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Siria, raid russi sui ribelli |
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di Alessandro Trocino |
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La settimana comincia male, con un nuovo fronte di guerra, questa volta in Siria e con raid e scontri che hanno già provocato oltre 400 vittime. Poi, lo storico sciopero della Volkswagen in Germania, una nuova nomina contestata di Trump (il capo dell’Fbi) e le divisioni interne di governo e opposizione in Italia. Finale più leggero con i big di Sanremo (delusi i fan irriducibili di Al Bano, sorpresa per Brunori Sas).
Oggi è lunedì 2 dicembre e questa è la Prima Ora del Corriere della Sera.
Siria, attacco dei ribelli e controffensiva del regime
La Siria è nel caos, dopo l’offensiva dei ribelli jihadisti – gli ex qaedisti di Hayat Tahrir al Sham (HTS) – che hanno conquistato Aleppo, nel nord. Insieme a loro, molti piccoli gruppi, tra i quali alcune milizie filo-turche e jihadiste, gli uzbeki e i musulmani cinesi (uiguri) e militanti caucasici. Non è un’offensiva a sorpresa: il presidente siriano Bashar al-Assad, fino a pochi giorni fa controllava solo il 60 per cento del territorio. Ieri i combattenti filo-turchi hanno preso il controllo della città di Tal Rifaat e si sono concentrati su Hama. Ma è partito anche un primo contrattacco dell’esercito siriano. Assad ha chiesto aiuto ai suoi due principali alleati, Iran e Russia. L’altro ieri è volato a Mosca per parlare con Vladimir Putin e ieri è tornato a Damasco, dove ha ricevuto il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi.
L’offensiva dei ribelli avrebbe provocato già più di 400 vittime. Ieri il Collegio francescano Terra Sancta di Aleppo è stato colpito da un attacco russo che ha causato gravi danni. I ribelli combattono anche contro gli Hezbollah, considerati alleati di Assad.
- L’asse sciita Scrive Marta Serafini: «A preoccupare l’asse sciita sono le possibili ripercussioni della crisi siriana in Iraq. Un effetto domino iniziato in Libano che potrebbe arrivare a Teheran. Non a caso il presidente iraniano Masoud Pezeshkian parlando al premier iracheno Mohammed Shia al-Sudani si è detto pronto “a qualsiasi cooperazione” per sedare l’insurrezione in Siria».
- Il secondo fronte in Russia La Siria è alleata della Russia da oltre cinquant’anni ed è, scrive Marco Imarisio, «la piattaforma ideale per continuare la propria opera di penetrazione e persuasione nell’Africa settentrionale e in parte di quella subsahariana». Ma quasi tre anni di conflitto sul fronte orientale hanno drenato risorse e investimenti bellici in una delle zone più instabili del mondo. E senza potere militare, scrive Imarisio, «si indeboliscono anche tutte le altre sfere di influenza esercitate dal Cremlino in sintonia con la dittatura di Assad. Proprio per questo, il colpo di mano dei ribelli islamici ostili all’attuale regime è un colpo inferto anche alla Russia. Alle sue aspirazioni egemoniche e ai suoi interessi in quell’area».
- Chi è al-Jolani? Andrea Nicastro fa un ritratto del leader dei ribelli siriani, Abu Muhammad al-Jolani, che qualcuno dà già per morto sotto le bombe russe. E non ci rassicura: «Difficile immaginare un integralista islamico più duro. È uno che ha imparato il mestiere da assassini come al-Zarqawi, leader di al-Qaeda in Iraq, e da Abu Bakr al-Baghdadi, il califfo dello Stato Islamico. Un uomo che ha massacrato alleati, sterminato villaggi, torturato e ucciso centinaia di soldati lealisti. Il prototipo di chi, cresciuto nella violenza, la trasforma in odio e ancora più violenza. Come Yahya Sinwar, leader di Hamas, come migliaia di futuri terroristi che stanno maturando a Gaza». E ancora: «Vuole una società fondamentalista di nuovo conio dove le donne sono invisibili, gli uomini pronti al martirio e gli infedeli messi al muro. Come nell’Afghanistan talebano, il suo Islam è tetro e spietato». Eppure, la propaganda è piena di messaggi che dovrebbero rassicurare: rispettate i cristiani, non danneggiate i monumenti, non tagliate gli alberi. Ma si può credere alla svolta umanitaria di Abu Muhammad al-Jolani? Non si può, dice Nicastro.
- La saga del clan Assad Marta Serafini racconta invece la saga del clan Assad, al potere da 50 anni in Siria. Qui un riassunto, ma c’è molto altro: «Anni di massacri, torture, una guerra civile, un’alleanza con Mosca costata la vita a mezzo milione di persone morte nei raid chimici e non, accuse gravissime di crimini di guerra, processi aperti in Europa, accuse di corruzione. Ma anche una guerra contro Isis e un’alleanza non sempre facile con Teheran per sostenere Hezbollah in Libano. Sono questi gli anni della presidenza Bashar. Una tempesta perfetta, aggravata dalla crisi economica, una delle più gravi al mondo legata a doppio filo a quella libanese e alle sanzioni imposte dall’amministrazione statunitense, decisa a indebolire l’alleato di Mosca nella regione. Uno tsunami più che una tempesta, alla quale la famiglia Assad però è riuscita — fin qui — a sopravvivere».
- Come finirà? Scrive Serafini: «Quando i ribelli hanno preso Aleppo, Bashar Assad era al sicuro a Mosca. Poi è tornato a Damasco ma c’è chi già scommette che non ci resterà a lungo. A quanto ammonti la puntata, però, non è dato sapere».
Il nuovo direttore dell’Fbi, che lo detesta
Un’altra nomina più che controversa negli Stati Uniti, dopo le molte dei giorni scorsi. Stavolta è il turno a capo dell’Fbi di Cash Patel, avvocato di 44 anni, figlio di immigrati indiano. Nell’ultimo anno della presidenza Trump, aveva cercato di dimostrare la falsità della tesi di un appoggio della Russia di Putin alla candidatura del tycoon, e fu subito premiato. Ma poi, quando era stato proposto anche come vice capo della Cia o dell’Fbi, aveva subito la netta opposizione degli altri dirigenti. Ma il Trump 2 è molto più aggressivo e deciso di allora e dunque è arrivata la nomina di Patel. Perché sia controverso lo spiega Massimo Gaggi: «Per tutta la campagna elettorale ha promesso di andare al governo per eseguire le vendette del presidente contro i suoi oppositori politici e contro i giornalisti “che hanno aiutato Biden a truccare le elezioni del 2020”». L’altro motivo di critica è che Patel ha ripetuto più volte che l’Fbi è «uno strumento del deep state», che controlla l’agenda della politica mondiale. Il procuratore aveva chiesto di chiudere la sede centrale di Washington dell’intelligence, licenziare la dirigenza e mettere «sotto controllo» tutte le forze dell’ordine. Ora, l’Fbi sarà al suo servizio. A meno che il Senato decida di non confermare la nomina.
Trump, altre nomine in famiglia
Tra le altre nomine di Trump c’è quella ad ambasciatore a Parigi di Charles Kushner, padre del genero di Trump, condannato per corruzione ed evasione fiscale. Fu condannato a due anni per 18 capi di accusa, finì in carcere e fu graziato proprio da Trump. Altra nomina in famiglia: l’imprenditore libanese Massad Boulos, suocero della figlia di Trump Tiffany, ricoprirà il ruolo di consigliere senior per gli affari arabi e mediorientali.
Volodymyr Zelensky ha ricevuto ieri a Kiev il presidente del Consiglio europeo, António Costa, assieme all’Alta rappresentante per gli Affari esteri della Ue, Kaja Kallas, e la commissaria per l’Allargamento, Marta Kos. Una visita simbolica: si tratta del loro primo viaggio all’estero e coincide con l’inizio del loro nuovo mandato. Anche se Zelensky sa bene che l’Europa è importante, ma senza il sostegno degli Stati Uniti non ce la farà. Lorenzo Cremonesi fa il punto sugli aiuti europei: «Costa ha spiegato che entro la fine dell’anno la Ue avrà donato alle casse ucraine 4,2 miliardi di euro extra e a partire dal gennaio 2025 trasferirà mensilmente 1,5 miliardi, che rappresentano gli interessi dei capitali russi congelati nelle banche europee. Sono somme importanti per questo Paese esaurito da oltre 1.000 giorni di guerra. Si calcola che dall’inizio dell’invasione russa, l’Europa abbia donato circa 115 miliardi di euro, contro i meno di 90 americani. Intanto Putin aumenta le spese militari: per il 2025 dovranno superare i 145 miliardi di dollari, che rappresentano il 32,5 per cento del budget nazionale russo; nel 2024 hanno superato di poco il 28».
Zelensky, «gli assassini» e gli alleati
Zelensky è tornato a parlare di trattative e ha spiegato che l’Ucraina ha bisogno di garanzie di sicurezza da parte della Nato e di più armi per difendersi prima di qualsiasi negoziato con la Russia. Ha poi aggiunto che «solo quando avremo tutti questi elementi e saremo forti, dovremo fissare l’importantissimo ordine del giorno dell’incontro con gli assassini». Ha detto anche una cosa interessante sugli alleati: «Non chiederemo mai ai nostri alleati di inviare truppe in Ucraina. Certo, saremmo felici. Perché la Russia ora ha i nord coreani, l’Iran e altri alleati mentre noi siamo soli sul campo di battaglia. Ma se io chiedessi truppe, scarponi sul terreno, la metà dei nostri alleati interromperebbe il sostegno».
Wolkswagen, storico sciopero in Germania
Ig Metall, il sindacato dei metalmeccanici tedeschi, chiama i dipendenti della Volkswagen all’astensione dal lavoro da oggi nelle fabbriche per opporsi alle migliaia di tagli di posti di lavoro previsti. La decisione arriva in un momento delicatissimo per la politica tedesca con le elezioni alle porte a febbraio 2025. Il governo, uscito indebolito dalle ultime consultazioni federali, ha invitato più volte il gruppo Volkswagen a mantenere i posti di lavoro. Ma il modello tedesco basato sull’energia a basso costo del gas russo è uscito travolto dall’invasione russa.
Volkswagen sta valutando il licenziamento di 15 mila dipendenti, oltre il 2% dell’organico globale, e la chiusura di due o tre stabilimenti in Germania, che sarebbe una prima volta nella storia del gruppo fondato nel 1937. La ristrutturazione del marchio prevede un taglio dei costi di 4 miliardi di euro e comprenderebbe un taglio del 10% degli stipendi e il congelamento dei salari per gli anni 2025 e 2026.
Foti è pronto per succedere a Fitto
A destra si scontano le tensioni tra Forza Italia e Lega, che si contendono il secondo posto, simbolico, nei consensi. L’ultima occasione di litigio (dopo il canone Rai) è la sostituzione del ministro Raffaele Fitto, che si è dimesso per diventare vicepresidente esecutivo della Commissione europea e Commissario. Ruolo importante, visto che gestiva quattro deleghe e (Pnrr, Sud, Coesione e Affari Ue) e 200 miliardi dell’Europa. Forza Italia avanza pretese di redistribuzione di ruoli, visto il miglioramento nei sondaggi. Ma Giorgia Meloni è decisa a nominare un fedelissimo. Tra i papabili, il capogruppo Tommaso Foti, che Marco Galluzzo dà in pole position, e la sottosegretaria Wanda Ferro. Ieri, al congresso di Noi Moderati, che sono entrati nel Partito popolare europeo, Meloni ha minimizzato le tensioni: «Siamo diversi ma coesi». Anche Matteo Salvini rassicura (il che non è sempre stato rassicurante, in passato): «Arriveremo al 2027». Maurizio Lupi, intanto, intervistato da Virginia Piccolillo, si gode il momento favorevole e rilancia: «Siamo noi la forza del dialogo».
E la sinistra? È più divisa della destra
Elly Schlein: «La sentiamo la voglia di unità nelle piazze. L’unità non è un valore a tutti i costi, ma lo è se riesce a raccogliersi attorno a un progetto coerente, a un programma definito e a valori condivisi. Con la franchezza che serve anche quando non la pensiamo allo stesso modo, sono sicura che una sintesi la troveremo». La segretaria, dal palco di Europa Verde, ribadisce l’auspicio di un centrosinistra unito. Ma ancora una volta Giuseppe Conte, collegato (non a caso) da remoto, attacca il Pd, per aver sostenuto Ursula Von Der Leyen: «L’Europa ha scelto la guerra e una forza progressista non può andare in quella direzione». Significativo, per indicare i contrasti nella sinistra, la contestazione a Riccardo Magi, segretario di +Europa, che ha difeso l’invio di armi a Kiev.
Romania, la rivincita dei moderati
Călin Georgescu, sovranista dell’ultradestra filorussa, aveva vinto a sorpresa la scorsa settimana il primo round delle presidenziali. Ma i primi risultati delle elezioni per il Parlamento preannunciano una rivincita dei socialdemocratici, che sono in testa nello scrutinio.
Stellantis, Tavares si dimette
L’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares (qui un ritratto), si è dimesso, dopo il crollo dei profitti e delle vendite negli Stati Uniti. L’azienda aveva dichiarato a ottobre di aver avviato un processo per trovare un successore a Tavares, che ai giornalisti aveva detto che sarebbe rimasto fino alla fine del suo mandato, all’inizio del 2026.
- Le redini a Elkann Il Cda ha accettato le dimissioni, avviando il cantiere per la successione: la nomina di un nuovo ad permanente è già in corso, gestito da un comitato speciale del consiglio — ha informato una nota di Stellantis — e si concluderà entro la prima metà del 2025. Nel frattempo, sarà istituito un nuovo comitato esecutivo presieduto da John Elkann che assumerà le funzioni prima in capo a Tavares. Gli azionisti del gruppo sono Exor con il 23% dei diritti di voto (14,3% di azioni), Peugeot Invest con l’11% (7,1%) e lo stato francese attraverso Bpi con il 9,6% (6,1%).
- Chi gli succederà? Tra le ipotesi di successione, si parla di Edouard Peugeot, figlio dell’attuale presidente della Peugeot Invest, Robert Peugeot. L’altro nome sulla bocca di tutti è quello di Luca de Meo, l’italiano a capo di Renault Group, diretto concorrente di Peugeot e attuale responsabile dell’Acea, l’associazione dei costruttori europei dell’automobile.
- Perché lascia Tavares? Nel terzo trimestre 2024 Stellantis ha visto calare del 27% i ricavi, a 33 miliardi di euro, principalmente a causa di un calo delle consegne, nonché dell’impatto dei prezzi e dei cambi. Tavares lascerà la sua posizione anche perché le sue opinioni sul futuro della casa automobilistica divergevano da quelle di alcuni dirigenti.
Ma è importante leggere il commento di Daniele Manca per capire le reali ragioni dell’abbandono: «Tavares è la prima vittima di quella schiera di manager che pensavano e pensano ancora che le solite ricette fatte di taglio costi, sinergie e aumento della produttività possano bastare. Servono ma sono sufficienti? Nel 2015, anno dello scandalo diesel gate, molte case auto pensarono si trattasse di un incidente di percorso. Guardarono l’elettrico con sufficienza. Il digitale come strumento, anche qui, solo per tagliare. Il mondo stava invece cambiando. I giovani non vedevano più l’auto come passaggio all’età adulta. In tanti fecero spallucce davanti a un’Europa che parlava di mobilità e sostenibilità. Si concentrarono su quel 2035 che vietava la vendita di auto con motori a combustione come se fosse un problema risolvibile con un rinvio». Non era così e quel Tavares che diceva che l’elettrificazione era «una pistola puntata alla tempia dell’industria automobilistica» è la prima vittima eccellente, come scrive Andrea Rinaldi.
Rilasciato il rapper iraniano Toomaj
Il rapper dissidente iraniano Toomaj Salehi, che in un primo momento era stato condannato a morte, è stato rilasciato dopo aver scontato un anno, 9 mesi e 21 giorni, ha annunciato la magistratura iraniana.
Qui la sua storia raccontata sul Corriere dal regista e attore iraniano Ashkan Khatibi. Qui la storia della canzone degli Eugenio in Via Di Gioia, con la voce dell’artista iraniano ottenuta con l’intelligenza artificiale.
Fiorentina, paura per Bove
Momenti di paura durante Fiorentina-Inter, quando il centrocampista viola Edoardo Bove, 22 anni, si è accasciato a terra, privo di sensi. Grazie al defibrillatore il giocatore si è ripreso ed è stato trasportato in ospedale. Si sarebbe trattato di una crisi epilettica.
Sanremo, fuori Al Bano dentro Brunori Sas
Com’è questa selezione dei big di Sanremo (11-15 febbraio)? La solita, oseremmo dire. Cantanti che spariscono per un anno, come fossero ibernati, e rispuntano miracolosamente a Sanremo. Vecchie glorie in disarmo, habitué, qualche nome di rilievo per dar prestigio. I big quest’anno sono saliti da 24 a 30. Ne meritavano altri dieci, dice Carlo Conti, nuovo direttore artistico che ha il compito pesante di succedere ad Amadeus.
Nella categoria dell’eterno ritorno si piazzano Massimo Ranieri e Marcella Bella (dispersa dai tempi di «Montagne verdi»). Escluso a sorpresa Al Bano, che sarebbe stato presente per la sedicesima volta, con un nuovo cappello. Tra i soliti noti, Modà, Irama, Rkomi, Rose Villain etc. Nelle chicche di qualità segnaliamo Brunori Sas, forse il migliore cantante dell’ultima generazione. E poi Willie Peyote, Lucio Corsi e la giovane e bravissima Joan Thiele, un nome da tenere d’occhio. Tra i partecipanti più noti ci sono Elodie, i Coma_Cose, Noemi, Francesca Michielin, Rocco Hunt e Giorgia. Non mancherà Fedez, nonostante le sue esternazioni discutibili e i suoi pericolosi contatti con personaggi poco raccomandabili delle curve. E ci sarà Tony Effe, nonostante il dissing, lo scontro verbale avuto proprio con Fedez.
Quello che è certo, perché l’ha detto ufficialmente Conti, è che nelle canzoni «non si parlerà di guerra e immigrazione», ma di «famiglia e rapporti personali». Per carità, meglio non rischiare con temi difficili, meglio mantenere buoni rapporti con tutti, a partire dal governo, meglio restare nazionalpopolari e mettere da parte l’impegno. Conti pensa soprattutto a brani che funzionino. Così si spiega, per esempio, la scelta di Simona Brancale, che ci fu già nel 2015, e che torna, sull’onda delle sette milioni di visualizzazioni soltanto su TikTok del suo brano «Baccalà».
Abusi nella ginnastica, intercettazioni clamorose
Il presidente della Federginnastica Gherardo Tecchi, intercettato, diceva delle atlete che avevano denunciato gli abusi nella ginnastica: «Se vai addosso alle ragazze diventi un orco, bisogna aspettare e poi dargli una bastonata nella testa». Le ex «farfalle» Anna Basta e Nina Corradini hanno chiesto alla Procura Generale Coni di annullare la sentenza 14 del 9 ottobre 2023 del Tribunale della Ginnastica con cui l’allenatrice azzurra della ritmica Emanuela Maccarani se la cavava con un’ammonizione «per aver pronunciato in più occasioni espressioni inadeguate nei confronti delle atlete». Nelle 350 pagine di atti giudiziari dei pm di Monza si traccerebbe un quadro di connivenze clamorose tra procura sportiva, allenatrice e vertici Federginnastica.
La Juve pareggia 1-1 a Lecce, il Napoli vince 1-0 a Torino, la Lazio perde 3-1 a Parma.
Cose interessanti da leggere
- L’intervista a Enrico Vanzina, di Giovanna Cavalli.
- Il memoir di Cher, raccontato da Matteo Persivale.
- La vecchia guardia M5s, dopo la fine del tetto del doppio mandato, è pronta a tornare, come racconta Fabrizio Roncone. Beppe Grillo, intanto, è pronto a dar battaglia a Conte.
- «Il doppio errore da evitare», di Sabino Cassese.
- «La forza che non c’è in Europa», di Enzo Moaveri Milanesi.
- «Nell’auto nulla sarà come prima dopo Tavares», di Daniele Manca.
- «Cittadinanza a Segre, l’incomprensibile no», di Paolo Conti.
- «Lavori da maschi, volontà da femmine», di Elvira Serra.
Dataroom sull’abuso d’ufficio
Interessante, come sempre, l’approfondimento di Milena Gabanelli, questa volta con Luigi Ferrarella, sull’abolizione dell’abuso d’ufficio. Sono state cancellate 3600 condanne. La norma è al vaglio dell’Unione europea.
Il calendario del Corriere per gli abbonati
È partito il 1 dicembre il Calendario del Corriere, pensato per regalare ogni giorno un contenuto esclusivo a sorpresa agli abbonati. Ogni giorno l’abbonato potrà scartare un nuovo regalo, cliccando sulla casella dedicata e potrà sempre richiedere tutti i regali dei giorni precedenti fino al 31 dicembre.
Da ascoltare
Nel podcast «Giorno per giorno» Marta Serafini spiega perché Aleppo è stata conquistata da gruppi jihadisti che combattono il regime siriano di Bashar Al Assad. Monica Ricci Sargentini racconta le proteste in Georgia contro la decisione del governo filorusso di bloccare il processo di avvicinamento del Paese caucasico all’Unione europea. Andrea Laffranchi analizza la lista dei 30 big annunciata da Carlo Conti per il Festival di Sanremo.
Caro direttore – Risponde Luciano Fontana
Telefonate a raffica, diteci che si può fare qualcosa
«Caro direttore,
oramai sono dilaganti le chiamate truffaldine da numeri esteri, provenienti da Svizzera, Francia, Regno Unito etc., per non parlare delle telefonate che arrivano da cellulari con numeri italiani. A parte bloccare questi numeri sul nostro telefonino oppure iscriversi al tanto pubblicizzato Registro delle opposizioni sembra proprio che non si possa fare altro, e comunque le chiamate continuano ad arrivare. Possibile che i vari gestori e la polizia postale non riescano a contrastare il fenomeno?».
Marco Sestini – Roma
«Caro Sestini,
la sua purtroppo è la condizione quotidiana di quasi tutti gli italiani dotati di un cellulare (o di un telefono fisso).
Capita anche a me, ripetutamente, durante la giornata e non serve a nulla bloccare i numeri indesiderati o iscriversi al Registro delle opposizioni.
Quest’ultimo doveva rappresentare il muro difensivo dal telemarketing e dai messaggi preregistrati; per esperienza personale posso dire che la situazione, prima e dopo l’iscrizione, è rimasta inalterata. Anzi la media delle chiamate è addirittura cresciuta, con numeri delle stesse aziende che cambiano in continuazione.
Francamente il Garante dovrebbe spiegare perché tutto ciò avviene e mettere in campo le misure necessarie.
E le aziende interrogarsi su quanto sia utile questo metodo di vendita che spesso riesce solo a indispettire il cliente e a metterlo di cattivo umore rispetto al servizio proposto».
Grazie per aver letto Prima Ora.
(in sottofondo «Young Lion», di Sadè. La trovate nella nostra Playlist, aggiornata ogni venerdì con le nuove uscite di musica pop, rock e indie).
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