la scia di delitti
Ripartono le indagini sul mostro di Firenze. Le tre novità che riaprono lo storico caso
Dossier difensivo – La richiesta di revisione sulla base di una nuova consulenza balistica, di una entomologica e di altre tracce di Dna
Di Marco Grasso
29 Novembre 2024
Una svolta clamorosa potrebbe portare alla piena riapertura di uno dei casi più famosi e misteriosi della cronaca italiana del Dopoguerra: la scia di delitti del Mostro di Firenze. L’input fondamentale arriva dalla richiesta di revisione processuale che sarà depositata fra dicembre e gennaio dagli avvocati da Valter Biscotti e Antonio Mazzeo, legali del nipote di Mario Vanni, uno dei “compagni di merende” condannato a vari ergastoli per quattro dei delitti. Un dossier difensivo ritenuto molto solido anche in ambienti investigativi e che poggia su due elementi cardine. Il primo: una consulenza balistica recente della Procura di Firenze, la pallottola trovata nell’orto di Pacciani fu “artefatta” e la pallottola era in ogni caso incompatibile con l’arma dei delitti. Il secondo: una consulenza entomologica della difesa, basata su analisi non disponibili prima della fine degli anni Novanta, retrodata uno dei principali duplici omicidi, il cosiddetto delitto degli Scopeti del 1985, minando in modo forse irreversibile la credibilità del principale testimone dell’accusa, Giancarlo Lotti, l’amico di Vanni e Pacciani che insieme a loro accusò anche se stesso.
In parallelo, la Procura di Firenze ha avviato da qualche tempo una serie di attività sottotraccia, affidate a due nuove pm, Beatrice Giunti e Ornella Galeotti, una terza generazione di magistrati chiamati a occuparsi del caso. Il punto di partenza è una razionalizzazione complessiva del materiale probatorio, disperso tra vari fascicoli, uffici e archivi di Procura e tribunale, e la digitalizzazione di oltre 80 faldoni rimasti cartacei e quindi di difficile consultazione. Quello di arrivo potrebbe essere il tentativo di recuperare tracce di Dna con tecniche un tempo non disponibili, per poterle confrontare con gli strumenti scientifici più moderni. Non è escluso che queste due strade a un certo punto si riuniscano e conducano agli stessi dubbi: forse i compagni di merende erano dei mostri, ma non è detto che fossero il Mostro.
Una scia di morti lunga quasi vent’anni
Otto duplici omicidi. Il primo nel 1968 ha già un colpevole, legato alla malavita sarda, e un movente (passionale) diverso dagli altri, ma sarebbe unito alla serie per la stessa arma del delitto. L’ultimo è del 1985. Una sola verità giudiziaria: a uccidere le coppiette non sarebbe stato, come si era pensato fino a quel momento, un serial killer sofisticato, intelligente e solitario, dotato di una manualità da medico (alle vittime asportava il pube e i seni, in un caso spediti ai magistrati). La Sam, la squadra antimostro coordinata Ruggero Perugini, arriva ai “compagni di merende”. La figura principale è Mario Pacciani, contadino di Mercatale. Insospettisce il suo profilo e la sua detenzione in corrispondenza della fine dei delitti: è in carcere per aver violentato le due figlie. Picchiava la moglie. In gioventù si era fatto anni di galera per aver ammazzato l’amante della fidanzata, e aver costretto lei a un rapporto sessuale a fianco al cadavere di lui. Pacciani ammette di essere un guardone, ma nega di essere un assassino. Viene condannato in primo grado, assolto in secondo. La Cassazione annulla tutto, ma quando il processo riparte, nel 1998, lui viene trovato morto. Un secondo processo si concentra sui suoi amici, Mario Vanni e Giancarlo Lotti (deceduti rispettivamente nel 2009 e nel 2002), un postino alcolista e un disoccupato oligofrenico, tutti clienti di prostitute uniti da perversioni e ossessioni sessuali. Insieme facevano “le merende”, frase di Vanni che finisce per definirli tutti. Li chiama in causa un altro compare, Fernando Pucci. A quel punto Lotti, accusa se stesso insieme a Vanni e Pacciani. Il primo prende vari ergastoli per quattro dei delitti, il secondo trent’anni.
La pallottola artefatta e l’analisi entomologica
Seguono altre piste e altre indagini, tutte archiviate. L’ultima, condotta a Firenze dal procuratore aggiunto Luca Turco, non arriva a trovare nuovi colpevoli, ma tra le righe semina dubbi importanti su quelli già trovati. Una perizia del consulente balistico Paride Minervini demolisce una delle principali prove contro Pacciani, il bossolo che il superpoliziotto Perugini aveva trovato nel suo orto: “Il risultato sperimentale ha confermato che l’impronta dell’unghia estrattrice del bossolo è stata artefatta”. In ogni caso, secondo i Ris, non era compatibile con l’arma del Mostro. Il gip Angela Fantechi sottolinea: “La sentenza (sui compagni di merende, ndr) ha lasciato aperti degli interrogativi (…) fra cui l’impossibilità di ricollegare ai delitti l’episodio del 1968 (dove notoriamente è stata usata la stessa arma) per il quale è stato condannato Stefano Mele, marito di Barbara Locci, sia per i dubbi sull’attendibilità di Lotti”.
Ed è proprio sull’attendibilità di Lotti che i legali della famiglia Vanni sono convinti di aver nuove prove sufficienti a chiedere una revisione del processo. Una strada stretta, ma non impossibile. Il delitto ricostruito nel modo più dettagliato da Lotti è l’ultimo, quello dei due francesi Jeanine Nadine Mauriot e Jean Kraveichvilj, avvenuto l’8 settembre del 1985 a San Casciano Val di Pesa, in località Scopeti. I due ragazzi sono in tenda. Lotti racconta che Vanni, un uomo alto un metro e ottanta, squarciò la tenda, alta un metro e quaranta, con un coltello ed entrò dentro. Una dinamica impossibile secondo i difensori e il loro consulente Francesco Cappelletti. Un mese fa la Procura di Firenze ha consentito nuovi rilievi su quella tenda. C’è poi un corposo studio di due entomologi forensi Fabiola Giusti e Stefano Vanin, tra i massimi luminari del campo. Lotti racconta che quel delitto sarebbe maturato di domenica, ma studiando le larve che si vedono dalle fotografie, i due esperti retrodatano la morte della coppia di 36 o addirittura 48 ore. Crollerebbe tutto. Pacciani il venerdì sarebbe pure coperto da un alibi inattaccabile. Quella versione verrebbe accostata dalle incongruenze di altre testimonianze. E la ciliegina sulla torta l’ha già offerta la Procura di Firenze: la famosa pallottola di Pacciani sarebbe una prova truccata, o nella migliore delle ipotesi (versione del Ris), non compatibile con l’arma del Mostro.
Nuove analisi sul dna e digitalizzazione degli atti
Dopo tanti anni di piste finite nel nulla, indagini archiviate, e lotte tra magistrati, l’impressione è che tiri un’aria nuova. Va ricordato che la tesi dei compagni di merende non trovò consenso unanime, e fin da subito divise tra colpevolisti e innocentisti gli stessi magistrati. Fu la Procura generale, nel processo d’appello, a chiedere l’assoluzione di Pacciani. Forse era un mostro, ma non quello che stavano cercando, e in ogni caso le prove contro di lui erano traballanti. Sono passati tanti anni, e questo non deve indurre troppo ottimismo. Ma è anche vero che le tecniche sono cambiate. Riordinare i reperti, non è un esercizio di stile. Sparsi nelle centinaia di reperti, ci sono lettere anonime su cui potrebbero nascondersi il Dna dell’assassino, rilevato in anni in cui del sangue si rilevava ancora il gruppo sanguigno e non il Dna. Dal 2017 esiste una banca dati nazionale del Dna, che ha portato a risolvere molti cold case. Ancora in anni recenti, è saltato fuori un Dna sconosciuto dall’indumento di una vittima. Tracce che con le tecniche più moderne possono essere confrontate, per capire se almeno sono dei compagni di merende. Ma, ragiona un investigatore, in un caso così complicato, “anche capire se qualcuno non c’entra, potrebbe aiutare capire se c’è qualcuno che c’entra davvero”.
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