primordiali della sopraffazione, perché, in fondo, la tolleranza è un dato culturale. Anche in questo caso, però, gli oppositori all’attuale esecutivo, immemori della propria recente responsabilità discendente dal lungo esercizio di governo della nazione, strumentalizzano la vicenda per attaccare ed addossare responsabilità alla maggioranza in carica. Scopriamo allora che il mantra ideologico si chiama “patriarcato” in quanto requisito contiguo e caratteristico dell’uomo forte, connaturato, per antonomasia, ai militanti ed agli elettori di destra. Il paradigma diventa semplice: un governo di tal fatta non è adeguato, ontologicamente, ad arginare il fenomeno quanto a soffocare la protesta!! Insomma: si assume la logica del discredito, ossia, pur condividendo la gravità del problema, sulla disparità di genere, non si tralascia nulla per metterla sul piano ideologico e del contrasto all’esecutivo di turno. Per dirla con altre parole: è la sindrome dello scorpione che, pur essendo stato tratto in salvo dalla rana, la punge mortalmente, perché quella è la sua indole indefettibile, la sua naturale vocazione.
*già parlamentare