venerdì, 27 Dicembre 2024
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LA RASSEGNA STAMPA DI OGGI – DA “Brieging”, “Anteprima”, “Prima Ora Corsera”, “Il Fatto”, “Dagospia”, “Notix” e “Cronachedi” a cura di Ferdinando Terlizzi

 

 

Ucciso a colpi di pistola a New York l’amministratore delegato della United Healtcare Brian Thompson

Ucciso a colpi di pistola a New York l’amministratore delegato della United Healtcare Brian Thompson
 

Omicidio a Manhattan, nel cuore di New York, dove il ceo del colosso assicurativo sanitario UnitedHealthcare, il 50enne Brian Thompson, è stato colpito a morte al petto mentre si dirigeva a piedi all’hotel Hilton Midtown, sulla Sixth Avenue, per partecipare a una conferenza della società. L’uccisione è un “attacco premeditato, pianificato e mirato”, ha fatto sapere la polizia di New York durante una conferenza stampa, riferendo che il killer ha atteso la vittima, l’ha avvicinata da dietro e ha sparato diversi colpi, almeno uno alla schiena e uno al polpaccio destro.

Gli investigatori hanno riferito alla Cnn che l’assassino stava aspettando da molto tempo l’arrivo di Thompson, che è stato portato al Mount Sinai Hospital, dove i medici hanno constatato il decesso. L’assassino, che aveva il volto coperto, è fuggito in un vicolo a West 55th Street ed è ancora ricercato. Secondo le descrizioni, indossava un giubbotto color crema, una maschera nera sul volto e uno zainetto grigio.

Thompson, secondo quanto riporta il New York, è stato nominato amministratore delegato della compagnia, una delle più importanti del paese, nell’aprile 2021. La compagnia, quotata in Borsa, vale 560 miliardi dollari e oggi sarebbero stati presentati i dati agli investitori. Una delle ipotesi è che il top manager fosse atteso dal killer che conosceva l’ingresso dal quale stava per entrare il ceo. L’assassino ha sparato più volte a pochi metri di distanza. L’uomo armato, hanno riferito alcuni testimoni, è fuggito in bicicletta.

Scoperto gruppo neonazista, 12 arresti tra i componenti della “Werwolf Division”. Parlavano di attentare alla premier

Scoperto gruppo neonazista, 12 arresti tra i componenti della “Werwolf Division”. Parlavano di attentare alla premier

Associazione con finalità di terrorismo, propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa e detenzione illegale di arma da fuoco. Sono gravissimi i reati contestati dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e dalla procura di Bologna agli indagati nell’ambito dell’inchiesta su un gruppo neonazista e suprematista “Werwolf Division”. L’operazione della polizia su tutto il territorio nazionale ha portato gli investigatori a eseguire 12 misure cautelari in carcere, emesse dal giudice per le indagini preliminari di Bologna, su richiesta della procura Sono in corso altre 13 perquisizioni domiciliari. L’operazione è condotta dalla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione.

La ‘Werewolf Division’ (il nome viene dai ‘lupi mannari’ nazisti guidati da Heinrich Himmler per contrastare l’avanzata delle forze alleate e sovietiche in Germania alla fine della Seconda guerra mondiale) era già finita nel mirino di un’inchiesta della Procura di Napoli nel maggio 2023 con otto indagati. In quell’occasione era emersa una rete Telegram gestita da Bologna che sarebbe servita per organizzare “atti eversivi violenti”, inneggiando alla Shoah.

“Azioni violente” – Per gli inquirenti gli arrestati rappresentano una “vera e propria ‘cellula organizzata’, già in fase operativa e in grado di realizzare attentati anche con le tecniche usate dai cosiddetti ‘lone wolves’ (lupi solitari, ndr) sia suprematisti che jihadisti”. Secondo la procura gli indagati miravano al sovvertimento dell’attuale ordinamento per “l’instaurazione di uno Stato etico e autoritario incentrato sulla ‘razza ariana’”, anche con il progetto di azioni violente nei confronti di alte cariche delle istituzioni.

L’inchiesta nasce dagli accertati contatti tra alcuni dei vertici dell’organizzazione con i leader di un’altra associazione sovversiva di stampo negazionista e suprematista denominata “Ordine di Hagal”, attiva sul territorio nazionale e disarticolata a fine 2022 dalla Digos di Napoli. Il gruppo neonazista svolgeva la propria attività di propaganda e reclutamento di “nuovi uomini e donne pronti alla rivoluzione” sia attraverso gruppi Telegram denominati “Werwolf Division Discussioni” e “Movimento Nuova Alba” (quest’ultimo ancora più ristretto e nato in un secondo momento con la finalità di occultare le progettualità più violente e strumentale anche alla formazione di “guerrieri”) sia con incontri dal vivo e volantinaggi svolti nel Bolognese.

Il volantino e le minacce – Il gruppo si definiva “segreto, composto da pochi camerati validi e fedeli, pronti ad agire”. Nel 2022 è stato trovato dalla Digos un volantino, diffuso sul territorio emiliano, definito dai militanti “esplosivo”, raffigurante l’immagine di un uomo con la cosiddetta “skullmask” e armato con accanto il simbolo nazista del sole nero e la citazione dell’estremista di destra francese Dominique Venner: “Nulla sarà compiuto finché i germi del regime [liberale] non saranno sradicati fino all’ultima radice. Per questo bisogna distruggere la sua organizzazione politica, abbattere i suoi idoli e i suoi dogmi, eliminare i suoi padroni noti e quelli occulti, mostrare al popolo come è stato tradito, sfruttato e insozzato. Infine, “ricostruire”, il tutto a firma Werwolf Division, con il link al canale. Tra le contestazioni alla cellula neonazista c’è anche la “preparazione di gravi attentati”, anche nei confronti della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e di un economista del World Economic Forum“. Inoltre sono accusati di attività di propaganda, proselitismo e predisposizione di azioni violente, come l’epurazione dei traditori del movimento.

Le condanne a Napoli – Intanto si è concluso con quattro condanne – e con l’assoluzione da qualche capo d’accusa – il processo in cui a Napoli sono imputate quattro persone ritenute legate all’ associazione sovversiva, di stampo neonazista, negazionista e suprematista Ordine di Hagal, e che ha visto come parte offesa, lo Stato italiano. Da una costola di questa inchiesta è nata quella che ha portato agli arresti disposti oggi dal gip di Bologna.

La Corte di Assise ha inflitto 5 anni e 6 mesi a Maurizio Ammendola, di 45 anni; stessa pena per Michele Rinaldi (49 anni); 3 anni e 6 mesi per Gianpiero Testa (27) e tre anni di reclusione per Massimiliano Mariano (48). Per quest’ultimo imputato la Corte di Assise ha ritenuto non sussistente il ruolo di promotore. Gli imputati vennero arrestati il 15 novembre 2022 dalla Digos di Napoli e dalla Direzione centrale della Polizia di Prevenzione-Ucigos con il Servizio Postale e delle Comunicazioni al termine di indagini coordinate dalla Procura di Napoli (pm Claudio Orazio Onorati e Antonello Ardituro, successivamente passato alla DNA). Gli inquirenti contestarono, tra l’altro, il reato di associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico.

Ammendola, secondo gli investigatori, era il presidente dell’Ordine di Hagal: oltre a dirigere il gruppo sovversivo svolgeva attività di proselitismo e indottrinamento anche via web (su Fb, Telegram e su Youtube); Rinaldi viene indicato invece come il vice presidente e assisteva Ammendola; anche Mariano era un collaboratore del presidente (diffondeva test e valutava l’ingresso nell’ordine dei nuovi adepti; Testa invece organizzava, tra l’altro, escursioni e riunioni per mantenere i legali tra i proseliti anche via web con associazioni estremiste e neonaziste ucraine e di altri stati. Testa si occupava anche dell’addestramento all’uso di armi bianche e da fuoco e all’uso degli esplosivi. Dell’organizzazione facevano parte anche Anton Rodomskyy (latitante, che contribuiva all’addestramento militare) e Antonio Sallemi (anche lui dedito, tra l’altro, al proselitismo e all’indottrinamento). Il gruppo (che secondo l’accusa aveva a disposizione armi) promuoveva l’odio razziale ed etnico, minimizzava la Shoah espletando anche il ruolo di istigatore.

 

                                     DAILY MAGAZINE

I Fratelli d’Italia Cangiano e Cerreto rischiano di rimanere da soli al bar

L’EDITORIALE DI ANTONIO ARRICALE

 – Con l’approssimarsi delle scadenze elettorali – in questo caso, quella regionale, prevista, ragionevolmente, sul finire del prossimo anno – all’interno dei partiti e tra gli stessi partiti, è cominciato il giro di valzer dei candidati o, più semplicemente, degli aspiranti tale.

Un tempo, in questo frangente, l’attività maggiore delle segreterie politiche sarebbe stata volta ad arruolare energie fresche, intelligenze nuove, professionisti di grido, persone capaci di dare lustro sia al partito che alla lista. Persone da affiancare agli uscenti, evidentemente premiati per l’impegno e la militanza, in una prospettiva di crescita e non, banalmente, semplicemente per confermarne il privilegio dello stato. Altri tempi.

Oggigiorno, invece, capita che questi mesi vengano utilizzati proprio dagli uscenti per trovarsi non solo un posto in lista, ma soprattutto la probabilità di essere rieletti. Il fenomeno della trasmigrazione – ché di questo si tratta e che un tempo sarebbe stato fortemente biasimato sia dagli addetti ai lavori che dall’opinione pubblica – è diventato prassi. Addirittura normale, in forza di una legge elettorale balorda, che non aiuta certamente né a rafforzare la militanza, né a selezionare la migliore classe dirigente possibile. Ma tant’è.

La contingenza, però, se per un verso ci mette nella condizione di comprendere – non giustificare, beninteso – fenomeni, movimenti e scelte politiche, per l’altro non ci impedisce di riflettere sull’esercizio della leadership all’interno degli attuali partiti politici che occupano la scena. In particolare, di quello arrivato al potere dopo una lunga traversata nel deserto dell’opposizione. Mi riferisco a Fratelli d’Italia.

A parte, su questo giornale, pubblichiamo l’approdo del consigliere regionale Massimo Grimaldi ai lidi della Lega Campania. Socialista autonomista della diaspora, Grimaldi al Centro direzionale di Napoli era arrivato da Caserta prendendosi un passaggio sul convoglio di Forza Italia. Da qui era approdato, infine, sempre sedendo sui banchi dell’opposizione, a Fratelli d’Italia, il partito della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che in Terra di Lavoro è affidata alle cure dei deputati Gimmi Cangiano e Marco Cerreto.

Due giovani politici che, a dispetto dell’età, sembrano essere rimasti ai tempi in cui portavano ancora i pantaloncini corti. Vale a dire, del Movimento sociale Italiano. E che ignorano o hanno dimenticato, evidentemente, che intanto il Paese è passato dalla Prima alla Seconda Repubblica (forse anche alla Terza); che intanto, per il loro partito, c’è stata la svolta di Fiuggi; che ha cambiato nome una prima volta in Alleanza Nazionale e, poi, in Fratelli d’Italia; che dall’emarginazione dell’opposizione è diventato partito di governo.

E come tale dovrebbero aver dovuto imparare a ragionare e a muoversi, senza temere nuovi ingressi ma, anzi, a governare e favorire i processi di crescita. Ora, a me risulta che il duo Cangiano-Cerreto, dopo aver blandito, corteggiato e favorito il passaggio di Grimaldi da Fi a FdI (tutto sommato c’è soltanto una consonante di mezzo) qualche mese fa lo abbiano messo in pista per le elezioni Europee tagliandolo, tuttavia, all’ultimo momento, con i manifesti che il poverino aveva già fatto stampare. Non soddisfatti, inoltre, sempre contro il povero Grimaldi che, intanto, aveva ricevuto un incarico di consulenza dal ministro Raffaele Fitto nell’ambito della gestione della Zes (Zona economica speciale) hanno brigato fino al punto di farglielo revocare.

E il caso di Grimaldi non sarebbe l’unico in Fratelli d’Italia a Caserta. Ci sono altre testimonianze che indicano lo stesso modo di agire. E che sottintende, evidentemente, una logica utilitaristica che definirei del limone spremuto. Servirsi, cioè, delle persone per massimizzare i risultati del momento contingente e, poi, abbandonarli lungo la strada. Errore gravissimo, in politica. Di questo passo, peraltro, invece di crescere si rischia di rimanere in quattro amici al bar. Anzi, in due.